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Star Wars, il Texas e l’importanza delle piccole cose. Intervista a Donny Cates

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Tra i principali ospiti dell’ultima Lucca Comics & Games impossibile non citare Donny Cates. Sceneggiatore di punta di Marvel Comics – per cui a gennaio rilancerà Thor dopo l’acclamata gestione di Jason Aaron – allo stand Saldapress gli abbiamo visto dedicare pile infinite del suo Ghost Fleet. Un lavoro che all’epoca della sua uscita negli Stati Uniti non aveva riscosso il giusto successo, tanto da venire addirittura sospeso, dove riescono a convivere azione, violenza, visioni apocalittiche e il consueto bagaglio di grande umanità dell’autore texano. Uno a cui pare impossibile scrivere un fumetto senza parlare del peso delle relazioni umane, di famiglia e del valore dei legami.

Noi lo avevamo detto – e dopo averlo conosciuto di persona non possiamo che confermarlo – Donny Cates è un bravo ragazzo. Uno che gioca a fare il duro post-adolescenziale presentandosi all’intervista in chiodo di pelle, capelli ossigenati e birretta appena stappata, ma che alla fine a Lucca finisce per sposarsi come il più sottone dei fidanzatini. Uno che ancora non riesce ancora a credere a quello che gli sta succedendo, incapace di arrabbiarsi con un fandom ottuso e intollerante e che ha imparato a relazionarsi con la politica leggendo Capitan America.  

intervista donny cates fumetti

Come ci si sente a passare dall’essere uno scrittore indipendente a diventare lo sceneggiatore di punta della Marvel in soli due anni?

È molto strano e molto spaventoso, non riesco ancora a credere che sia vero. Penso sempre che un giorno mi sveglierò e tutto sarà finito, che avrò rovinato ogni cosa. In questo momento sono in Italia, in questa fiera fantastica, per Ghost Fleet. Un libro che ho scritto, non so, sette o otto anni fa. Negli Stati Uniti non aveva venduto per niente bene, e invece qui ci sono file di fan che vogliono farselo autografare. È tanto sorprendente per me quanto per tutti gli altri.

Nel tuo lavoro da indipendente era notevole come riuscivi a mettere al centro di tutta la scrittura l’umanità dei tuoi personaggi, anche all’interno di generi molto codificati come l’horror o l’action. Scrivi ogni genere dandogli un calore molto particolare. Riesci a fare la stessa cosa scrivendo per la Marvel?

Certo! Non importa per quale azienda stia lavorando o se possegga i personaggi o meno, il mio lavoro è sempre lo stesso. Devo sempre trovare l’umanità in qualsiasi cosa stia facendo. L’ho fatto persino con Thanos, che è il personaggio più cattivo del mondo. Ogni storia di Thanos è una storia d’amore, ogni sua azione è fatta per amore. Questo vale per ogni libro che ho scritto. Per me non ci sono differenze.

Tutto quello che ho, ogni giorno della mia vita, è un laptop aperto davanti a me e una storia che deve essere scritta. La parte difficile sono sempre i personaggi, del plot non mi interessa nulla. Significa solo spostarsi da un posto a quello successivo. Piuttosto devo capire cosa provano i personaggi in quel momento. Ma è una cosa che per me non cambia se lo faccio per la Marvel, per Image o per chiunque altro.

The Ghost Fleet

Come riesci a scrivere così tanto? Ogni giorno si hanno notizie di un tuo nuovo progetto.

Sì, sono molto veloce e mi piace molto il mio lavoro. Per me non è neppure un lavoro. Quando ero giovane ho lavorato nell’edilizia e ho fatto il cuoco. Quelli erano lavori veri. Scrivo molto, è vero, ma alla fine della giornata tutto quello che ho fatto è stare seduto nel mio soggiorno davanti a un computer. Non è così tanto lavoro, sembra solo che stia facendo molto di più di quello che faccio effettivamente. Alla fine scrivo circa dieci pagine al giorno.

Come riesci a stare lontano da tutto il cinismo di questi anni? Poni sempre molta attenzione a fare la cosa giusta, alla famiglia, all’empatia, alle relazioni. In un momento in cui sembra che tutti vogliano fare la figura dei cattivi tu riesci a rendere positivi anche fumetti molto violenti.

Non lo so. Penso di essere un mollaccione. Piango un sacco. Mentre scrivo piango in continuazione. Il mio lavoro è quello di farti sentire qualcosa. Se scrivo qualcosa e tu lo odi, non ho fatto nulla di sbagliato. Fallisco se ti annoi, se sbadigli mentre leggi. Se leggi un mio fumetto e tutto quello che riesci a dire è “Meh!” allora ho sbagliato di brutto. Ma se scrivo qualcosa che ti fa piangere, o ti rende felice, o ti fa incazzare, o ti rende furioso, o geloso o qualsiasi altra emozione, quello è il cuore del mio lavoro. Approccio tutto alla stessa maniera. Questo è il tipo di arte da cui sono attratto io per primo. Scrivo fumetti che vorrei leggere ma che non trovo in giro.

venom donny cates intervista

Come puoi rimanere così sicuro anche dopo le minacce ricevute per il tuo rilancio di Venom? Come puoi rimanere calmo davanti a una cosa simile?

Il mio lavoro non mi appartiene, appartiene al mondo. Dovrei essere un Dio per dare il mio lavoro al mondo e aspettarmi una sola opinione, giusto? Quando dai qualcosa a qualcuno lo fai al 100%. Lo fai non aspettandoti solo amore. Certa gente odia il mio lavoro, si comporta male con me per quello che faccio, ma è ok. Lo possono fare, possono sentire quei sentimenti. Non è piacevole, fa male, ma alla fine dei conti…come dire… non fabbrico caramelle.

Il mio lavoro non è pensato per farti sentire per forza di cose bene. Le reazioni a quello che sto facendo con Venom, sono solo un segno che sto toccando quella gente. Si tratta di amore. Tu hai letto delle minacce di morte, e ti hanno fatto arrabbiare. Ma ora sono in questa fiera, e ci sono file di persone per me. È tutto amore, tutto amore. E l’amore supera sempre l’odio. Se non ti piace il mio lavoro, non ti voglio fare stare male. Mi va benissimo così. Leggi qualcosa che ti dia gioia. Ma alla fine, come lo posso dire, non è il mio compito darti quello vuoi. Devo creare cose nuove. Non vendo Coca Cola, vendo arte, nuove idee. E le nuove idee si scontrano sempre con la negatività. Alla gente non piacciono i cambiamenti.

L’altra settimana ero a Parigi. La guida che ci accompagnava ci stava parlando della piramide di vetro davanti al Louvre, e ci ha chiesto “A quanti di voi piace?”. Io l’ho adorata, pensavo fosse stupenda. E invece ci ha detto che gran parte dei parigini la detesta. E sai cos’altro ci ha detto detestavano i parigini? La Torre Eiffel. La odiano da quando è stata costruita, pare. Ogni nascita richiede sangue e urla. Non c’è un modo semplice di creare qualcosa di nuovo. Devi solo trovare il tuo pubblico e capire quale parte di quel pubblico si allontanerà. Per me è ok. Io faccio quello che devo fare. La Marvel mi ha sempre supportato e io continuerò farlo. Se non ti piace, ti prego non leggerlo. Non voglio renderti infelice. 

E perchè secondo te il fandom è diventato così rabbioso?

Non è diventato più arrabbiato, lo è sempre stato. Ora urlano solo più forte, perché hanno Twitter o Instagram. Vai a prenderti un qualsiasi numero di Capitan America o Spider-Man degli anni Sessanta o Settanta e leggiti la pagina della posta. Ci troverai un sacco di gente arrabbiata. Quando Spider-Man si era fatto un nuovo costume nero c’era parecchia gente che urlava “Cosa cazzo è questa roba?” e ora abbiamo Venom. Si tratta solo di resistenza al cambiamento. Ti ricordi quando hanno annunciato Miles Morales? C’era stata una grossa controversia perché un ragazzino nero sarebbe stato il nuovo Spider-Man. Qualcuno si lamentava online di questa cosa. Non è successo neppure dieci anni fa e ora Miles Morales per un’intera generazione di bambini è Spider-Man.

Esatto. Per i miei bambini Spider-Man è Miles Morales.   

Certo! Devi essere disposto a fallire, devi essere pronto a sbagliare tutto. È l’unico modo per avere successo. Henry Ford diceva sempre “Se avessi chiesto ai miei clienti cosa avrebbero voluto, mi avrebbero chiesto cavalli più veloci”. Non devi chiedergli cosa vogliono, ma dargli quello di cui hanno bisogno.

Già che stiamo parlando di Venom. Quanti anni Novanta ci hai messo dentro?

(scoppia a ridere) Sono un figlio dei Novanta. Penso che ogni creatore sia figlio del periodo in cui si innamora di quello che vuole fare. Guarda cosa ha fatto Sam Raimi con Spider-Man e Spider-Man 2. Stava raccontando lo Spiderman con cui era cresciuto, che era tutta roba degli anni Sessanta con Goblin e Doctor Octopus. Poi gli hanno fatto fare Spider-Man 3 in cui doveva metterci Venom e un sacco di robaccia anni Novanta. Roba che non gli piaceva e infatti non è riuscito a metterci il cuore.

Quindi, per quanto mi riguarda… Sono un ragazzino degli anni Novanta, io ho trentacinque anni mentre Venom trenta. Avevo cinque anni quando è apparso. All’epoca ero un grande appassionato di Spider-Man, di Lanterna Verde e di Thor e quando ho visto per la prima volta Venom mi sono detto “Chi cazzo è quest’ombra con i denti?”. Ne ero completamente ossessionato. Leggere la mia run di Venom significa leggere un fumetto di un ragazzino cresciuto pensando a scrivere le sue storie.

Ogni ragazzino ama Venom! 

Certo. Perchè è figo da morire.

thanos donny cates

E invece oggi c’è un sacco di gente che ama odiare quel genere di cose.

È vero.

Eppure oggi un sacco di autori riesce a trarre grande ispirazione da quel periodo storico. Come se il filtro del tempo desse l’opportunità di prendere il meglio da quella decade.

Si, perché i fumetti hanno un flusso immortale. Quello che era figo dei Novanta era che i fumetti erano così popolari da far fare davvero una montagna di soldi. Gli artisti potevano azzardarsi a fare ogni cosa gli passasse per la testa e scrivere roba davvero pazza. Tipo “E se Peter Parker fosse un clown?” o “E se il figlio del Professor X tornasse indietro e uccidesse il Professor X?”. Erano idee pazzesche e un sacco di quella roba non funzionava, ma quello che ho imparato da quel periodo è che almeno bisogna provarci. Sparala più grossa che puoi! Qualche volta funzionerà, un sacco di altre volte no.

Non è degli anni Novanta, ma la run di Michael Straczynski su Spider-Man è stata davvero importantissima per me perché lui era, come me, un autore che lavora per accumulo. Prima che arrivasse lui tutti sapevano come sarebbe andato un incontro tra Spider-Man e il Dr. Octopus – l’abbiamo visto tutti milioni di volte – ma Michael Straczynski invece ha introdotto Morlun. Morlun era una forza inarrestabile di cui non sapevamo nulla, e così improvvisamente dopo un sacco di tempo avevamo tra le mani un fumetto che ci faceva dire “Santa merda! Ma quello picchiato a morte è Spider-Man? Chi cazzo è quel tizio?”. Era così spaventoso! Ho letto Spider-Man per tutta la mia vita, ma in quel momento ero davvero spaventato. Straczynski continuava ad aggiungere roba senza fermarsi. Lui continuava a provarci, anche se sapeva di poter sbagliare. Bisogna sempre provare. Il fumetto è l’unico medium dove puoi farlo. Il cinema costa troppo per sperimentare, ma nel fumetto ti è permesso di sbagliare. È una cosa meravigliosa.

donny cates intervista

Stai scrivendo un enorme saga cosmica che si sta dipanando su diverse testate Marvel. Come riesci a integrare il cuore di un piccolo gruppo di personaggi un in un affresco di tali dimensioni?

Una delle mie più grandi influenze è Jim Starlin. Se guardi il Guanto dell’Infinito, una delle più grandi storie mai raccontate, alla fine è una storia d’amore. Thanos fa quello che fa per una ragazza. Così ho capito che più fai le cose in grande, più ti devi concentrare sul piccolo.

Il migliore esempio di questo è Star Wars. Se chiedi alla gente di cosa parla il plot di Star Wars ci sarà chi dice che c’è l’Impero, i ribelli, la guerra dei Sith e tutto il resto. Ma qual è realmente il plot? Al centro di tutto c’è un contadino che sogna di volare via tra le stelle. È tutto lì. La mitologia di Star Wars è così grande da essere impenetrabile, ma devi concentrati sulle piccole cose. Su un ragazzo che ha perso i suoi genitori e guarda le stelle perché se ne vuole andare. Il punto è quello.

Un’ultima domanda. Prova a spiegare il Texas a qualcuno nato e cresciuto in Italia

Buffo, perché in un intervista fatta prima mi hanno chiesto la stessa cosa e il giornalista mi ha chiesto se God Country fosse influenzato dai western di Clint Eastwood. Ha fatto perfino un’ottima battuta, descrivendo God Country come un film di Clint Eastwood con in più il martello di Thor. E io ho detto sì, ha senso. Ma quando mi ha chiesto se Eastwood avesse davvero influenzato il fumetto ho risposto di no. E lui mi ha chiesto perché? Io gli ho detto che i film di Clint Eastwood erano girati in Italia, non in Texas.

(ride) Per rispondere alla tua domanda… per me il Texas è libertà, il mio patrimonio, il mio sangue, la mia famiglia. Il Texas occidentale, dove è ambientato God Country, è un posto incontaminato dall’alba dei tempi. Io consiglio a tutti di farci un giro. Io vengo dal Texas centrale, dove ci sono tutti i grossi centri abitati, ma quello che intendete voi è il Texas occidentale.

donny cates intervista redneck

Ecco, quello che ho in testa io sono tanti luoghi comuni. Non ho idea se sia tutto vero o solo una serie di clichès. A noi arrivano solo storie di religione, di pistole,…

Vero.

Mi sembra orribile che una nazione così ricca sia sempre limitata a questa immagine così stereotipata.

Questo è il motivo per cui scrivo del Texas. Il Texas ha i suoi problemi, è innegabile. Si parla sempre delle armi da fuoco, della politica… Spesso sembriamo solo dei cowboy intolleranti. Ma quello non è il mio Texas, non è la mia nazione. Quando avevo otto anni ho letto un numero di Capitan America che mi ha aperto gli occhi sulla politica e sui posti dove viviamo. Dopo averlo letto ho capito che è giusto amare un posto, ma odiare i suoi politici. Questo ti rende molto più patriota di chiunque altro. Sono molto orgoglioso di essere un texano e un americano, ma gli Stati Uniti e il Texas non sono i nostri politici. Sono due cose ben diverse. Ci fanno giocare al loro gioco, facendoci credere che la politica sia il posto dove vivi. Ma sarebbe come definire l’Italia in base alla vostra nazionale di calcio. Sono due cose ben diverse. C’è la terra, c’è la gente e tutto il resto. Il Texas è un posto meraviglioso, accogliente e inclusivo. Il problema è la gente che parla per il Texas. Quelli li definirei… non ho idea di come lo tradurrai… “fucking assholes”.

Penso che anche senza tradurlo andrà bene.

Loro non sono il Texas. Il Texas è il Texas, e il Texas è meraviglioso. Il motivo per cui God Country è ambientato lì è perché se fai un giro nel Texas occidentale e ti guardi attorno ti sembrerà di essere finito in una macchina del tempo e spedito nella preistoria. Quando io e Geof Shaw lo stavamo visitando per fare ricerche per God Country ci siamo ritrovati in cima a una collina e all’orizzonte si stava avvicinando una tempesta. Vedevi i fulmini avvicinarsi, da miglia e miglia di distanza. E Geof mi dice “ Sai una cosa? Se adesso vedessi due dèi lottare proprio davanti a noi.. beh… sarei sorpreso, ma non certo scioccato”. Il Texas è così… ti senti proprio come dice il titolo del nostro libro… nella terra di Dio.

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