Uccidendo il secondo cane è un libro intenso e avvolto da un manto oscuro, che racconta la figura di Marek Hlasko, scrittore soprannominato il “James Dean polacco”, personaggio cupo e decadente e praticamente sconosciuto al pubblico italiano. Forse anche grazie a questo, nelle tavole a fumetti di Valerio Gaglione (disegni) e Fabio Izzo (testi), Hlasko diventa figura iconica e privilegiato osservatore, spesso distaccato ma complice di uno scenario – la Polonia socialista di metà Novecento – inquietante e disturbato, che può ricordare la letteratura satirica ma realistica dei romanzi brevi dello scrittore russo Michail Bulgakov.
Abbiamo parlato del libro con l’esordiente Gaglione, che ci ha raccontato come è nato il progetto (pubblicato da Oblomov a fine 2019) e che cosa ha rappresentato per i due autori la figura del misterioso scrittore Marek Hlasko.
Come è nata la vostra collaborazione?
Io e Fabio ci conosciamo da parecchio. La volontà di realizzare un fumetto in coppia era già nell’aria da tempo. La fascinazione per la Polonia è stato un traino molto importante, per entrambi. Durante un viaggio a Cracovia mi consigliò la lettura di questo bel maledetto, il “James Dean polacco” Marek Hlasko. Lessi d’un fiato la raccolta di racconti L’ottavo giorno della settimana, era d’una forza dirompente, una scrittura tagliente e evocativa, con la stessa sfacciataggine linguistica di… che ne so, John Fante?
Uccidendo il secondo cane è il primo fumetto per entrambi? Qual è stato il vostro percorso?
Lo definirei il primo “vero e proprio”, nel senso che in passato ci sono stati alcuni tentativi ma mai con risultati soddisfacenti. Questo libro invece mi soddisfa appieno. I percorsi, quello mio e quello di Fabio, sono abbastanza differenti.
Fabio è un polonista, uno scrittore poliedrico, si è cimentato persino con la scrittura per il teatro nella sua lunga ricerca. Io invece provengo principalmente dal mondo della musica, ho suonato in diverse band per gran parte della mia vita, fatto tour in Italia e all’estero e sto attualmente lavorando a un nuovo disco.
Per quanto riguarda il disegno, invece, sono diplomato presso l’Accademia delle Belle Arti di Genova. La mia passione per il disegno, per la pittura, ha sempre viaggiato su un binario parallelo a quello musicale. Dimensioni personali che si compenetrano e completano.
Non si può dire che Marek Hlasko sia uno scrittore noto in Italia. Come mai lo avete scelto come protagonista di questa sorta di fiction realistica?
Hlasko è praticamente sconosciuto in Italia. La volontà di ridare vita ad una voce così forte, così sincera, ci ha subito messi in moto verso la lavorazione di questo libro. Per quanto mi riguarda, un protagonista d’una storia in generale (si tratti di cinema o fumetto) deve avere caratteristiche basilari preponderanti.
Hlasko era bello, un duro alla novelle vague tipo Jean Paul Belmondo, e in più aveva sulle spalle una città infernale e sgretolata, una Varsavia inquieta, nottambula, zeppa di spunti narrativi e visivi molto sinistri, terribilmente affascinanti e disperati. In un certo senso, penso sia stato il personaggio stesso a ricercare il proprio “padre”.
Cosa ti ha colpito maggiormente di Varsavia e cosa ti ha convinto a rappresentarla?
Adoravo il cinema di Krzysztof Kieslowski ed ero già stato a Varsavia diversi anni prima con la mia band. L’emozione di suonare su un battello lungo la Vistola è stato un evento catartico che ha sicuramente influito positivamente sulla mia naturale predisposizione per questo genere di trama esteuropea.
Il tuo stile è assai contemplativo e posato nella regia, quali sono le tue ispirazioni nel cinema o nella fotografia?
In molti mi hanno detto che il taglio narrativo di questo libro appare molto cinematografico. Per me è verissimo. Ritengo d’essere stato molto più influenzato dal cinema e dalla fotografia che dal fumetto tradizionale. In un certo senso non mi reputo nemmeno un fumettista ma un collezionista di istantanee (per quanto il balloon la faccia da padrone).
I fotogrammi del cinema che ho amato di più si sono ancorati indelebilmente nella mia memoria. Penso spesso al Luchino Visconti di Ludwig o de La caduta degli dei, al Godard di Fino all’ultimo respiro, a Il disprezzo. Temo di subire una fascinazione enorme nei confronti degli attori. Se penso ad Alain Delon ne La piscina di Jacques Deray vorrei che fosse un mio personaggio: bello e maledetto, dolce, un po’ cattivo, imbarazzante nei suoi raptus infantili ma, estremamente sensuale.
La fotografia stessa mi ha sempre perseguitato gentilmente: Man Ray, Eggleston, Evans, Steichen… Weston in primis.
Mentre per quanto riguarda il disegno a cosa guardi?
Guardo tutto, sono avido d’immagini. Adoro gli interni di Vuillard, la carne viva di Freud, l’eleganza dandy e aristocratica di Hockney. Ma l’unico dio, che sta sempre là a fissarmi e farmi incazzare è monsieur Picasso!
Come avete lavorato alla stesura del libro? Avete iniziato da un racconto o da una sceneggiatura dettagliata? Sembrerebbe il primo, a giudicare dalla narrazione ariosa.
Siamo partiti dal titolo, Uccidendo il secondo cane, nostro adattamento del primo volume della trilogia israeliana di Hlasko: L’uccisione del secondo cane (Drugie zabicie psa).
Perché due cani muoiono? Chi sono questi due cani? Da questo interrogativo e dai racconti di Marek abbiamo costruito i luoghi e le storie, farcendole di dialoghi d’amori impossibili e risse alcoliche. La linea, lo scheletro principale della narrazione è sempre e comunque l’aspetto biografico della vicenda.
Il cane e una certa visione dell’Europa dell’Est comunista mi ricordano Cuore di cane di Bulgakov, è stato un riferimento?
Conosco poco i russi, purtroppo. Il russo che adoro di più è americano e si chiama Vladimir Nabokov. Altro autore imprescindibile, definito “Il Cechov dei sobborghi” è l’americano John Cheever. Come vedi, trasformiamo i russi in americani e viceversa… perfino James Dean, icona a stelle e strisce è diventato polacco nelle nostre mani!
Battute a parte, Cuore di cane mi è stato consigliato da molti e nonostante il titolo del libro smentisca, adoro i cani. Lo leggerò sicuramente.
A volte, per quanto gli ambienti siano completamente diversi, i disegni fanno sembrare la Polonia un’immaginaria America di metà del secolo scorso. Forse per via del soprannome di Marek Hlasko?
Se si osservano le fotografie di Arthur Fellig, in arte Weegee, si potranno ritrovare molti riferimenti rubati e restituiti in questo fumetto. La violenza di New York può essere la violenza di Varsavia? Assolutamente sì. Tra l’altro, Fellig nacque nel 1899 a Zloczew, ai tempi austriaca, oggi polacca. Le tangenze nell’arte e nella vita sono dietro l’angolo, basta saperle cogliere con attenzione. A volte, passeggiando per le colline del Monferrato, mi sento in Ohio.
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