Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci presenta una tavola. E spiega le ragioni per cui vi è particolarmente legato, o cosa lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica ospitiamo Francesco Artibani, sceneggiatore di punta nella produzione Disney. Artibani ha una lunga carriera come autore per la televisione, i cartoni animati (un titolo su tutti: Winx Club) e i fumetti. Attivo anche all’estero (ha scritto, tra gli altri, per Marvel o Les Humanoïdes Associés), è stato tra i creatori di W.I.T.C.H., PKNA, Kylion e Monster Allergy. Come scrive Andrea Tosti nel libro Topolino e il fumetto Disney italiano, «Francesco Artibani è stato fra i più tenaci innovatori dell’universo Disney italiano»
La pagina che ho scelto è tratta dal finale di Asterix e gli Elvezi, storia del 1970 di Goscinny e Uderzo. Un’avventura a cui sono particolarmente affezionato per tantissime ragioni (fa ridere, è disegnata in maniera straordinaria, ha un ritmo incredibile, è piena di personaggi e scene memorabili e – dettaglio non indifferente – prende in giro gli svizzeri).
La gestione dei tempi comici da parte di René Goscinny è incredibile e questa pagina, semplicissima, contiene per me una lezione di scrittura molto importante. Quella che ci ricorda di usare i personaggi e gli ambienti concretamente, fisicamente, cogliendo da tutto quello che ci circonda e che si trova in scena gli spunti utili per innescare l’azione e, nel caso di una storia umoristica, le gag.
Qui abbiamo un pendio innevato, un corpo inerte e pesante come quello di Obelix e una situazione d’emergenza (i due galli devono fuggire alla svelta per evitare i romani sulle loro tracce). La neve, la pendenza e la massa di Obelix che prende accelerazione fanno poi il resto. Questa tavola, apparentemente lineare, per me è un esempio perfetto di quello che dovrebbe esserci in una storia umoristica: gag sorprendenti nella loro naturalezza, un’esposizione chiara dei meccanismi di causa ed effetto.
È una pagina promemoria, utile a rammentare che in una storia se i personaggi sono fatti solo di dialoghi e non interagiscono con lo scenario evidentemente stai lavorando male, stai scrivendo superficialmente. A volte la fretta e la pigrizia possono portare un autore a scrivere con il pilota automatico e il risultato sarà solo un’occasione persa. Sono cose che capitano ma i segnali che ci mettono in guardia non mancano mai. Scrivere i dialoghi senza curarsi dell’azione è uno di questi, mettere giù battute anche divertenti o brillanti trascurando l’ambiente (che è fatto di spazi, ostacoli, condizioni meteorologiche, orari, stagioni…).
Asterix e gli Elvezi da questo punto di vista per me è una storia perfetta, un piccolo manuale dello sceneggiatore responsabile. Continuo a seguire il consiglio di Massimo Marconi, il caporedattore di Topolino con cui ho iniziato la mia collaborazione al settimanale e dunque prima di scrivere una storia, qualunque storia, mi sfoglio un Asterix a caso: dentro c’è sempre qualcosa di nuovo (anche se li ho consumati a forza di leggerli) e ci ritrovo lo slancio necessario con cui avvicinarmi alla pagina bianca.
Nella seconda tavola, lo sfondo rosso della terzultima vignetta che funzione ha, secondo te?
Credo non abbia particolari significati. Quel fondo rosso serve a bilanciare meglio la pagina riempiendo l’unica vignetta senza scenografia della tavola.
E perché non è stato disegnato lo sfondo? Per far concentrare l’occhio sull’espressione del personaggio? O magari è semplicemente stata una scelta dettata dall’improvvisazione sul momento?
Forse perché lo sfondo in quel caso sarebbe stato poco indicativo (alle spalle del governatore c’è la parete della casa di Panoramix, un particolare poco riconoscibile per suggerire un vero cambio di ambientazione). Mi piace pensare che Uderzo, dopo la gran quantità di dettagli, si sia voluto prendere una vignetta di riposo, in preparazione del gran finale.
Fino a quando le scrisse Goscinny, le storie di Asterix si dividevano in tre filoni. Quelle ambientate nel villaggio, in cui il tema era la difesa dall’aggressore esterno e la parodia di qualche aspetto della contemporaneità. Quelle a Roma (o Lutezia) più metropolitane. E quelle all’estero. Hai scelto Gli Elvezi perché ti piace quest’ultimo filone o è stata una casualità?
Sull’Asterix di Goscinny sono veramente poco obiettivo. Le storie mi piacciono tutte e per ognuna ho un ricordo particolare. Quest’avventura svizzera mi è sempre piaciuta per il suo ritmo e la caratterizzazione dei personaggi secondari (il viscido e decadente governatore Garovirus contrapposto al severo e integerrimo questore Malosinus, tutti gli ospiti dell’orgia, l’albergatore svizzero). Ma è anche la storia di cui ricordo meglio i dettagli. Come la fonduta che avvolge tutti gli ospiti, il pezzettino di pane che fa scattare le penitenze, le trippe di cinghiale fritte nel grasso d’uro, la spartizione dei tributi del governatore… Piccolezze, se vogliamo, ma quel genere di piccolezze preziose che arricchiscono una storia rendendola per me unica.
Di Asterix e gli Elvezi le cose che mi sono rimaste impresse, invece del grande arazzo, sono propri i dettagli che citi. Hanno uno strano fascino, dato – credo – da questa messa in scena reiterativa e ipnotica.
Il carrellino dell’invalido senza gambe tenuto sollevato da terra da una ragnatela di fonduta che avvolge tutti… Questi per me sono quei tocchi di genio assoluti. Sarei curioso di sapere se si è trattato di un’indicazione di Goscinny o di una trovata di Uderzo (comunque poco importa, l’importante è che ci sia).
Alla gestione post-Goscinny sei meno affezionato?
Sono sempre riuscito a trovare del buono in tutte le storie scritte da Uderzo perché si tratta di un amore cieco – o quasi. Quando il cielo gli cadde sulla testa è un volume indifendibile da qualsiasi punto di vista. Sul dopo Uderzo sono moderatamente ottimista; Asterix e i Pitti non mi ha entusiasmato mentre il successivo Asterix e il papiro di Cesare è più promettente. Gli autori sono attesi da un compito difficilissimo ma sono bravi e mi aspetto di leggere belle storie di Asterix ancora a lungo.
Quando il cielo gli cadde sulla testa è un Asterix che va totalmente fuori dai cardini perché esce dalle “regole” del personaggio. Secondo te era un’idea sbagliata di fondo o è stata l’esecuzione a mandare in vacca il progetto?
Da lettore ho fatto fatica a ritrovare il personaggio e Uderzo. Mi è sembrata l’opera stanca di un autore stanco (cosa che probabilmente in quel momento Uderzo era davvero). Tutta la tirata con il confronto tra Toon e Nagma, il pianeta Tadsylwien… Non so, è una cosa che mi ha messo tristezza, una storia non degna di Asterix e dei suoi autori perché totalmente distante dallo spirito della serie. Era l’idea sbagliata di un autore anziano che ha usato il suo personaggio per affrontare un argomento totalmente fuori dal tempo e di nessun interesse per i suoi lettori, vecchi e giovani. Una storia poco lucida, ecco. Capita anche ai migliori e mi ha ricordato l’importanza di uscire di scena quando sei al massimo dello splendore e non aspettare l’umano, inevitabile declino. Però, a costo di ripetermi, è talmente enorme quello che Goscinny e Uderzo hanno fatto nella loro splendida carriera che gli si perdona anche una storia così.
Quando hai scoperto Asterix?
Ad Asterix sono legati tanti bei ricordi personali. Ho scoperto il personaggio sulle pagine del Giornalino e la prima storia letta da bambino fu Asterix gladiatore nel 1976. È stato amore a prima vista. E quando scoprii che in libreria esisteva una collezione completa con dei libri riconoscibili fin dalla costa, con la loro lancia romana, strinsi un accordo con i miei genitori: per ogni buona pagella e ogni promozione (oltre che per il compleanno e Natale) avrei potuto comprare un Asterix. Ero alle elementari e il ricordo delle visite periodiche in libreria per scegliere un nuovo volume di Asterix resta per me indelebile e importantissimo, perché mi rimanda alla gioia della scoperta di una nuova avventura, all’incertezza sofferta di fronte a quelle copertine e quei titoli. Con Asterix ci sono cresciuto e quelle storie, lette e rilette fino allo sfinimento, sono state una lezione importantissima che mi ha aiutato a scegliere, da adulto, quello che poi è diventato il mio lavoro.
Quindi quando nel 2016 è uscita la storia di Topolinix hai provato un moto di invidia verso Tito Faraci o l’idea di scrivere una versione di Asterix ti avrebbe intimorito?
Nessuna invidia. E’ un’operazione che non avrei fatto, ma Tito ha fatto benissimo ad accogliere l’invito. Topolino e Asterix sono due pesi massimi del fumetto umoristico di tutti i tempi e, secondo me, non sono compatibili. Come omaggio è stato divertente ma come è possibile fare la parodia di qualcosa che è già a suo modo parodistico? Tex, Dylan Dog o Nathan Never puoi parodiarli, sono personaggi seri e drammatici. Ma Asterix è già estremamente divertente di suo, come puoi essere più divertente di Goscinny e Uderzo?