Innanzitutto, Tuono Pettinato è (anche) un musicista. La sua band, di sonorità punk hardcore, si chiamava “Laghetto”. Vi militava anche l’amico e collega Ratigher e se avete avuto la fortuna di assistere a un loro concerto avrete notato come il nostro Tuono sia capace di maneggiare una piccola chitarra elettrica giocattolo con rara maestria (qui il video di un’infuocata performance). È un peccato non averne parlato nell’intervista. Forse gli argomenti erano troppi: la vita di Kurt Cobain, il significato del grunge, le promesse non mantenute dell’infanzia, il peso di un fumetto come Calvin & Hobbes, i progetti futuri, ecc. Ma si sa: parlando con Tuono, c’è solo da ascoltare.
Fumettologica ha presentato in anteprima una selezione di tavole da Nevermind, il suo ultimo libro, pubblicato da Rizzoli Lizard in Aprile. Quest’intervista vuole raccontarne lo sviluppo e scoprire cosa dobbiamo aspettarci dai suoi prossimi progetti. Intanto, una cosa, alla fine della chiacchierata, possiamo azzardarci a metterla nero su bianco: se cercate il grunge, oggi, lo troverete dentro i fumetti.
L’idea per il libro è nata un giorno in cui, per caso, mi sono trovato ad ascoltare in radio una tramissione sui 20 anni di Nevermind. Il discorso era affrontato con un tono talmente spavaldo e trito che ho pensato: ma perché non la racconto io questa storia? Perché non provo a dire quello che penso a riguardo? Ho proposto l’idea a Simone Romani (direttore editoriale di Rizzoli Lizard – NdR) insieme ad altre cose, proposte varie e idee sparse. Era il 2012, e stavo ancora lavorando a Enigma. La motivazione principale era che non mi piaceva l’idea che a 20 anni dalla morte, Kurt Cobain fosse ancora un santino buono per i poster da appendere in camera, che fosse ricordato come la rockstar maledetta o l’idolo dei depressi. Essendo stato io stesso un grande fan dei Nirvana, volevo dire essenzialmente che per me il grunge era qualcosa di liberatorio e catartico, pieno di una vitalità che non era mai stata raccontata abbastanza. Avrei infatti voluto raccontare la storia dei Nirvana nel loro insieme, anche se poi, immergendomi nella costruzione della storia, a causa dei tempi stretti, è stato essenziale dare una linea precisa al progetto e concentrarsi solo sulla figura di Kurt.
La scelta di utilizzare Calvin & Hobbes arriva nel momento in cui decidi di parlare dell’infanzia di Kurt?
Ancora prima, in realtà. Tra le fonti sulle quali ho cominciato a documentarmi c’era il romanzo di Tommaso Pincio “Un’amore dell’altro mondo”, ovvero la storia di Kurt raccontata dal punto di vista del suo amico immaginario, una specie di replica aliena di Kurt, anche lui costretto vivere confinato nel ristretto mondo di Aberdeen. Ciò che mi ha fatto pensare a Calvin & Hobbes è stato innanzitutto scoprire le foto di Kurt bambino, biondissimo, ben pettinato, vivace e già disadattato, immerso nella più profonda provincia rurale. Sapere che aveva questo amico immaginario, Boddah, che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita (la lettera d’addio che scrive poco prima di suicidarsi è dedicata proprio a lui) mi ha fatto pensare immediatamente alla striscia di Watterson. Se ci pensi, se ne parla poco, mentre è qualcosa di assolutamente centrale nella sua vita.
Nel caso del tuo racconto, oltretutto, Boddah svolge la funzione del narratore onnisciente, non è solo uno co-protagonista.
Esatto, mi permette di eludere alcuni momenti complessi da raccontare, potendoli riassumere a partire da una sua riflessione espressa. È un personaggio che è allo stesso tempo narratore, interlocutore e collettore. L’idea era quella di ricreare il piacere che si prova stando insieme a un amico. Fondamentalmente, ho cercato di raccontare questa sottotrama di amicizia tra due esseri molto diversi, di cui uno rimane uguale nel tempo e l’altro invece cresce, in un rapporto di tale intimità da permettere al primo di sopportare le scelte del secondo in qualunque circostanza.
L’infanzia è uno dei temi centrali nelle tue ultime storie, forse il tema più importante. Da Enigma a Corpicino fino a Nevermind, l’innocenza dell’infanzia viene letteralmente demolita psicologicamente (addirittura fisicamente in “Corpicino”) dalla società in cui si trova a esistere. Così come anche il ruolo della famiglia viene dipinto in maniera molto negativa.
Effettivamente è così, anche se in gran parte è una scelta inconsapevole. Credo dipenda anche dal tipo di segno grafico che mi appartiene. Dopotutto mi sono formato in anni di letture di fumetti nei quali l’infanzia è centrale (uno per tutti: i Peanuts). Non solo: è quasi come se il mio segno in qualche modo mi vincolasse alla fiaba, all’umorismo, al naïf. Qualsiasi argomento io scelga, viene poi filtrato da questo mio modo di disegnare e di raccontare. In Corpicino, cerco di raccontare quanto gli orrori delle fiabe dei bambini siano alla radice di quelli dei grandi. Così come, nell’affrontare le biografie, i personaggi storici umanizzati diventano sempre un po’ bimbeschi. Sarà anche che cerco di fare fumetti che possano essere comprensibili sia ai piccoli che ai grandi. Non so se il responsabile sia io o il mio segno!…Quello che racconto è il momento in cui l’infanzia si scontra con la realtà. Anche in Nevermind quello che mi interessava raccontare era il disadattamento iniziale di Kurt e poi ciò che lo emancipa, ovvero il punk, fino al successo che lo porta infine a riavvitarsi su se stesso.
Kurt Cobain è l’ultimo mito della nostra generazione e probabilmente l’ultimo “ribelle” della nostra epoca. E forse è un bene che sia così.
In effetti, di casi celebri equivalenti ai Nirvana non me ne viene in mente nessuno, dopo la morte di Kurt. Ciò a cui hanno dato origine, sia in campo musicale sia in quello fumettistico, è la consapevolezza del fatto che anche se sei un disattadato, puoi darti da fare, puoi creare, puoi raccontare. In qualche modo, hanno reso un po’ più facile l’impresa di esprimere se stessi. Kurt era cresciuto ascoltando i Beatles e simili star “classiche” della musica. Credeva che l’unica maniera di diventare un musicista fosse quello. Poi, quando scopre il punk, capisce che c’è anche un altro modo: la via per diventare rockstar senza tradire il proprio spirito di disadatto e disagiato esiste. Questo per dire che dopo di lui si è aperta una fonte di liberazione artistica che non c’era prima.
Da un punto di vista grafico e narrativo, è ormai consolidato uno schema riconoscibile ravvisabile nei tuoi ultimi libri e anche in Nevermind.
Sì, anche se essendo arrivato alla terza biografia storica (le altre due sono Enigma e Garibaldi – NdR), un po’ per cambiare e un po’ per provare a divertirmi, ho usato più flashback e per la prima volta anche flash forward. Non è quindi una storia lineare, che va dall’infanzia fino all’eta adulta, ma ci sono rimandi a situazioni che si ripetono: una delle due dimensioni temporali serve sempre a spiegare meglio l’altra. Volendo, poi, inserire diverse citazioni di Calvin & Hobbes, che costituiscono nel complesso una vera e propria chiave di lettura della storia, era necessario che alcuni particolari fossero strettamente legati ai fumetti di Watterson. Per esempio, il modo di disegnare gli alberi. O alcune scene costruite di rimando. A questo proposito, c’è da dire anche che – me lo ha fatto notare Alessandro Baronciani – i fumetti di Watterson e i Nirvana sono due prodotti affini degli anni ’90, davvero emotivamente vicini. Tant’è vero che Watterson interrompe la striscia all’indomani della morte di Kurt Cobain (da aprile a dicembre 1994 – NdR).
Uno degli obiettivi dei Fratelli del cielo è quello di lavorare contemporaneamente su due livelli di fruizione, quello sperimentale e quello “popolare”. Tu ti muovi da sempre su entrambi.
Abbiamo iniziato distribuendo i nostri fumetti durante i concerti punk. Io condivido molto questo voler stare contemporaneamente su due piani: il fatto di poter fare libri per i grandi editori e allo stesso tempo realizzare piccole autoproduzioni da 30, 50 copie. Credo che sia una ricchezza. Sappiamo che se facciamo una cosa oltranzista, avremo un certo tipo di pubblico e se ne facciamo una più classica, ne avremo un altro. Siamo liberi di spaziare. Abbiamo le radici nell’underground pazzoide ma abbiamo anche la voglia di arrivare a tutti. Non ci prendiamo troppo sul serio, mescoliamo l’ultra pop con il brutale. Sono da sempre questi gli ingredienti del nostro sodalizio. La cosa complessa è riuscire a portare avanti questi progetti insieme. L’esperienza di Hobby Comics è stata molto bella e formativa ma è difficile che in futuro si ripeta allo stesso modo. In questo momento, pensiamo soprattutto a collaborazioni a due, coinvolgendo persone che abbiamo conosciuto in altri ambiti.
Per esempio?
Per esempio sto scrivendo una storia per un fumettista pisano molto bravo che si chiama Francesco Guarnaccia. Credo infatti di avere più storie da raccontare rispetto al tempo materiale per disegnarle. E poi ci sono storie che mi piacerebbe vedere raccontare con il segno di altri. Ho anche alcune storie di stampo supereroistico e so che tra le mie mani non uscirebbero altrettanto bene. C’è un altro fumettista pisano che si chiama Emanuele Messina, che collabora con Delebile e ha un bellissimo blog. Anche a lui ho chiesto di disegnare una storia.
Possiamo dire che il grunge, o meglio l’avanguardia, sia nel fumetto, oggi?
Sarebbe bello, in effetti. Ti dirò: nel raccontare i Nirvana ci ho rivisto qualcosa dei Superamici. E cioè questo desiderio di voler essere al di fuori di tutto e di cercare una via per raccontarlo. Sì, direi che siamo grunge. E forse non siamo neanche del tutto nichilisti, in fondo in fondo…