Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le coversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica debutta in Italia Tom Toro, vignettista del New Yorker. Il suo percorso professionale è una piccola parabola sulla perseveranza. Dopo aver frequentato la scuola di cinema a New York – il suo sogno era diventare un animatore per Disney – Toro decise di tornare alle sue radici, i fumetti. Ma gli editor del New Yorker continuarono a rifiutare i suoi lavori finché, dopo 610 tentativi, si convinsero della bontà delle sue vignette. Ecco cosa ha scelto per noi.
Dragon Ball è il fumetto che mi ha iniziato alla nona arte, da bambino. Prendevo il treno per San Francisco con il solo scopo di andare a Japan Town, il quartiere giapponese della città, e comprarmi le nuove uscite (ci sarà stata sicuramente una libreria più vicina a dove vivevo io, a El Cerrito, ma il pellegrinaggio a Japan Town mi sembrava più appropriato).
Non so una parola di giapponese. Non avevo idea di quello che si dicevano i personaggi. A oggi, i loro nomi sono un mistero per me. La lingua era solo un altro elemento di design sulla pagina e aggiungeva dettagli a questo universo in bianco e nero, denso, gioco e strano. Nonostante mi perdessi molto, non essendo in grado di seguire la trama, colmavo i vuoti inventando la mia storia personale, con i dialoghi che si venivano smentiti dagli eventi successivi. Per me Dragon Ball era un mondo di pura immaginazione e fantasia, arte grafica nel suo senso più veritiero.
E come mai hai scelto proprio il n. 26 della serie?
C’è una motivazione triste dietro a questa scelta. È l’unico numero che ancora posseggo – l’ultimo sopravvissuto di una collezione quasi completa. Quando ero in prima media qualcosa mi spinse a vendere tutti i miei fumetti a un amico. Non so perché. Penso mi fossi convinto di essere troppo vecchio per leggerli; forse era uno di quei gesti di maturità autoimposta che ci fa agire contro il nostro volere, da adolescenti. Come fumare o assaggiare la birra.
Inoltre, credo che c’entrasse una ragazza (chercher la femme!). Vendendo i miei fumetti forse pensavo di impressionarla – anche se non riesco a spiegarmi come sarebbe successo esattamente. Avrebbe pensato che fossi un uomo d’affari lungimirante? O più maturo degli altri ragazzi? Troppo acculturato per cose così infantili? Chi lo sa. Quello che invece so bene è il senso di rimpianto che comportò quella transazione. Quel bastardo che se ne andava via con i miei prezioni Dragon Ball! Che gran sbaglio! E alla ragazza nemmeno importò niente.
La mia unica consolazione fu che non mi ero sbarazzato dell’intera serie; a casa mi aspettava, in solitudine, un solo numero che aveva scelto come ricordo. Rileggendolo oggi, non riesco a ricordare le qualità che me lo fecero scegliere sugli altri (conoscendo la mia indecisione, devo averne scelto uno a caso prima della scadenza che mi ero imposto). Resta però un buon esempio delle cose che adoro di Dragon Ball: disegni mozzafiato, azione senza fine, violenza gratuita e umorismo irriverente.
Ok, andiamo sulla doppia pagina che hai selezionato, nella sua composizione originale.
Queste due pagine sono una campionatura di Dragon Ball al suo meglio – dal mio punto di vista, ovviamente, di lettore che preferisce le scene di lotta non capendo una parola dei dialoghi. L’energia assoluta resa sulla carta da vignetta a vignetta è meravigliosa. Il modo in cui i personaggi contrastano la gravità e si muovono con tale energia e velocità – è davvero il modo in cui i ragazzini combattono nella loro immaginazione. Mi ricordo che anch’io correvo per il cortile con i miei amici eseguendo queste manovre ninja complesse e anche se sembravamo dei bambini goffi a un osservatore esterno, nelle nostre teste eravamo guerrieri epici. Dragon Ball si inseriva in questo immaginario in maniera vivida.
Tieni a mente che questi erano anni pre-Matrix. Nel 1991 se un ragazzino voleva vedere dei personaggi volare, trasformarsi, risorgere e lanciare palle di fuoco doveva leggere Dragon Ball. Era assolutamente spettacolare. E, a oggi, ritengo che possieda qualcosa che manchi a tutto quel filone d’azione, l’umorismo. Momenti di levitas. Non vedi mai Neo fermarsi durante una battaglia con l’agente Smith per mordergli il braccio, per esempio. Ma in Dragon Ball quelle cose succedevano sempre. Pensiamo che l’eroe stia per essere soffocato a morte, che stia abbarbicato alla vita, quando all’improvviso affonda i denti nella coda del cattivo, causando una reazione da commedia fisica. Il fluttuare costante tra alto e basso, violenza e farsa, è quello che rende Dragon Ball così duraturo e appassionante.
Pensi che questa passione abbia lasciato dei segni nel lavoro che fai oggi?
È difficile per me individuare degli elementi stilistici che ho preso in prestito e ho incorporato nei miei lavori (probabilmente sono nascosti da qualche parte se si cerca a fondo), ma sarò sempre debitore a Dragon Ball per aver ispirato il mio amore per il disegno e per il racconto visivo.
*English version in the next page.