Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica è ospite Alessandro Bilotta. Nato a Roma, classe 1977, Bilotta inizia la sua carriera come soggettista e sceneggiatore per la serie di Martin Mystère. Nel 1999, con altri autori romani fonda la casa editrice Montego, per cui scrive Povero Pinocchio e Le strabilianti vicende di Giulio Maraviglia – inventore, quest’ultimo in coppia con Carmine Di Giandomenico, disegnatore con cui realizza nel 2006 La Dottrina. Per Sergio Bonelli Editore ha creato la saga di Dylan Dog Il Pianeta dei Morti e la serie Mercurio Loi, uno dei fumetti italiani più premiate degli ultimi anni (Premi Micheluzzi 2018 e 2019, Premi Gran Guinigi 2018). Sempre per Bonelli è attualmente al lavoro sul progetto Eternity.
Una silhouette nera all’apparenza non umana, ma senza neanche le caratteristiche antropomorfe dei personaggi disneyani; gli occhi fissi, inespressivi; i movimenti liquidi come quelli di un’ombra. La Macchia Fantasma, Phantom Blot in originale, di cui Topolino spera di attirare l’attenzione è in realtà alle sue calcagna, «Topolino non sa che il criminale lo sta già seguendo». Gli è sempre dietro, si avvicina più di quanto potrebbe chiunque altro senza farsi scoprire, viene visto solo nel momento in cui si annoia e decide di battere sulla spalla di Topolino.
Il topo si precipita sul sidecar, ma Macchia Nera è già lì, lo osserva diritto negli occhi senza agire, si muove e si comporta senza alcuna logica, come un personaggio che sfugga alle regole della nostra razionalità. Non servirà a rassicurare il lettore il fatto che nelle ultime quattro strisce della storia si mostrerà senza maschera rivelando di indossare un costume.
È fumetto realistico, umoristico, per adulti, per ragazzi? La grande lezione di Floyd Gottfredson, l’opera che ha costruito con quarantacinque anni di strisce di Topolino, è quella di un fumetto senza generi, né età, sperimentando con il linguaggio e innovando, tracciando un solco per quegli illuminati che vogliono raccontare fumetti senza gli schemi del racconto e le regole da manuale, dando vita al mondo popolarissimo di Topolino, ma anche al fumetto underground americano.
Floyd Gottfredson, questo ex animatore della Disney, diventato disegnatore per riabilitare l’uso della mano dopo un incidente di caccia, dopo aver trascinato il topo in storie comiche, d’avventura, di fantascienza, con Topolino e il mistero di Macchia Nera, con la collaborazione di Merrill De Maris ai testi, realizza la prima storia noir di Topolino, dove oltre a Macchia Nera crea per l’occasione il Commissario Basettoni, che con poca lungimiranza si congeda da Topolino dicendo «Spero che questa sia l’ultima volta che ho bisogno del tuo aiuto!».
Come mai ha scelto proprio quest’opera?
È una storia in cui alcune caratteristiche per me importanti dell’opera di Gottfredson emergono con chiarezza. Mi riferisco all’assottigliarsi della linea di demarcazione tra generi; avventura e giallo, fumetto per bambini e fumetto per adulti, realismo e umorismo, alto e basso. Nella prima storia noir di Topolino, De Maris e Gottfredson rendono tutto ancora più indefinito, ed è anche per questo motivo che il racconto fa venire i brividi.
Esistono tanti Topolino. C’è quello del fare, quello dello stare. Questo de Il mistero di Macchina Nera, come scrive Alberto Brambilla, è «l’eroe gottfredsoniano per eccellenza: ottimista, iperattivo, furbo e dal forte senso di giustizia», che si contrappone a quello scritto da Bill Walsh, più passivo. Ogni autore ha poi, bene o male, seguito una di queste due strade. A te quale affascina di più?
Non ho mai amato fare distinzioni nell’opera di Gottfredson perché penso che lui riuscisse a uniformare i racconti e a lasciare in ognuno le proprie caratteristiche, un’impronta inconfondibile. Così come amo anche le storie che sono definite minori o quelle del periodo che i critici considerano di crisi, a cui appartiene proprio Il mistero di Macchia Nera, che fa eccezione. Amo quindi le storie minori perché anche nella più piccola ci sono decine di copi di genio. Forse il Topolino di Walsh è più sorprendente per quel lettore italiano che si è convinto della sapienza e dell’antipatia del personaggio.
Ti ricordi come e quando hai scoperto questo fumetto?
Il giorno dell’epifania del 1989, il quotidiano Il Messaggero cominciava ad allegare dei fascicoli del Topolino di Gottfredson. È andato avanti per due anni esatti, ogni venerdì. Penso di averli letti tutti in quell’occasione e di aver scoperto l’esistenza di quel Floyd che non avevo mai sentito nominare. Nell’estate dello stesso anno pubblicarono anche Topolino e il mistero di Macchia Nera, e ricordo il contrasto tra quella storia così notturna, piovosa, gelida e il sole accecante sulle pagine del giornale.
C’è una lezione, da autore, che hai imparato leggendo quest’opera o la tua è una passione esclusivamente da lettore?
Questo fumetto, e tutto il Topolino di Gottfredson, per me sono una lezione sulla scrittura fuori dagli schemi, senza costrizioni mentali. Ed è ancora più significativo se si lavora su un personaggio seriale che la regola vorrebbe ingabbiato nello stesso genere di storia, se non addirittura in dinamiche di racconto ripetitive e rassicuranti. Gottfredson è un maestro nella direzione contraria all’abitudine e alla rassicurazione, quella strada che si chiama creatività e divertimento.
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