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Sunday Page: Alice Milani su Adrian Tomine

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Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica: Alice Milani, fumettista e illustratrice nativa di Pisa. Ha studiato pittura all’Accademia Albertina di Torino e si è specializzata in incisione all’ENSAV La Cambre di Bruxelles. Dirige la collana Rami di Becco Giallo, è membro del collettivo La Trama e autrice delle biografie Wislawa Szymborska – Si dà il caso che io sia qui e Marie Curie, di Tumulto (in coppia con Silvia Rocchi) e di storie brevi per Linus, Graphic News e Delebile.

una lieve imperfezione alice milani adrian tomine
(foto per gentile concessione di Alice Milani)

Questa é una tavola di Adrian Tomine, da Una lieve imperfezione. In questa scena il protagonista accompagna la fidanzata all’aeroporto. Lui è molto nervoso perché sono leggermente in ritardo, lei è infastidita. Parcheggiano la macchina e poi lui la accompagna alle partenze. Vediamo la stessa inquadratura, della macchina nel parcheggio, per sei volte. Poi vediamo lui che torna in macchina e riparte.

Quello che mi piace di questa tavola è che ti fa capire che sta succedendo qualcosa in aeroporto, ma non te lo mostra. Più avanti, verso la fine del libro, la ragazza rinfaccia a Ben (il protagonista) di non aver ascoltato quello che lei gli aveva detto quella volta in aeroporto. «La tua memoria selettiva ha cancellato tutto?» dice lei. E così noi lettori abbiamo percepito il passare del tempo, ma siamo rimasti nel parcheggio.

Tomine avrebbe potuto semplicemente mostrare la scena senza quelle sei vignette. Ne avrebbe messa una, magari in grande, del parcheggio immerso nel buio, che sarebbe stata molto bella, ma noi non avremmo capito che stava passando del tempo. Questa capacità di far percepire lo scorrere del tempo è la cosa che più mi emoziona, quando leggo un fumetto, per questo ho scelto questa tavola.

La scelta dell’inquadratura mi pare molto peculiare, è un volo a uccello in cui la freccia segnaletica sembra voler sfuggire dal quadro. Che effetto ha, secondo te, rispetto a magari a un’inquadratura perpendicolare?

È vero, la scelta dell’inquadratura non è banale. Tomine usa molto spesso le inquadrature classiche, perpendicolari. In questo caso invece inquadra l’asfalto, i cofani di tre macchine e una freccia. Forse è per questo che mi è rimasta impressa, perché è un’inquadratura stupida: a chi interessa vedere le frecce per terra?

Eppure è proprio perché non ti fa vedere niente di interessante che ti dici “cosa succede? Perché mi sta facendo vedere questo pavimento?”. Se penso a cosa sta succedendo nella storia poi l’inquadratura è perfetta: il protagonista è tutto concentrato sull’essere in ritardo e si comporta come un odioso ometto irascibile. Non sta capendo che la sua donna, con la scusa dello stage a New York, lo sta lasciando. Così, con un’inquadratura che punta al pavimento, io mi sento come il protagonista che è troppo occupato a guardarsi l’ombelico (o i piedi) per rendersi conto delle reazioni emotive delle persone che gli stanno vicine. In questo, Tomine è riuscito a tracciare un ritratto dell’uomo piccolo e spregevole in modo molto efficace.

Come mai hai scelto Tomine?

Sono partita pensando ad una tavola che mi era rimasta impressa, e mi è saltata in mente quella. Certo, Tomine merita di essere letto e riletto ogni anno, e tutta la sua opera è degna di nota, ma la mia attenzione era per quella doppia tavola in particolare che mi fa essere in un parcheggio facendomi immaginare quello che succede poco lontano. L’ho scelta perché esprime il grande potere del fumetto: farti immaginare le cose al di fuori dell’inquadratura.

Ti ricordi in che occasione hai scoperto Tomine per la prima volta?

Non mi ricordo come ho scoperto Tomine. Il primo libro che ho letto è stato Summer Blonde, credo di averlo semplicemente comprato a naso da Feltrinelli a Pisa, negli anni del liceo. Da lì ho letto, negli anni, tutti gli altri.

Tu una scena così come l’avresti fatta? E in generale tendi più a ponderare ogni scelta che fai o ti lasci guidare dal flusso?

Ah, qui entriamo nel reame delle scelte misteriose dei fumettisti, su cui si potrebbe discutere per settimane! Mi verrebbe da citare il grande Davide Reviati, che proprio al BilBOlbul di quest’anno, all’incontro su fumetto e poesia, ha detto che lui ha molta difficoltà ad analizzare il processo creativo. Ha raccontato poi di aver assistito alla conferenza di uno studioso di lupi, che alla domanda “come si riconosce un lupo da un cane lupo” aveva risposto: il lupo ti dà l’impressione di sapere sempre dov’è e dove vuole andare. Il lupo si muove nel modo più efficiente dal punto A al punto B, perché sa dove vuole andare. Il cane invece sembra sempre piovuto per caso: annusa un po’ qua un po’ là, va avanti, torna indietro… Scodinzola. Invece il lupo sa quello che fa, anche se non conosce le parole, e così deve saperlo il fumettista, in ogni scelta che compie, anche se non è tenuto a spiegarla.

Se ci fosse un meccanismo riconoscibile secondo cui un artista fa le sue scelte, sarebbe evidente e ci verrebbe subito a noia, come qualcosa di troppo sistematico e ripetitivo. è quando sentiamo che c’è un pattern, che c’è un intento, anche se non lo capiamo tutto fino in fondo, che sappiamo di trovarci davanti a un grande fumettista/artista (come Reviati, appunto). Io cerco di trovare il mio pattern, nelle scelte più o meno ragionate che compio, ma non so ancora quanto ci sto riuscendo.

Ti sorprendi mai di una scelta fatta, magari chiedendotene anche il motivo?

Sì, periodicamente rileggo i miei vecchi fumetti e a volte ho difficoltà a ricordarmi le ragioni di alcune scelte. Mi dico che adesso farei qualcosa di totalmente diverso, ma in fondo questa sensazione è un bene perché vuol dire che sto in qualche modo evolvendo.

E nel tuo lavoro ti trovi mai a individuare (o a inserire consapevolmente) un’influenza di una qualche tua lettura o, se ti succede di essere influenzata, si tratta di un meccanismo che va sottopelle ai tuoi fumetti?

Le influenze nel mio lavoro ci sono, ma non sono messe lì consapevolmente. Leggo e rileggo continuamente fumetti, quindi qualcosa di ciascuno finisce per forza in quello che faccio. Quando sto disegnando, però, cerco di impedirmi di pensare a come lo disegnerebbe questo o quel fumettista, sennò mi verrebbe da imitarlo. Quando disegno cerco di non pensare a niente e non ascolto niente che possa distrarmi o deconcentrarmi.

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