L’altra tavola che abbiamo commentato, paradossalmente, pareva più di ‘apertura’ che di chiusura. Là i personaggi si presentavano finalmente liberi dall’inferno delle convenzioni (americane): i condizionamenti della vita e/o le convenzioni del fumetto (della strip sindacata). Costrizioni contro le quali lo stesso Watterson, nel suo conflittuale percorso professionale, si è a lungo battuto, e in parte con successo.
In questa tavola, che fu invece la terzultima sunday page, tutto è costrizione – con humour, ovviamente – poiché ciò che commenta è la vita vera. Non siamo più in un limbo imbiancato, un paradiso idealizzato. Si corre in avanti, alla ricerca di un mitico “istante di gratificazione”; ma se tutto è troppo veloce – “quickly” – alla fine si inciampa. Come nella vita vera. Il grande senso del movimento dei corpi, quasi fossero fatti di gomma, così come il dinamismo compositivo della tavola, ne sono un’espressione perfetta. Il ritmo delle vignette, dal formato piuttosto variabile e quasi incastonate in modo caotico – all’interno di una tavola asimmetrica, privata di una propria, coerente spazialità – suggerisce quindi l’illusione di un movimento che, in quanto illusorio, non può non arrestarsi.
La neve, infine. Che qui non si scioglie in “disegno puro” – linea nel vuoto, segno nel bianco come nella tavola del 1995. Anzi, Watterson sembra sottolinearne il significato di “materia” per eccellenza, nella quale i due amici cadono, coprendosi di bianco. In quella tonda vignetta-zoom, bordata di nero, solo momento di assenza del colore e di disegno ridotto al grado zero, Watterson racconta la neve come apparenza grafica della realtà. Un piccolo assaggio della realtà con cui Calvin spesso si scontrerà; ma una “realtà morbida” voluta da un creatore benevolo, che prepara (disegna) un futuro di conflitti mirabili, vivificanti, e persino – come spiegherà la sunday page finale – fonte di un percorso di scoperte e di sorrisi. La neve che copre, ma anche la neve che rivela – la forza stessa del disegno.