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Mark Millar, il pallonaro dei fumetti

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Mark Millar fumetti

«La vostra storia è completa. I disegni sono finiti. I colori e il lettering sono stati fatti e ora il fumetto è pronto per essere stampato. Ma siete solo a metà della battaglia». Così Mark Millar ha introdotto le proprie regole su come lanciare i fumetti nel marasma delle uscite da fumetteria.

Di Mark Millar e dei suoi fumetti ha già detto quasi tutto Evil Monkey, ma c’è un aspetto dello sceneggiatore scozzese che fa giurisprudenza a sé, ed è il modo in cui pubblicizza i propri lavori. Da consumato showman del fumetto, l’autore gestisce con mano ferma ogni sua propaggine sociale, dal forum a Twitter, attraverso dichiarazioni spaccone e annunci magniloquenti.

Di recente Bleeding Cool ha ripercorso le bufale più eclatanti prodotte da Millar a fini ludici o di marketing. Meritano di essere ripercosse perché costituiscono la fase conclusiva dell’attività di scrittura di ogni opera. Millar non usa il marketing soltanto per far parlare dei propri lavori ma anche per definire se stesso e alimentare la sua reputazione, passando dall’essere semplice sceneggiatore a marchio, brand di peso al pari di una corporazione.

«Se non avete un reparto marketing a vostra disposizione, vi conviene diventare creativi e trovare altri modi per farvi pubblicità». Il guerilla marketing sta tutto in questa frase che Millar ha scritto sul proprio forum. Mark Millar ne è un convinto credente e spesso ha fatto uso di mezzi non convenzionali per reclamizzare i propri fumetti.

Nel 2008 creò un account su Youtube chiamato Kick1988 con cui caricò un video sgranatissimo in cui un vigilante combatteva un gruppo di teppisti, portando nella realtà le fantasie descritte in Kick-Ass. Per Nemesis, Millar e i suoi photoshopparono un cartellone tra le insegne di Time Square (uno spazio pubblicitario lì può arrivare a costare quattro milioni di dollari, Millar giustificò l’iniziativa dicendo che i soldi provenivano dalle royalty di Kick-Ass). Con Superior, invece, bastò un piccolo ritocco per far comparire il fumetto tra le letture del presidente Obama. La foto in questione non venne postata direttamente da Millar, ma diversi indizi ricondussero a lui lo stunt pubblicitario.

Rientra in questa categoria anche un’altra iniziativa, la più bizzarra mai venuta in mente a Millar. All’epoca dell’uscita di Starlight, l’autore sponsorizzò su Twitter il video di Elizabeth Hodge, autoproclamatasi Granny Comics, una signora di Londra che si era tatuata sulla schiena la copertina del primo numero della serie. Arrivò a creare un set di account social per il personaggio, interagendoci su Twitter e dandole visibilità. Anche se l’autore non l’ha mai ammesso, la bufala è stata smascherata agilmente grazie a un paio di indizi: Hodge scrisse di essere in procinto di debuttare con un podcast a tema fumettistico, ma dopo il suo exploit abbandonò ogni comunicazione. Inoltre, la copertina era stata svelata troppo di recente, all’epoca, perché una persona potesse ricavarne un tatuaggio di tali dimensioni. Di certo è stata l’idea più straniante di sempre per pubblicizzare un fumetto.

Più subdole sono state le manipolazioni della stampa che Miller ha attuato a proprio favore negli anni. Nel 2014, in un rigurgito di cinismo, ideò un campagna di sensibilizzazione che serviva a conferire al suo nuovo lavoro, MPH, ambientato a Detroit, l’aurea di un «fumetto da “denuncia sociale”, che parlasse delle condizioni delle persone povere e di colore ai tempi della crisi» (parole di Daniele Croci) – magari con il sostegno ideale di un rappresentante famoso (dei neri, non dei poveri) come Barack Obama, a cui Millar spedì una copia del fumetto.

Non solo, in molte interviste descrisse con dovizia di particolari il processo di documentazione che comprendeva duecento pagine di appunti, un viaggio a Detroit e testimonianze locali. In particolare, Millar disse di aver tastato il polso della situazione di Detroit durante un tour promozionale. Ma l’ultimo tour noto risale al 2008 e non toccava le zone citate dall’autore. Inoltre, dichiarò che in quel tour «tutto quello che facevamo era firmare il nostro nome per quattro ore, viaggiare su aerei di prima classe e andare a bere fuori ogni sera». Insomma, fosse anche vero il lavoro di documentazione, le modalità con cui è avvenuto sono state ben diverse, e la storia raccontata da Millar pare costruita apposta come bella risposta alla domanda dell’intervistatore.

wanted movie mark millar

Anni prima, per spingere l’adattamento di Wanted, il suo primo fumetto diventato film, lo scozzese mise in giro la notizia che Eminem – il rapper che aveva ispirato le sembianze del protagonista, un po’ come Samuel L. Jackson per il Nick Fury dell’universo Ultimate – aveva firmato per prendere parte alla versione cinematografica dell’opera. La notizia aveva debuttato su un edizione locale del Sunday Times, scritta dallo scozzese Sanay Bosko (un sodale di Millar), ed era poi rimbalzata fino alle testate statunitensi. Senza nessuno che si preoccupasse di controllare le fonti, lo scoop generò una frenesia autoalimentata, un hype circolare che fece parlare di Wanted con più efficacia di tante campagne pubblicitarie. Alla stampa, Millar fece sapere di non essere a conoscenza della cosa. Poco dopo. la Universal annunciò di aver opzionato i diritti per l’adattamento del fumetto, ma la notizia del casting di Eminem si perse tra le chiacchiere.

Lo schema è stato riutilizzato di recente per Empress, serie a fumetti fantascientifica creata con Stuart Immonen la cui trasposizione cinematografica era stata annunciata ancor prima della sua uscita nelle fumetterie (e si è poi concretizzata lo scorso maggio). Per fomentare la cosa, Millar ha pubblicato su Twitter l’immagine di una donna bardata con sciarpa e occhiali da sole, aggiungendo che l’attrice, un pezzo grosso di Hollywood, avrebbe svelato la propria identità il mese successivo. Tempo quattro settimane e sul social dello sceneggiatore ha fatto capolino la stessa donna senza la sciarpa ma con ancora gli occhiali addosso. «Gli occhiali verranno via il 4 maggio», recitava il cartello tenuto in mano dalla donna. Il 4 maggio è passato e, annuncio del film a parte, non se ne è più saputo nulla. Sembra – ma come scrivono su The Outhousers, la faccenda resta abbastanza fumosa – che sotto non ci sia nulla più della volontà di far parlare di sé, come al solito, tanto che le due foto raffigurerebbero due donne diverse (una collaboratrice di Millar la prima, l’attrice scozzese Louise Stewart la seconda).

Un’ultima, colossale, panzana – questa non collegata a nessun intento promozionale – ha visto Millar scoprire un adattamento mai realizzato di Batman a opera di Orson Welles. Ve ne avevamo già parlato, ma in breve Millar decise di chiudere col botto la rubrica The Column, che curava per il sito Comic Book Resources, omaggiando la burla de La guerra dei mondi, lettura radiofonica di Welles del romanzo di H. G. Wells che aveva scatenato il panico nel paese. Il pezzo di Millar era confezionato a modino e includeva perfino un finto concept art disegnato da Bryan Hitch sotto mentite spoglie.

Anni dopo, CBR rivelò la genesi della beffa nella rubrica Comic Book Urban Legends Revealed: «Era l’omaggio di Millar allo scherzo di Welles su La guerra dei mondi. Coinvolse Bryan Hitch e gli chiese di schizzare un bozzetto; per dargli un aspetto antico, lo passò via fax e noi passammo un’altra volta la copia via fax, in modo da accumulare un paio di generazioni. Aiutò a rendere il tutto più autentico. Fu l’ultima rubrica di Millar e di certo la più popolare.»

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