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Sunday Page: Pablo Cammello su Jacovitti

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Ogni settimana su Sunday Page un ospite ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica ospitiamo Pablo Cammello. Nato a Lecco nel 1989, ha frequentato la Scuola del Fumetto di Milano. Nel 2011 ha esordito con l’autoproduzione Metastasi. È membro fondatore del trio Infame Studio, insieme a Spugna e Marco Caselli, nonché autore di Storia di un cadavere (con Nova), Giallo arcobaleno e Tumorama, definito «una lettura sempre in grado di regalarti qualcosa di inaspettato».

cocco bill jacovitti

È più o meno per colpa di Jacovitti se oggi sono uno straccione che fa i fumetti. Nel 1997 o giù di lì avevo 8 anni e come premio per essermi fatto togliere un dente o prelevare il sangue (o forse tutt’e due le cose contemporaneamente), mi regalarono questo volume di CoccoBill Diquàedilà pubblicato da Sergio Bonelli Editore.

Fu subito amore. Per certi versi in quel volume ho scoperto potenzialità del fumetto che finora mi erano oscure. La tavola che ho scelto è abbastanza rappresentativa della follia creativa autistica di Jacovitti.

Nel momento di climax dello scontro finale, le tavole deflagrano e la composizione stessa delle vignette diventa protagonista della narrazione. In questa pazza divisione simmetrica, Coccobill e il suo avversario scivolano per le vigne diagonali pistole alla mano, portando il lettore a leggere la narrazione a zig zag, con carica dinamica, fino ad arrivare al vero e proprio duello definitivo sul fondo della tavola.

In questo marasma di horror vacui scoprii forse per la prima volta la metanarrazione. I personaggi sono consapevoli di essere fumetti e sanno che il loro scontro si svolgerà nell’ultima vignetta. Perfino Jacovitti stesso compare in un dettaglio al margine della tavola, nelle vesti di deus ex machina, e aiuterà l’eroe a vincere grazie alla sua agguerrita matita.

Anche i colori aiutano a comprendere la gerarchia di lettura, lasciando le parti esterne alle vignette che formano la X, in tonalità monocrome di magenta. In tutta questa abbondanza di dettagli, protagonista indiscusso è l’omino coi baffetti fuori contesto che dichiara «Io sono qui per riempire questo spazio».

Trovo molto arguto come abbia creato un vero loop in cui il cattivo perde l’arma, recuperata da Cocco Bill che la usa contro di lui, con una scansione dei tempi precisissima. Il tuo giudizio su Jacovitti come autore è cambiato da quelle letture da bambino, l’hai poi riscoperto più avanti nel tempo o le sue peculiarità ti erano chiare già all’epoca?

Le sue peculiarità sono state chiarissime fin dall’inizio, ma sicuramente oggi ho una visione più completa della sua opera.

I primi anni delle superiori mi vidi una mostra a Bergamo che raccoglieva tutto il suo percorso e vidi come aveva reinventato la sessualità col suo Kamasultra, e scoprii i primi suoi lavori su Pippo, Pertica e Palla. Ma tra tutte le storie per forza di cose rimango sempre legato a quel mio primo albo di Cocco Bill.

L’idiosincrasia di riempire la pagina con il disegno secondo te era sempre funzionale o portava in certi casi a un crollo della tavola per sovrabbondanza di stimoli e immagini?

Aveva trovato un modo diverso di raccontare e l’aveva portato all’estremo. Un po’ come faceva Bosch nei suoi dipinti.

Sicuramente era poco funzionale alla storia e più attento all’effetto strabordante della tavola. C’è da specificare poi che gran parte dei suoi lavori erano disegnati direttamente a pennino, senza matite sotto. Ma riusciva comunque a non risultare come un freddo virtuosismo. Il livello delle gag che disseminava era talmente assurdo e straniante da renderti la lettura una scoperta.

C’è una lezione che hai imparato da Jacovitti e che tu usi nei tuoi lavori?

La cosa principale ovviamente è il gusto per l’assurdo e per il surreale. Poi io sono meno attento alla composizione e più fissato con la narrazione di una storia. Ma in genere tendo anche io a sovraccaricare i miei fumetti con più idee e invenzioni possibili, solo che ho un modo diverso per farlo.

Leggi anche: Nello studio di Pablo Cammello

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