C’è un filo drammaticamente rosso che lega tre opere animate giapponesi. Un percorso, un afflato, un’intenzione comune, oltre all’ambientazione nei giorni della Seconda guerra mondiale. I film sono Gen di Hiroshima di Mori Masaki (Hadashi no gen, 1983), tratto dall’omonimo manga di Keiji Nakazawa, fumetto monumentale e quasi insostenibile per drammaticità, Una tomba per le lucciole di Isao Takahata (Hotaru no haka, 1988), urlo disperato sull’orrore generato dall’incontro della brutalità della guerra con la purezza dell’infanzia, e il più recente In questo angolo di mondo di Sunao Katabuchi (Kono sekai no katasumi ni, 2016), distribuito in sala da Nexo Digital in collaborazione con Dynit per soli due giorni (il 19 e il 20 settembre).
Le tre pellicole trattano argomenti simili ma utilizzando prospettive e approcci diversi. Dei tre quello che si mantiene su una linea ideologica pessimista e nichilista è sicuramente Una tomba per le lucciole, la cui circolarità narrativa indica una chiusura al futuro che, al contrario, si offre in Gen di Hiroshima e In questo angolo di mondo.
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In questo angolo di mondo non è un capolavoro, questo è bene sottolinearlo, ma ha una sua precipua importanza. Intanto perché al di fuori dei consolidati schemi del mercato dell’animazione giapponese è riuscito a ottenere eccellenti risultati al botteghino, raggiungendo i due milioni di spettatori. Non solo: In questo angolo di mondo ha vinto il premio “Animation of the Year” ai Japan Academy Prize, prevalendo su Your Name di Makoto Shinkai, e anche in Europa ha ottenuto consensi più o meno unanimi, vincendo al Festival internazionale del film d’animazione di Annecy il Premio della giuria.
Kure, Giappone, inizio anni Trenta. La giovane Suzu Urano sposa Hojo senza mai averlo visto. Abbandona così la sua città natale di Hiroshima e inizia una nuova vita all’interno della sua nuova famiglia. Le difficoltà sono molte, innanzitutto quelle relative all’integrazione. Il suo essere distratta la rende un po’ impacciata, e come se non bastasse il rapporto con la sorella di Hojo, una vedova con una figlia piccola, non è dei migliori. A peggiorare le cose ci sono la guerra e i continui bombardamenti, che fanno vivere Suzu e la sua famiglia in un costante clima di terrore.
Sunao Katabuchi, il regista del film, è figlio dell’idea di cinema dello Studio Ghibli. Non a caso il suo primo lavoro è stato l’assistenza alla regia di Kiki – Consegne a domicilio. La fascinazione per le linee morbide e per quell’approccio sognante alla materia narrativa, pur mantenendosi su direttive complesse e “adulte”, è confermato dai suoi lavori successivi: Princess Arete (Arete hime, 2001) e Mai Mari Miracle (Mai Mai shinko to sennen no mahou, 2009) sono lungometraggi certamente affascinanti ma che pagano lo scotto di essere troppo legati all’immaginario miyazakiano (persino Makoto Shinaki è caduto in questo errore con Viaggio verso Agartha).
In questo angolo di mondo è il suo miglior film, intanto perché fa tesoro dell’insegnamento di Isao Takahata, poi perché trova una propria voce all’interno di un universo vasto e complesso come quello dell’animazione nipponica. Il film continua a muoversi sulle traiettorie ghibliane: il character design, le musiche, lo sviluppo dei personaggi sono tutti elementi che il regista preleva direttamente dalla filmografia di Miyazaki e soci.
Addirittura la scelta cromatica, soffusa, quasi acquarellata, si ispira agli ultimi lavori di Takahata (Fuyu no hi, I miei vicini Yamada e naturalmente il capolavoro La storia della principessa splendente). Ma Katabuchi opta per uno sguardo più intimista, un realismo talvolta impressionante per precisione e accuratezza. Tolti i riferimenti visivi, il modo con cui Katabuchi ci racconta della quotidianità familiare dei personaggi di questa storia è figlio del cinema di Yasujirō Ozu (Viaggio a Tokyo, Il gusto del sakè).
In questo angolo di mondo si trasforma così in una fotografia dei gesti e delle tradizioni di un Giappone che forse non c’è più, una poesia sul tempo che passa e sulla necessità di imparare ad amare, perché la Storia sa essere crudele e senza pietà e l’unica cosa che può salvarci dalla follia è l’amore verso il prossimo. Nonostante sia un film che vive di tensione drammatica, ha l’enorme pregio di non piegarsi a facili sensazionalismi e di non puntare alla lacrima telecomandata.
La sincerità intellettuale e narrativa con cui racconta un periodo storico molto difficile per il Giappone è tra le cose più apprezzabili del film, che invece pecca stranamente sul lato tecnico, proponendo un’animazione un po’ troppo statica per essere stata prodotta nel 2016.
L’opera di Katabuchi ci insegna il valore del porgere la mano, di una carezza, di un gesto d’amore nonostante intorno dilaghi il caos e la follia. In un cinema che tende spesso a chiudersi dentro i propri topoi, non è cosa da poco.