Non tutti i nerd vengono per nuocere. In un momento storico dove l’essere nerd è passato da stigma sociale a vanto, qualcuno sta riuscendo a cavare qualcosa di buono da questa etichetta. Dimenticandosi per un attimo della refrattarietà alle novità, della scarsa intelligenza sociale, della totale assenza di reale senso critico e capacità di analisi, quella del super-appassionato dovrebbe essere una definizione che porta con sé prima di tutto una conoscenza enciclopedica dell’argomento trattato. Che si tratti di tennis, tassidermia, storia navale o videogiochi retrò.
Arrivare a scrivere fumetti per vivere, soprattutto di supereroi, solitamente significa prima di tutto esserne profondi conoscitori e grandi appassionati. Non si tratta proprio della tipica professione in cui si incappa per caso, quanto più un sogno coltivato dalla pre-adolescenza (se non proprio dall’infanzia). Logico quindi aspettarsi che tutti quelli nella posizione di mettere il proprio nome in calce a una sceneggiatura abbiano passato anni a leggere l’impossibile, interiorizzandolo e poi facendolo deflagrare al momento di passare dall’altra parte della barricata.
Eppure ci sono autori in grado di portare questo ragionamento logico al gradino successivo, dimostrando una conoscenza della materia al limite del maniacale. Come se nulla di scritto o disegnato fosse scappato al loro sguardo vigile. Penso a Geoff Johns o a Jonathan Hickman e, in minor misura, a Donny Cates. É ormai chiaro come il nuovo scrittore di punta della Marvel stia portando avanti una sua personalissima saga cosmica di testata in testata. Di tutti i personaggi su cui ha messo mano in questi ultimi mesi, il suo Silver Surfer rimane a oggi la cosa più sorprendente del lotto e, al contempo, quella più rispettosa della mitologia su cui si basa.
Silver Surfer Nero rifugge dalla notevole interpretazione del personaggio fatta da Dan Slott e Mike Allred – probabilmente una delle migliori run Marvel di cui paiono essersi dimenticati tutti – e ci consegna un autentico fantasy cosmico, come non se ne vedevano dagli anni di Roy Thomas, Jim Starlin e Steve Englehart.
I toni da commedia brillante, i continui giochetti e le trovate che rendevano la precedente gestione qualcosa di irrinunciabile vengono completamente dimenticati a favore di un brusco ritorno alle origini, quando Norrin Radd era scritto da uno Stan Lee in vena di monologhi carichi di pathos. Il nostro araldo perde tutto il ricco cast che lo accompagnava e si ritrova a vagare solo per il cosmo, mentre il confronto con il suo nemico più pericoloso di sempre si profila presto all’orizzonte. I toni della scrittura ritornano aulici, sempre introspettivi, mentre i ricordi della pop-art di Allred sono via via più lontani.
Non c’è nulla di divertente in Silver Surfer Nero – e lo dico nell’accezione più positiva possibile -, il tono è sempre grave, a tratti addirittura epico. Stiamo parlando di una storia dai toni mitici dove al centro di tutto – al netto di duelli a fil di spada e mutazioni varie – c’è la profonda connessione tra il protagonista e l’Universo che lo circonda. Il tutto raccontato sfruttando suggestioni prese in prestito dal periodo più psichedelico del fumetto USA.
Il vecchio immaginario cosmico della Casa delle Idee – quello di Ego il pianeta vivente, uno dei protagonisti di questa miniserie – si sposa alla perfezione con quanto tracciato dalle ultime generazioni di scrittori. Knull, il semidio creatore della razza dei Simbioti introdotto da Jason Aaron sulle pagine del suo Thor e poi caratterizzato dallo stesso Cates sulle pagine di Venom, è un antagonista perfetto nel suo essere sopra le righe. Attraversa il vuoto siderale a cavallo di un drago furioso, mentre la sua arma è un tremendo spadone a due mani intriso di tenebra.
Se c’è un merito che sarebbe davvero disonesto non riconoscere a Cates è il fatto di non essersi posto nessun limite nello sceneggiare una storia che non ha paura di cadere nel ridicolo. Anche i richiami al misconosciuto Black Racer di Jack Kirby, lo sciatore nero personificazione della morte in cui Norrin Radd sembra destinato a trasformarsi, testimoniano una genuina passione per la materia e la voglia di viverla con il trasporto e l’assenza di cinismo dei creatori di questo immaginario.
Se Cates non ha avuto remore nel costruire una sceneggiatura che fa dell’accumulo e del recupero di suggestioni del passato il suo scheletro portante, quello che rende Silver Surfer Nero qualcosa di davvero alieno rispetto alla produzione del fumetto mainstream statunitense è il disegnatore Tradd Moore (qui coadiuvato ai colori di Dave Stewart, anche su queste pagine perfetto come di suo solito).
La capacità di stilizzazione del fumettista è stata evidente fin dai suoi esordi su The strange talent of Luther Strode (2012), restituendoci tavole complesse ma sempre dotate di un tratto così pulito da rendere immediatamente leggibile anche il più minuto particolare. E di solito Moore di particolari ne mette parecchi. Il suo stile pare richiamare la precisione di un Frank Cho unita al gusto della deformazione tipico di tanti disegnatori venuti alla ribalta durante decennio scorso (a partire da Rob Guillory). Su queste pagine fa l’ennesimo salto avanti e decide di arricchire il suo stile con suggestioni psichedeliche. La linea rimane quella plastica e decisa di sempre, ma le tavole si arricchiscono con geometrie alla Milton Glaser, i panorami alieni di Peter Max, oltre che influenze da Victor Moscoso e Bonnie MacLean.
In fondo Silver Surfer Nero parla di trasformazioni, quindi era logico immaginarsi un disegno fluido, quasi liquido. In questo senso il lavoro di Moore e Stewart è perfetto. Il feeling cosmico di tutta la saga viene esaltato al massimo da scelte che pescano a piene mani da suggestioni di fine anni 1960, in piena epoca psichedelica. Al contempo una scelta grafica simile ci racconta di un viaggio tutto interiore del protagonista.
Non siamo molto lontano da quel cliché cinematografico in cui il personaggio di una vicenda si ritrova immerso in un trip psicotropo da cui ne riesce totalmente trasformato. Solo che questa volta siamo più dalle parti di una sorta di enorme lava lamp cosmica in cui Silver Surfer fa la fine della goccia di mercurio destinata a cambiare aspetto in continuazione.
Se Cates pesca dal passato del personaggio per scriverne una grande storia che resta comunque nei binari della tradizione – pur puntando sempre ad alzare il tiro, spesso in maniera vertiginosa -, chi si occupa dei disegni non si è risparmiato in nessuna maniera. Ogni tavola di questi cinque numeri pare progettata per stupire il lettore a ogni costo, a volte anche a discapito della narrazione.
Ci sono deformazioni, esplosioni barocche di particolari, stilizzazioni geometriche, vignette riprese più volte in contesti diversi, richiami a Jack Kirby e a Moebius come al cubismo. Il tutto senza mai abbandonare una paletta grafica squillante e incredibilmente piena, dove le sfumature sono per la maggior parte rese con campiture di colore piatto mentre occasionali gradienti acidi fanno capolino solo quando richiesti da visioni particolarmente allucinate.
Silver Surfer Nero è un fumetto mainstream tra i più atipici che leggerete quest’anno. La scrittura ripesca a piene mani dalla tradizione del personaggio, lasciandosi alle spalle facili ammicchi e battutine varie, a favore di una narrazione spesso a un passo dal kitsch più sfrenato. Graficamente il lavoro svolto è davvero incredibile, con picchi di follia che difficilmente rivedrete in un fumetto Marvel. Tradd Moore si conferma un virtuoso in grado di unire certo gusto bombastico della produzione supereroistica con raffinatezze grafiche pescate da mondi lontanissimi tra loro. Forse la semplicità e la relativa inconsistenza del plot non lo renderanno un classico istantaneo come quello di Slott e Allred, ma rimane comunque una delle uscite più suggestive degli ultimi mesi.
Silver Surfer Nero
di Donny Cates e Tradd Moore
traduzione di Giuseppe Guidi
Panini Comics, gennaio 2020
cartonato, 120 pp., colore
16,00 €
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