Quando si approccia un autore come Mazzucchelli ci si trova dinanzi a un’impasse: c’è quasi una frattura, uno iato tra il David Mazzucchelli che prestò le sue matite al genio ancora florido e positivamente anarchico di Frank Miller e quello che attraverso l’esperienza di Rubber Blanket è giunto alla definizione di un nuovo canone fumettistico con Asterios Polyp. È quasi difficile pensare queste opere come frutto di un unica mano, di un solo genio. Eppure al loro interno vi sono assonanze che ritmano un itinerario ben preciso: un percorso più unico che raro, ma che ritaglia con lucidità un’idea ben precisa e che coglie forse la natura stessa del narrare per immagini.
Rinascita e Asterios Polyp sono in sostanza due storie di caduta e redenzione. Certo, Matt Murdock e Asterios Polyp sono personaggi distanti e diversi: l’uno figlio della working class che porta sulla sua pelle i segni di una vita sull’orlo dell’abisso, l’altro un teorico distaccato e ironico, tipicamente inserito in un ambiente dove la chiacchiera e la curiosità leziosa dettano il ritmo di una vita abitata da maschere e finzioni sociali. L’uno è il simbolo di quell’America che dal basso ha contribuito a creare il mito del loser sempre pronto a redimersi e a innalzarsi nella sua fierezza, l’altro è il frutto di quell’intellinghezia post-moderna dove la forma è più importante della sostanza. Eppure, entrambi, inseguendo il loro mito personale a volte, perdono di vista se stessi e il proprio contatto con il mondo.
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In Daredevil #232, Mazzucchelli ritrae Matt in un attimo di pace. Ha ritrovato da poco Karen Page dopo averla strappata alle mani di Paulo. Dopo aver passato la notte accanto a lei nel tentativo di aiutarla a superare le sofferenze indotte dall’astinenza da eroina, Matt si dedica a semplici azioni quotidiane, che lo strappano all’inferno in cui era caduto. Matt si rade: con una sequenza ravvicinata di close up, Mazzucchelli segue la gestualità dell’atto. Una striscia di quattro vignette che seguono da vicino il rasoio sul volto di Matt e che coronano un’immagine in cui Karen dorme avvinghiata al costume di Devil, sotto la luce di un lucernario da cui possiamo spiare l’interno di quell’abbaino.
Questa tavola rimanda a una sequenza centrale in Asterios Polyp: è il flashback che interviene mentre Asterios, ormai in fuga da tempo, scopre una vescica sotto il suo piede sinistro. Hana Sonnenschein l’aveva preso in giro per una vescica che lo stesso Asterios si era procurato indossando scarpe scelte non affidandosi al buon senso empirico, ma inseguendo un non meglio identificato principio di “scarpità”. Il flashback che segue vede Asterios – in una sequenza che attraversa le pagine – aiutare Hana con un coltellino svizzero a sfilare un cotton fioc dall’orecchio. La sequenza diegetica è circondata da una costellazione di ricordi che si affollano e da cui Asterios selettivamente recupera solo l’aneddoto ricordato: le vignette mostrano squarci di intimità, di vita vissuta, di quotidiana banalità che sfumano nell’indefinito, ma che rappresentano quanto di più prezioso si possa serbare nella memoria.
In entrambi gli esempi citati, la rinascita passa in maniera interstiziale attraverso il banale, recuperato nell’intimità o sublimato nel ricordo: i personaggi di Mazzucchelli acquistano un principio di realtà, abbassandosi dall’eccezionalità della narrazione mitica per giungere attraverso un percorso empatico al lettore.
Mazzucchelli però mostra continuità non solo tematiche ma anche formali, se si confrontano due opere come Batman: Anno Uno, ancora in coppia con Frank Miller, e Big Man, racconto dal sapore sudista che rivaleggia per afflato “religioso” tanto con Rinascita – nel campo della Nona Arte – quanto con la letteratura della “grazia” di Flannery O’Connor.
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La copertina di Detective Comics #407 del maggio 1987 – con la quarta e ultima parte di Year One – rimanda con evidenza a una vignetta centrale di Big Man, quella in cui il gigante buono si ribella e spezza le catene per assalire il poliziotto che ha appena colpito la piccola Rebecca: la sofferenza inutile e il sopruso svegliano dall’intorpidimento il protagonista silenzioso dell’apologo sul Male di Mazzucchelli.
Fra i due lavori corre un lustro, eppure, pur appartenendo a contesti editoriali differenti e quasi antitetici, Mazzucchelli sembra optare per entrambi per uno stile iconico e fortemente influenzato dal peso dei volumi di scuola kyrbiana. C’è una plasticità tutta basata sull’uso dei contrasti che danno peso specifico alle figure con risultati però simbolicamente diversi: da un lato, il Batman di Year One è privato di quell’aurea mitica, intoccabile e quasi forzatamente naïf propria del fumetto supereroistico, giocando su un realismo violento che ha il parallelo più immediato nel Batman di Adam West; dall’altro, invece, Big Man acquista una statura quasi salvifica e sacrale per la piccola comunità al centro della vicenda. Si agita lo spettro di Hulk, in quella statuarietà granitica.
Ma, l’opera che forse rappresenta lo snodo e la sintesi tra lo stile realista e quello minimalista e retrò dell’ultimo Mazzucchelli è sicuramente il racconto pubblicato nel 1988 su Marvel Fanfare #40 (“Chiaroscuro”, in Italia tradotto su Star Magazine n. 16).
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C’è quasi un rimando agli interni fotografati in Asterios Polyp o in racconti come Dead Dog, apparso sul primo numero di Rubber Blanket, nonché un’essenzializzazione del segno, sempre più vicino al classicismo di un Jack Cole o alla plasticità di Jack Kirby. E poi troviamo un utilizzo del colore ormai sempre più vicino a quello della sintesi “metafisica” di Asterios Polyp, dopo la ricerca avanguardistica e quasi fauvista del periodo indipendente attraverso l’uso della bicromia.
Le opere di Mazzucchelli, per quanto distanti fra di loro, mostrano quindi una continuità fatta di assonanze e divergenze, a testimonianza di un’evoluzione costante, ma anche un’identità altrettanto forte, che lo ha reso a dispetto dell’esigua mole di opere prodotte tra gli artisti più influenti del fumetto americano.