Da Martin Mystère a Diabolik, passando per i fumetti per ragazzi e l’autoproduzione. Andrea Pasini, classe 1964, è uno sceneggiatore poliedrico, da tempo tra le fila della redazione di Astorina e tra i principali autori del personaggio creato dalle sorelle Giussani.
Di seguito presentiamo un estratto di un’intervista a Pasini, in cui l’autore racconta la sua carriera e, in particolare, i molti dietro le quinte della realizzazione delle storie di Diabolik. Condotta da Laura Scarpa, l’intervista completa è pubblicata sul numero 110 di Scuola di Fumetto, magazine di cultura e informazione sul fumetto edito da ComicOut, ora in edicola.
Quali sono i tipi di storie che ami di più raccontare?
Non c’è un tipo di storia in particolare, ma ho sicuramente una vocazione alla divulgazione. Mi piace scoprire meraviglie e condividerle con gli altri. Non solo come narratore, ho fatto molta radio e pure i miei programmi musicali erano mossi da questo desiderio: scoprire gruppi e canzoni strani, belli e interessanti, e condividerli con gli ascoltatori. È anche per questo che l’aver cominciato la mia carriera di sceneggiatore con Martin Mystère è stata, per me, una fortuna.
Lo stesso meccanismo ha sotteso tutto il mio lavoro per Focus Junior, la serie che abbiamo proposto io e Lorenzo Sartori aveva come protagonisti un reporter e una fotografa della redazione di un Focus Junior di un universo parallelo che potevano visitare qualsiasi momento del passato della nostra Terra. La sfida, ogni mese, era quella di raccontare al lettore qualche avvenimento importante, o anche solo bizzarro della storia dell’umanità, mettendoci però anche un po’ di avventura per i nostri protagonisti. Il tutto in sole quattro pagine.
E questo spirito didattico riesci a metterlo anche in Diabolik?
No, quasi mai. Con Diabolik ho, in genere, un approccio tutto diverso. Preferisco partire dai personaggi, magari lavorando sui punti deboli del loro carattere. La prima sceneggiatura che ho scritto per la serie (Il diamante nero n.1/2008) giocava sull’essere superstiziosa di Eva e su una certa dose di spigoloso orgoglio che sia lei che Diabolik, a volte, non riescono a lasciare fuori neanche dal rapporto di coppia.
Un soggetto a cui sono molto legato (Terra bruciata n.1/2011) partiva invece dalla voglia di mettere in crisi quel gusto per la sfida che è uno dei pilastri di Diabolik. Diabolik tenta un colpo ai danni di un noto personaggio per rubare un noto gioiello, il colpo fallisce. Il personaggio fa un appello in televisione dicendo che non può vivere nel terrore di un nuovo colpo e che quindi il gioiello è a sua disposizione: verrà consegnato a Diabolik dove vorrà.
Avevo infilato Diabolik in un ginepraio: non poteva accettare l’offerta e ritirare in portineria il pacchetto col gioiello (che sfida sarebbe stata?) ma non poteva neanche rinunciare al colpo (creando un precedente pericolosissimo!), del resto ignorare l’appello e rubare lo stesso un gioiello che gli veniva offerto sarebbe stato da imbecilli. Insomma, ho usato i tratti forti del protagonista per metterlo in un’impasse (da cui, a onor del vero, sono riuscito a tirarlo fuori solo grazie all’aiuto di Mario Gomboli).
E poi (e dico più in generale) mi piace raccontare storie che “funzionino bene” anche al di là del loro contenuto. C’è una parte di me che è appassionata all’aspetto artigianale dello scrivere e quindi riesco a trovare una forte motivazione anche in cose minute, come rendere leggibile quello che in soggetto sembrerebbe essere un’interminabile “spiegone” o il far arrivare un importante colpo di scena in modo del tutto inatteso per il lettore.
Spesso sento una sorta di dedizione nei confronti delle storie. Un esempio: tempo fa, sistemando una storia per Diabolik, in redazione ci siamo resi conto che non c’era proprio posto per una lunga sequenza centrale in cui Diabolik affrontava diverse peripezie per trovarsi faccia a faccia con un tizio, nella versione finale gli abbiamo fatto incontrare il tizio senza alcuna difficoltà e la scena è passata da 30 tavole a 3. Però quella tagliata era una buona sequenza che meritava di essere letta. Così l’ho messa in un cassetto (mentale) e, ogni tanto, ragionavo su come la si sarebbe potuta usare, finché è diventata il finale di una storia completamente diversa.
In Astorina il lavoro è molto di gruppo e di scambio. Come si lavora a soggetti e sceneggiature? Ci racconti un po’ la complessità di questo metodo?
Una storia di Diabolik è sempre un’opera corale, credo ci siano pochi fumetti al mondo che abbiano, normalmente, così tanti autori coinvolti. Poniamo un caso limite (ma concreto) in cui la storia parta dall’idea di un lettore che venga sviluppata da una coppia di soggettisti e poi passata a uno sceneggiatore. La sceneggiatura poi andrà a un matitista il cui lavoro verrà inchiostrato, magari da una coppia di disegnatori (uno per i personaggi e l’altro per gli sfondi) in questo caso l’albo sarebbe firmato da sette autori diversi senza tenere conto di chi aggiunge i retini a disegni finiti e del fatto che tutte le sceneggiature sono accuratamente revisionate in redazione e, se necessario, si opera una certa quantità di riscritture anche in quella fase. Poi può essere che gli autori dei testi si riducano solamente a un paio e che il disegnatore sia, addirittura, uno solo (ma è cosa rara e molto recente) ma, in genere, meno di quattro o cinque nomi è difficile che ci siano nei credits.
Può succedere che uno dei nostri sceneggiatori proponga un soggetto completo che funziona (su cui il direttore, almeno un po’, interviene in ogni caso) ma molte delle storie partono da spunti, più o meno articolati, che vengono poi sviluppati da Mario Gomboli o assieme a Tito Faraci oppure assieme a me, e questo avviene in genere attraverso una serie di pranzi di lavoro (non è un vezzo, lavorare a un soggetto durante un pranzo funziona meglio che in una sala riunioni). Quello che ne esce noi lo chiamiamo soggetto, ma sarebbe più corretto chiamarlo trattamento (per 119 tavole di sceneggiatura in formato pocket un nostro “soggetto” prevede almeno una dozzina di cartelle dattiloscritte) quindi chi sceneggia si basa su una traccia in cui anche tutta la suddivisione in scene è già almeno abbozzata.
Quali regole per proporre una storia, quali limiti per scrivere un Diabolik?
Scrivere sceneggiature di Diabolik, per chi non conosce bene Diabolik, è molto difficile. Questo è vero per qualsiasi testata ma penso che per Diabolik sia ancora più vero, perché la serie lavora molto su regole non scritte e su confini difficili da esplicitare e sintetizzare. Le storie del Re del Terrore si muovono spesso in un impasto delicato di ingenuità e credibilità. Il mondo di Clerville è quasi identico al nostro ma ci sono molte sottili differenze che bisogna saper maneggiare e anche un navigato professionista può non riuscire a trovare l’equilibrio giusto.
Sul proporre soggetti il discorso è diverso. Da sempre la redazione riceve proposte da lettori (oltre che da aspiranti autori) e ogni anno vengono pubblicate storie in cui almeno lo spunto parte dall’idea di un non professionista (o di professionisti che non sono nostri collaboratori abituali).
Naturalmente anche per proporre un soggetto bisogna conoscere la serie, ma mentre non siamo a caccia di nuovi sceneggiatori siamo sempre disponibili ad accogliere una buona idea per un episodio. Come fare a proporcela? È presto detto: il testo deve essere breve, mezza cartella, una cartella al massimo. La storia deve contenere almeno un’idea forte e originale attorno a cui far ruotare la trama (facile a dirsi, un po’ meno a trovarla). La maggior parte delle storie che pubblichiamo ha un nucleo narrativo riassumibile in un paio di frasi.
Poi valgono i consigli che valgono per tutte le altre serie, prima fra tutte: se si spera di stabilire una collaborazione duratura non proporre, da subito, storie che scuotano la serie dalle fondamenta (“Si scopre che Diabolik e Ginko sono fratelli”, “Diabolik lascia Eva”, ecco, grazie ma no) semmai capiterà che volessimo far separare per sempre Eva e Diabolik (non capiterà) la storia ce la scriveremo tutta in redazione. Un esordiente farebbe molto più colpo su di noi proponendoci una storia che stia del tutto all’interno dei consueti binari della serie con però dentro un’ideuzza stuzzicante e originale. Perché la vera sfida nello scrivere soggetti per Diabolik è quella di raccontare sempre la stessa storia (o quasi) infilandoci dentro ogni volta qualcosa di originale (o almeno provandoci) e non di scioccare i lettori con storie tipo: “si scopre che Diabolik ed Eva sono in realtà fratello e sorella”.
Variare l’ennesimo furto, una sfida non facile. Come fate a verificare che qualche episodio non si ripeta?
La prima linea di verifica è la memoria di Mario Gomboli. Poi abbiamo un database con tutte le trame riassunte in maniera estesa, su cui possiamo fare ricerche per parole chiave. Ma la risorsa più preziosa sono i fan di Diabolik, alcuni ricordano tutto. Se siamo disperati chiediamo a loro.
Il ritmo di pagine pocket, quanto pesa nella storia?
Come sceneggiatore mi sono formato sulla gabbia Bonelli e come lettore su qualsiasi possibile gabbia tranne quella dei pocket che ho letto ben poco da ragazzo . Il mio primo Diabolik l’ho sceneggiato nel 2007 ed è stata un’esperienza entusiasmante anche da un punto di vista tecnico. Lavorare su pagine con così poche vignette ti dà un controllo dei ritmi narrativi che nessun’altra gabbia può darti. Un esempio pratico: se hai bisogno che in una sequenza ci sia una serie serrata di colpi di scena (che quindi sarebbe bene mettere in tavola pari, dopo un volta pagina) con una gabbia a due/tre vignette è (quasi) sempre possibile far cadere tutti i colpi di scena al posto giusto, visto che basta allungare l’azione o il dialogo di, al massimo, due vignette per cambiare una pagina da destra a sinistra.
Di contro una gabbia così piccola ti costringe a un lavoro di estrema sintesi, laddove in un bonellide un dialogo di dodici vignette riempie due pagine, in un pocket vengono fuori almeno cinque tavole che sono tante, spesso troppe.
Se passi da un formato Diabolik, in pocket, a una storia di formato più classico, non ti confonde avere ritmi e impaginazioni così diverse?
Proprio in questi giorni stiamo chiudendo la sceneggiatura del Grande Diabolik estivo del 2019 che per me è il primo speciale a cui ho lavorato come sceneggiatore. Pur trattandosi dello stesso personaggio che sceneggio da dieci anni la gestione della tavola è stata del tutto diversa (i GDK hanno una gabbia grosso modo bonellide).
Era da tanto che non scrivevo una storia in questo formato ma non c’è voluto molto per riprendere il ritmo. Un buon esercizio può essere, prima di mettersi a scrivere, quello di rileggersi uno o due vecchi albi, in quel formato, sceneggiati e disegnati da qualcuno bravo, giusto per riprendere confidenza col passo giusto per quella gabbia.
Dove trovi (in generale) le idee per le storie?
Con l’attitudine mentale adatta di storie se ne trovano ovunque. Leggo molto, sui temi più disparati. Ogni giorno vado al lavoro, in redazione, e tra tram e metrò, tra andata e ritorno, ci metto un’ora, in quell’ora leggo saggi, cartacei, che – se è il caso – sottolineo e annoto a matita.
Ma le idee possono venir fuori da notizie di cronaca, da romanzi o da altri fumetti. Io credo di aver cominciato a inventare trame da bambino, vedendo film o leggendo storie il cui finale mi deludeva (da piccolo per me il lieto fine era imprescindibile!) mi capitava di “riscrivere” nella mia testa anche buona parte della trama per arrivare al finale che avrei voluto.
Anche per Diabolik le idee possono venire da altra narrativa o da fatti di cronaca, ma lo spunto può arrivare anche dalla lettura di altre storie passate o in lavorazione: leggendo un soggetto di un collega (peraltro poi realizzato) in cui un uomo che scopriva di avere in mano delle statuette bramate da Diabolik, faceva di tutto per non farsele rubare finendo poi puntualmente derubato. Leggendo ho pensato: “se capitasse a me, andrei in televisione a dire a Diabolik che le statue sono a sua disposizione” e subito dopo ho pensato “Ok, ma poi Diabolik cosa farebbe?” a quel punto lo spunto c’era già ed è nata: Terra bruciata. Per il tipo di storie che scrivo, una cosa che invece non mi capita è partire da elementi autobiografici.
È accaduto in un solo caso, vent’anni anni fa. Nel giro di poco tempo, mi capitarono la fine di un’importante storia d’amore e la morte del mio migliore amico. Ecco, subito dopo scrissi una storia di Martin Mystère in cui a inizio albo qualcuno gli ammazzava Diana e Java. Martin era distrutto dal lutto ma, alla fine, trovava la maniera per far tornare le cose come dovevano essere. Sarebbe bello dirti che scriverla è stato terapeutico, ma non è vero. Però, in un momento in cui davvero non avevo voglia di scrivere nulla, mi venne fuori una sceneggiatura di 94 tavole quasi senza accorgermene.