Inizia al manicomio la nuova puntata di Legion. Tutte le storie che abbiamo seguito si sono (apparentemente) sciolte sotto il calore del Diavolo con gli occhi gialli, il parassita mutante che infesta David dall’infanzia e che ha trasportato i protagonisti in una realtà in cui sono tutti pazienti del Clockworks, l’istituto psichiatrico in cui era in cura David, e dove Lenny – meglio, la dottoressa Lenny Busker – è la loro terapeuta.
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Melanie Bird è in lutto da vent’anni per la perdita del marito e si è autoconvinta che il consorte vegeti in un piano astrale mentre il corpo è bloccato in una stanza criogenica, ma, come le dice la dottoressa, l’unica bloccata è lei. Ptonomy non riesce a dimenticare nemmeno un dettaglio della morte di sua madre, avvenuta quando aveva appena cinque anni. Cary e Kerry sono una coppia molto legata che vive in maniera morbosa la relazione. L’ostilità di Walter (l’Occhio) pare invece causata da un ritardo della crescita che lo ha portato a vivere in maniera conflittuale e insicura la propria adolescenza. David sembra il più rilassato, dopo che ha trovato nella pittura il suo nuovo hobby.
Rispetto agli altri, Syd, la cui paura del contatto l’ha portata a un isolamento autoimposto, capisce che qualcosa non quadra. Ha strane visioni, ricordi, frammenti del passato che le balenano davanti agli occhi. Poi tocca a Cary, che entra in contatto con la dimensione astrale e fare la conoscenza del palombaro Oliver, e Melanie, che rivive i momenti immediatamente successivi allo sparo dell’Occhio. David viene convocato da Lenny, la quale parla dell’inutilità dell’amore, di aver conosciuto il suo vero padre e di essere interessata soltanto al corpo del ragazzo, non alla sua mente. David affonda nel buio e si ritrova in una bara trasparente. Si passa da momento a momento, da astrazione ad astrazione, in una spirale di immagini di difficile decodifica, finché Syd, a riposo nel letto d’infanzia di David, non viene svegliata dal palombaro. Dentro alla tuta, però, c’è Cary.
Proprio quando le cose cominciavano a marciare, Legion ci riporta al punto di partenza, al Clockworks dove avevamo conosciuto David, a rivedere le stesse cose (alcuni dialoghi sono ripresi dal pilota), a fingere che ci interessi dove andrà a parare questa nuova e inaspettata piega della sceneggiatura quando sia io che loro che voi sappiamo bene durerà il tempo di un episodio e poi, via, tutti di nuovo in carreggiata, che tra due episodi sbaracchiamo tutto e andiamo a preparare le cibarie per la scampagnata pasquale. In generale la puntata sembra scritta da Fuffo De Fuffis Jr. tanto è alto il coefficiente di fuffa, tra la scenetta musicale, le sedute individuali all’inizio e l’impianto generale che pare una straniante tangente rispetto a quello che stava succedendo nella serie. L’avessero messa all’inizio, introducendo i personaggi come pazienti e poi facendoci scoprire che erano tutt’altro avrei capito, ma così pare altro latte innaffiato sulle mie ginocchia. Sempre molto lo spazio dedicato ai momenti di orrore, elemento su cui Legion punta anche attraverso il tono, serio, inquieto e instabile dello show.
Annotazioni sparse:
– La nozione che Lenny conoscesse il padre biologico di David, descritto come «Non così santo come voleva sembrare» ancora non ci confermano che si stia parlando di Xavier, però gli spot del prossimo episodio avvallano l’ipotesi che vi avevo paventato nel precedente recap: il Diavolo dagli occhi gialli È IL RE DELLE OMBRE!
– Comunque “diavolo dagli occhi gialli” come nome mi piace di più di “re delle ombre”, voi che dite?
– La sequenza musicale di questo episodio (non so cosa ne pensiate voi, ma Legion è diventato un musical così gradualmente che non me ne sono neanche reso conto) in cui Lenny vaga per i ricordi di David è ☠ ☠ ☠. Un po’ perché alla Plaza non riesce granché bene di fare la voluttuosa. È aggressiva e sfacciata, superiore anche, ma goffa (magari l’intento è quello). La confezione ci sta tutta, è che lei non ci crede fino in fondo. E poi le grafiche devastanti e il sottofondo con la versione modernizzata di Feeling Good di Nina Simone sono la pietra tombale sul segmento. Superano un livello di pedanteria che nemmeno The Passenger per uno spot d’auto, I Want to Break Free per una campagna pro-indulto e Get Up (I Feel Like Being a) Sex Machine per la pubblicità dei preservativi, messi insieme, riuscirebbero a raggiungere.
– Aubrey Plaza ha un modo di recitare che sembra le abbiamo dato il copione mentre la truccavano e poi l’abbiano spinta in scena dicendo «Ecco, ora tocca a te». Cioè, ha messo in pratica la prima idea che le è venuta in mente su come recitare le battute e nessuno si è premurato di dirle che magari era meglio provarne un’altra, così, giusto per sicurezza. Andava benissimo quando era ancora la coscienza di David un po’ picchiatella, adesso dovrebbe assumere una gravitas che comunica solo con il design del Diavolo – perché effettivamente quello della Plaza è un po’ un azzardo come scelta di casting, dato il suo passato da caratterista.
– COLLAGE BONUS: l’evoluzione di Audrey Plaza come attrice che passa dalle faccette imbronciate a una nuova fase secsi mamasita della sua carriera che non credo avrà seguito.