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“I fiori del male”, il manga erotico secondo Kazuo Kamimura

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«Un tale non si turba per i paradossi del marchese de Sade, li considera al di sotto di tutto quello che la Storia ci offre […] Egli è persuaso che il potere corrompe e che quanti lo cercano vogliono solo essere corrotti, ritiene che i governanti siano più viziosi dei governati […] Concepisce l’esercizio del potere alla stregua di una fornicazione, e la legalità come uno stupro legittimato, ed essendo il popolo l’organo da penetrare, lui ama dire che un capo legittimo si limita a possedere la vulva, mentre un tiranno sodomizzerà la nazione, con o senza vaselina».

I fiori del male kazuo kamimura manga

Questa lunga citazione dai Supplementi alla Psychopathia Sexualis di Albert Caraco sarebbe l’esergo perfetto per l’opera di Hideo Okazaki e Kazuo Kamimura, edito da J-Pop in un poderoso volume di oltre 700 pagine. Come si potrà intuire l’argomento non è adatto ai più piccoli, anzi le pruriginose fantasie sessuali teorizzate e mostrate superano l’ardito fantasia di molti.

Come ben evidenziato da Paolo La Marca, insieme a Inkaden (Storia di Fiori Osceni), Aku no hana (I Fiori del Male), rappresenta uno dei frutti più maturi del sodalizio tra Okazaki e Kamimura, che dopo la formidabile prova di Shinanogawa (Il fiume Shinano), approdavano sulle pagine della rivista erotica Manga Erotopia con una serie di racconti brevi, prova generale dell’opera di cui ci apprestiamo a parlare.

I Fiori del Male è un dramma erotico nella migliore tradizione del genere: Rannosuke Hanayagi, capostipite della più importanti scuole di Ikebana del Giappone, nonché rampollo dell’aristocrazia ed eminenza grigia dietro le vicende politiche, si ritrova alle sbarre di un tribunale, accusato di aver torturato e ucciso centinaia di ragazze. Nonostante le accuse, l’imperatore del grottesco non riesce a trattenere i suoi irrefrenabili impulsi e decide di “sacrificare” un’ennesima ragazza. È qui che entra in scena l’eroina del romanzo: la giovane studentessa di Ikebana, Sayuri Kawabata.

fiori del male kamimura

Per centinaia di pagine i due mankaga, osserveranno in maniera distaccata la caduta e la trasfigurazione di questa ragazza, il suo dare fondo alle più sfrenate perversioni dell’animo umano insieme a Rannosuke, a cui legherà in maniera indissolubile il proprio destino. 

L’ero-gekiga di Okazaki e Kamimura rappresenta uno degli esiti più interessanti della produzione apparsa negli anni Settanta sulla citata Manga Erotopia, insieme a Nyohanbō, serie disegnata da Fukushima Masami (di cui bisognerebbe caldeggiare la pubblicazione in Italia, nonostante l’eccessiva dose di violenza). 

La ragione sta nella capacità di Kamimura di condurre una sceneggiatura lineare ed episodica attingendo al suo intrinseco talento in cui lo storytelling e il gusto estetico (calligrafico nei passaggi più romantici e sensuali) si fanno gesto, mai, come in questo caso, conturbante e decadente. Un’estetica dell’eccesso – per usare una definizione coniata dal filosofo Mario Perniola in uno scritto d’occasione dedicato al concetto di sofferenza – quella rappresentata da Kamimura: la sofferenza (inflitta e patita) come esperienza limite del corpo privo di sentimenti, ricettacolo di sensazioni estreme in cui dolore e gioia diventano un miscuglio indissolubile.  

Non è quindi un caso che la trasfigurazione di Sayuri in una figura ormai votata al masochismo (in una spirale dialettica in cui servo e padrone si confondono sino al parossismo) sia legata all’arte cristiana. In uno degli episodi, Sayuri spinta dal suo aguzzino lascia la prigione dorata in cui è “costretta” a vivere e si reca a una mostra in cui sono esposti quadri che ritraggono scene di martiri (nello specifico Kamimura usa una stampa seicentesca dell’incisore olandese Cornelis Cort, custodita nella collezione del Palazzo Coronini Cronberg di Gorizia): la vista della sofferenza patita dai martiri la conducono all’orgasmo in un’estasi quasi mistica che ricorda quella della Santa Teresa del Bernini.

Okazaki e Kamimura danno fondo a tutta una serie di parafilie (o ritenute tali) soffermandosi sulla psicologia dei protagonisti, che pagina dopo pagina diventa sempre più complessa e stratificata. Il risultato è un un gioco dove la distinzione tra buoni e cattivi sembra essere evasa a un certo punto: quando la violenza sembra ammorbare chiunque, rompendo quindi il legame empatico con l’eroina, anch’essa ormai una figura eccessiva, capace anche di tollerare un infanticidio.

In questo continuo rimpiattino psicologico tra Rannosuke e Sayuri, acquistano un peso specifico le pagine in cui i due mangaka descrivono l’aborto di quest’ultima. Se in un’opera fiume e melodrammatica, come L’età della convivenza, la perdita era il culmine di una storia di depressione e smarrimento, qua tutto è osservata con uno sguardo clinico e freddo, dove l’infografica diventa parte integrante della narrazione quasi a privare di ogni possibile connotazione morale (qualora ce ne fosse) il gesto della protagonista: una semplice mossa nel rapporto malato che lega i due amanti nella via del fiore.

fiori del male kamimura

Un’opera forse d’occasione, ma condotta con una sapienza tale da farla brillare come un unicum nella produzione di Kamimura, qua già padrone di un segno maturo e personale, in cui suggestioni classiche come il teatro nō, l’ikebana, lo shibari, l’ukiyo-e (nello specifico la cephalerotica dell’Hokusai del Sogno della moglie del marinaio), la letteratura di Mishima e Tanizaki dialogano con un sentire europeo per tracciare le insondabili e perturbanti profondità dell’animo umano.

I fiori del male
di Hideo Okazaki e Kazuo Kamimura
traduzione di Tommaso Ghirlanda
J-Pop, novembre 2019
brossurato, 710 pp., bianco e nero
19,00 €

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