Clichy-sous-Bois, sobborgo popolare a est di Parigi, prima metà degli anni Trenta. Un bambino si è fermato lungo la strada verso casa. A bocca aperta osserva tre manifesti affissi a un muro, che reclamizzano l’arrivo del circo e dei famosi clown Fratellini. Ogni poster, il ritratto di uno dei fratelli: Paul, François e Albert. «L’ultimo si chiama proprio come me!» avrà pensato il ragazzino, mentre tornava a casa sognando una carriera da pagliaccio.
Nel 1999 quello stesso bambino ha 72 anni. Da mezzo secolo è uno dei disegnatori di fumetti più importanti al mondo, da quando ha creato con René Goscinny il personaggio di Asterix. I suoi disegni hanno fatto ridere decine e decine di milioni di persone in tutto il mondo; i diritti sugli albi, i film, il merchandising, il parco di divertimenti dedicati al piccolo gallo l’hanno reso ricchissimo; ha una sua casa editrice ed è un mito per tutti i lettori cresciuti con le sue storie.
Eppure, rispondendo alle domande di Numa Sadoul per il libro-intervista Uderzo l’irréductible, non riesce a fare a meno di schermirsi e a tornare a essere il ragazzino che, con il naso rosso nell’appartamento di famiglia, voleva far ridere i fratelli e i genitori. «Mi fa sorridere quando vedo tutte queste discussioni sul personaggio, su cosa rappresenti in filigrana o in seconda lettura, su cosa c’è sotto, perché è stato creato… Come ha detto René: “Siamo comici che esistono solo per far divertire un po’ il pubblico!”.»
Come fu che Albert Uderzo cadde da piccolo nel boccino della china
Alberto Aleandro Uderzo, figlio di un liutaio vicentino e di una madre spezzina, nato a Fisme, nella Marna, il 25 aprile 1927, è morto il 24 marzo 2020. Autodidatta, iniziò a disegnare da giovanissimo, spinto dall’amore per i fumetti, in particolare per il Topolino di Floyd Gottfredson.
Nel 1940 il fratello maggiore lo convinse a candidarsi, a soli 13 anni, come disegnatore tuttofare presso la casa editrice Société parisienne d’editions, dove conobbe il fumettista Calvo e decise che quella sarebbe stata la sua strada. Per oltre 10 anni disegnò di tutto, dai fumetti d’avventura ai volantini dell’armata dell’esercito francese dove era stato arruolato, dai cartoni animati alle vignette d’attualità, finché, all’inizio degli anni Cinquanta, non conobbe Georges Troisfontaines e la sua agenzia World Press.
Lì strinse un doppio sodalizio artistico con René Goscinny e Jean-Michel Charlier (raccontato da Boris Battaglia qui, qui e qui), che portò nel 1959 alla nascita della rivista Pilote, di Tanguy e Laverdure e soprattutto di Asterix.
L’influenza che il suo lavoro ebbe sulle generazioni successive è incommensurabile. Bastava scorrere i social il giorno della sua scomparsa per imbattersi in decine, centinaia di messaggi di cordoglio e di omaggi. Autori di tutto il mondo hanno imparato ad amare il fumetto sulle sue tavole, hanno cercato più o meno coscientemente di imitarne lo stile.
Uno su tutti, Giorgio Cavazzano, che nei lavori extra Disney, come Altai & Jonson o Capitan Rogers, ma anche nel suo periodo più sperimentale su Topolino, è stato profondamente influenzato dal maestro francese. Un amore viscerale di lunga data, come ci ha dichiarato:
Senza il grande Maestro, mai e poi mai avrei raggiunto un mio percorso creativo. Devo a lui l’avermi aperto, grazie alla sua genialità, un nuovo mondo creativo. Ricordo quando per caso acquistai il mio primo Asterix, Asterix legionario, e lo portai pieno di entusiasmo da Romano Scarpa. Allora Romano era il più importante autore del Topolino. Romano sfogliò qualche pagina dell’album con disinteresse dicendomi: «Caro Giorgetto, non è Disney». Chiuse l’albo e me lo ridiede ritornando alle sue matite, Rimasi di stucco e senza parole.
Ritornato a casa incominciai a studiare quei magnifici disegni, le espressioni dei personaggi e quella dinamica meravigliosa che poi sarebbe stata la mia vita. Che posso dire in più del Grande Uderzo? Forse tutti gli acquisti che ho fatto nella libreria francese in via Hoepli a Milano? Il suo Umpah-pah? Taguy e Laverdure, albi che conservo gelosamente e consumati dalle mie letture?
Mi auguro che egli possa sorridere dall’alto delle luminose nuvolette per questo mio sincero grazie. Un inchino, Grande Albert.
Albert Uderzo era forse il disegnatore perfetto, il collaboratore ideale di ogni sceneggiatore. Era capace di disegnare davvero qualsiasi cosa, dagli animaletti che saltellano nel bosco alle inquadrature urbane a volo d’uccello, di passare dal registro umoristico al realistico senza sforzo, anzi, considerandolo un modo per tirare il fiato e non fossilizzarsi. Il livello, inutile dirlo, era sempre altissimo, già a partire dalle opere giovanili. Un talento naturale, visto che non aveva frequentato alcuna scuola di disegno né era stato a bottega da nessun professionista.
Per rubare a Stephane Beaujean, ex direttore artistico del Festival d’Angoulême, le parole con cui ne ha commentato la scomparsa, «ha reso morbide tutte le forme e ha moltiplicato le immagini con una densità e una leggibilità straordinarie. Ogni album ha testimoniato la sua abilità grafica, ma discreta per riguardo ai non iniziati, grazie a un’impressionante tecnica di inchiostrazione con il pennello che consisteva nel non chiudere tutte le linee. Soprattutto, Uderzo è stato in grado di mescolare in una singola immagine un intero gruppo di registri di tratti diversi senza creare dissonanza. Caricature, grandi nasi (di Asterix) e realismo (di Cesare), coesistevano in perfetta armonia in Asterix a tal punto da non risultare stonati a nessuno».
Nella gamma quasi infinita di possibilità date dal suo talento, eccelleva nel rappresentare le scene dinamiche – cosa perfetta per una serie fatta per buona parte di cazzotti – e nella recitazione dei personaggi, nelle loro espressioni e nella gestualità. Abbinati ai testi di Goscinny, i suoi disegni rasentarono la perfezione per il fumetto umoristico, come sottolineato anche da Makkox e di Francesco Artibani, che hanno vivisezionato per noi due tavole in altrettante mini lezioni di fumetto.
Eppure Uderzo sosteneva che le sue mani non fossero nate per disegnare: «Sembrano quelle di un salumiere», manone grosse e tozze che forzò per tutta la vita a impugnare il pennello per inchiostrare, con conseguenti problemi di salute. I suoi segni a matita rimasero precisi e morbidi fin quasi al suo ritiro nel 2013 – come si può osservare nelle edizioni di lusso di titoli come Asterix e Latraviata, che riproducono i suoi disegni originali – ma già dagli anni Ottanta si era dovuto affidare a Frédéric Mébarki per le chine. I tremori alla mano nell’ultimo decennio gli impedivano di tracciare anche le dediche più semplici.
Sapendo questo, la sua ultima opera pubblica risulta ancora più commovente: in un disegno a pennarello, quasi irriconoscibile per l’incertezza del tratto, Asterix fa volare un nemico fuori dal foglio per l’ultima volta. È datata 8 gennaio 2015, un omaggio realizzato dopo la strage di Charlie Hebdo nella quale morì anche l’amico di lunga data Cabu.
Gli allori di Albert Uderzo
In occasione della morte di Albert Uderzo, Le Monde ha intervistato Jean-Pierre Mercier, storico del fumetto ed ex consigliere scientifico del Musée de la bande dessinée di Angoulême. Alla prima domanda, «Che cosa pensi della morte di Uderzo?», ha risposto: «Una riflessione molto semplice: i geni di questo calibro non hanno avuto tanto successo per caso. Per quanto riguarda Albert Uderzo, tendevamo indubbiamente a dimenticare il suo immenso talento, perché il suo disegno “viveva di vita propria”, nella misura in cui tutti lo conoscevamo dai 7-8 anni».
Secondo Mercier, insomma, Albert Uderzo era quasi dato per scontato dai suoi lettori. Un talento così puro e un autore così radicato nell’immaginario collettivo da non aver bisogno di essere continuamente ricordato e celebrato. Lo si vede chiaramente dalla sua biografia: il primo riconoscimento conferitogli dalla comunità fumettistica fu un premio speciale del Grand prix de la ville d’Angoulême nel 1999, alla ventiseiesima edizione del festival. Lo Stato francese l’aveva fatto Cavaliere della Legione d’onore già da 14 anni; Asterix era un successo di pubblico da mezzo secolo.
«Questo è difficilmente comprensibile» dichiarò nell’intervista con Sadoul. «Non mi cruccio particolarmente, anche se, nel profondo, mi sento sicuramente un po’ ferito. Ma non capisco come un co-autore responsabile di un grande successo non sia considerato di più dai suoi colleghi.»
Lo scollamento tra Albert Uderzo e gli altri fumettisti fu una ferita aperta per gran parte della sua carriera, già dall’epoca del massimo successo di Asterix, quando lui e Goscinny non frequentavano i festival e non si concedevano quasi mai per firmacopie. Gli altri li accusavano di snobismo; loro – sosteneva il disegnatore – lo facevano perché era troppo faticoso cercare di accontentare tutti i lettori, perché tutte le librerie li volevano e loro si sentivano in difficoltà a escluderne alcune.
Ma anche per evitare di mettere in imbarazzo quegli stessi colleghi con un segno tangibile del loro successo, come le code infinite per le dediche. Autoassoluzioni tardive? Può darsi. Ma la separazione tra i due e il mondo del fumetto francese aumentò sempre di più, anno dopo anno.
Secondo Uderzo, alla base c’era un’invidia diffusa, perché nessun altro personaggio francofono, se si esclude Tintin, aveva mai avuto lo stesso successo. Nessuno aveva mai venduto lo stesso numero di copie: Asterix e Obelix giocavano in un altro campionato, con tirature e vendite che raddoppiavano di albo in albo, sfondando nel 1966 con Asterix e i Normanni il limite del milione di copie vendute in due soli giorni. Le loro storie diventavano film d’animazione di successo e programmi radiofonici. Addirittura nel 1965 al piccolo gallo fu dedicato un satellite artificiale, primo fumetto a dare il nome a una missione spaziale, battendo sul tempo anche Snoopy e Charlie Brown.
Il successo rese ricchi i suoi autori, tanto che Uderzo nel 1975 poté esaudire un suo sogno di gioventù e comprarsi una Ferrari, una 365 GT4 Berlinetta Boxer d’occasione, la prima di una vasta collezione. Ricchi ma insoddisfatti, perché soffrivano profondamente per l’ostilità degli altri fumettisti e della critica.
Nel 1973 Goscinny dichiarò a Les Cahiers de la bande dessinée, intervistato anche lui da Sadoul: «Mi era stato detto, all’inizio del successo di Asterix, che l’avremmo pagato questo successo. L’ho pagato, in effetti, a lungo e abbondantemente. Adesso, a volte, ho la tendenza a trovare il conto esorbitante. Allora credo di aver diritto a un rimborso».
Anche Uderzo era dello stesso parere. «Quando disegniamo, prima di arrivare al successo, speriamo innanzitutto in una sorta di riconoscimento da parte di certe persone, compresi i nostri pari, i nostri colleghi. Disegniamo per noi, disegniamo per i lettori ma disegniamo anche per l’approvazione di alcuni colleghi. Allora, quando veniamo praticamente isolati, ne soffriamo un poco, è evidente».
Nel 1977, con la morte di Goscinny, la situazione peggiorò ulteriormente. Era lui il PR della coppia, era lui che rilasciava la maggior parte delle interviste e compariva più spesso in TV, il disegnatore restava sempre un passo indietro. «Anche dopo il successo, non sono mai stato geloso di Goscinny», raccontava. «Era un maniaco del lavoro e amava le interviste, in cui il suo humor faceva fuochi d’artificio, mentre io preferivo restare nell’ombra.»
Così, quando lo sceneggiatore scomparve prematuramente, i giornali di tutto il mondo titolarono che era morto il padre di Asterix, come se Uderzo non esistesse. «Una bestialità», sbottò lui. Di certo però qualcosa si era rotto dentro di lui. Nel giro di un paio di anni la sua vita cambiò completamente, obbligandolo a prendere delle scelte che lo avrebbero reso ancora più inviso ai colleghi.
La Uderzo spa
Goscinny lasciò una sceneggiatura completa inedita. L’ultimo albo pubblicato, Asterix e la Obelix spa, era uscito nel 1976 dopo una prepubblicazione sul settimanale Le Nouvel Observateur. Ma l’editore Georges Dargaud aveva fatto l’ennesimo sgarro allo sceneggiatore, stavolta non rispettando un contratto per Lucky Luke. In risposta, questi chiese a Uderzo di interrompere il lavoro su Asterix e i Belgi, previsto per l’anno seguente.
Non ci fu il tempo per un chiarimento tra i litiganti: il cuore dello sceneggiatore si fermò all’improvviso durante una visita medica. Passato il lutto, l’editore chiese a Uderzo di terminare la storia ma lui si rifiutò, per rispettare la volontà dell’amico. Si andò per avvocati, Dargaud vinse e il libro uscì nel 1979.
A questo punto il disegnatore si trovò davanti alla scelta più difficile della sua vita: cosa fare di Asterix? Portarlo avanti o lasciarlo morire insieme all’amico? Chi avrebbe potuto scriverlo? E sarebbe stato il caso di restare con Dargaud, che non aveva mai investito in promozione e con cui non correva buon sangue?
Dopo lunghe riflessioni, Uderzo decise di fare tutto da sé e diventare, oltre che disegnatore, «falso sceneggiatore e falso editore». Asterix e il grande fossato uscì nel 1980, per Les Éditions Albert René. Da quel momento tutti i nuovi albi di Asterix sarebbero stati pubblicati dalla nuova casa editrice, mentre i diritti dei primi 24, per la Francia e per l’estero, rimanevano all’editore parigino.
A parte quello, tutto il resto era saldamente nelle mani di Uderzo e delle eredi di Goscinny, la vedova Gilberte e la figlia Anne, dall’approvazione del merchandising ai diritti per i film, fino al progetto più ambizioso di tutti: Parc Asterix, un parco di divertimenti ispirato a Disneyland, inaugurato nel 1989 a Plailly, a una trentina di chilometri di Parigi, dopo 5 anni di lavori.
Asterix divenne un impero. Ogni nuovo libro vendeva sempre un po’ di più, nonostante i testi non fossero geniali quanto quelli di Goscinny, e i ricavi dello sfruttamento d’immagine non smettevano di arrivare. Solo i diritti per le edizioni estere dei fumetti sembravano languire, e in Uderzo crebbero i dubbi sulla loro gestione, tanto più che «fin dall’inizio ci eravamo fatti prendere per i fondelli da Dargaud». Risultato: una causa legale che fece storia.
Iniziato nel 1986, il processo si concluse 12 anni dopo. In una prima fase il tribunale obbligò Dargaud a risarcire Uderzo e le eredi Goscinny di una somma notevole, ma il disegnatore non era contento. Rimasto solo, lottò fino a ottenere in toto i diritti editoriali.
Il processo non fece che esacerbare i conflitti tra lui e i suoi colleghi fumettisti. Contro di lui testimoniarono alcuni storici compagni di scuderia di Pilote, tra cui Greg, Enki Bilal o Philippe Druillet, che lo definì addirittura un «Citizen Kane senza talento […] che vuole mettere sul lastrico una casa editrice e tutti i suoi autori per mettere un’altra Ferrari o due nel proprio garage» (parole riferite da Uderzo stesso a Sadoul). Quando vinse la causa, solo l’amico di sempre Tibet e Claire Bretécher si congratularono con lui.
La gestione di tutti i diritti di Asterix era però un impegno troppo importante per il piccolo staff di Les Éditions Albert René. Uderzo e Anne Goscinny cedettero quindi il marchio a Hachette, mantenendone però il controllo editoriale.
Il disegnatore poté quindi fare una cosa che avrebbe voluto fare da tempo: uniformò la grafica delle copertine di tutti i libri, ingrandendo il suo nome e quello di Goscinny, affiancati al logo “Asterix” nella fascia alta. Prima, i nomi degli autori erano più piccoli del logo dell’editore.
Il regalo di Albert
Nell’aprile 2011 Alberto Uderzo fece una cosa impensabile: donò alla Bibliothèque Nationale de France tutte le tavole originali di tre avventure di Asterix, le prime due (Asterix il Gallico e Asterix e il falcetto d’oro) e l’ultima scritta da Goscinny. Un centinaio di disegni originali di valore inestimabile, che si trovano ora nel fondo dedicato ai libri rari, lo stesso che conserva una Bibbia di Gutenberg.
Il disegnatore non si era quasi mai separato dalle sue tavole, se non per regalarne qualcuna a qualche amico, e non le aveva mai vendute. Solo una, nel 2015, fu messa all’asta per beneficenza, per i familiari delle vittime di Charlie Hebdo.
Anzi, pare che l’ultimo grande conflitto della sua vita sia nato proprio per via della copertina di La rosa e il gladio, donata al genero, all’epoca suo agente, e da lui subito messa all’asta. Fu l’inizio della rottura con l’unica figlia Sylvie, che fece causa alla casa editrice e al suo stesso padre sostenendo che non fosse capace di intendere e volere e fosse stato plagiato dalle persone che lo circondavano, in particolare dal suo idraulico e dai responsabili di Hachette.
Uderzo non aveva un carattere facile. Sono numerose le testimonianze di suoi comportamenti ruvidi, se non altezzosi, da primadonna. Lui stesso ha ammesso candidamente di aver partecipato al Festival d’Angoulême nel 2000 solo perché gli avevano assegnato il premio speciale. La volta precedente era stata nel 1985, e solo perché il Ministro della Cultura Jack Lang gliel’aveva chiesto personalmente e gli aveva messo a disposizione un aereo privato per rientrare a Parigi. Ci sarebbe tornato ancora nel 2013, in occasione del suo ritiro dalle scene.
Si comportava con snobismo perché si riteneva davvero superiore a tutti gli altri? Oppure, malvisto dal settore, sentiva in dovere di fare altrettanto e si era cucito addosso una parte? Scorrendo la sua biografia, leggendo le interviste che ha rilasciato e le testimonianze di chi l’ha conosciuto, una cosa però appare chiara, dall’inizio della sua carriera fino alla morte: Uderzo sapeva perfettamente chi era, qual era la sua grandezza, e non accettava di essere considerato un centimetro di meno.
Le lotte con Dargaud, il coraggio di uscire dall’ombra lunga di Goscinny e prendere in mano un’eredità importante come i testi di Asterix, il fatto di voler valorizzare i nomi degli autori oltre a quello del personaggio, sono tutti indizi che mostrano la chiara idea di sé che aveva in mente.
Prima dei soldi per comprarsi l’ennesima Ferrari o un caccia Mirage come quello di Tanguy e Laverdure (e costruirgli un hangar privato, bruciato in un incendio), al figlio del liutaio interessava mostrare al mondo chi era e di cosa era capace. La donazione dei propri originali alla Bibliothèque Nationale de France e la mostra che ne seguì furono un modo ulteriore per rimarcare tutto questo, per dire che lui e Goscinny meritavano un posto nel luogo più sacro della cultura francese, nonostante l’ostilità di colleghi e critica.
«Indubbiamente, Uderzo è stato tra i disegnatori più impressionanti ed è stato ancora più ammirevole poiché non ha mai fatto nulla per far notare questo virtuosismo», ha scritto ancora Beaujean su Facebook.
Siamo d’accordo con lui se si parla di fumetto. La naturalezza con cui il disegnatore realizzava i suoi capolavori era incredibile, vignette e vignette di altissimo livello senza alcun elemento pensato per evidenziare i virtuosismi. Quando disegnava, non ti urlava mai quanto fosse bravo: semplicemente non potevi non notarlo.
Ma fuori dal tavolo da disegno cambiava tutto. Albert Uderzo trasformò la sua immagine pubblica nel suo monumento personale, per mostrare al mondo dove era potuto arrivare, grazie solo al suo talento, il figlio di un immigrato della periferia parigina.
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