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Sunday Page: Roberto Baldazzini su Satanik e Prince Valiant

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Ogni settimana su Sunday Page un ospite (autore, scrittore, critico, giornalista, editore) presenta una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per ragioni tecniche, artistiche o emotive. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma tutto parte dalla stessa domanda: «Se ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Roberto Baldazzini. Nato a Vignola nel 1958, disegna da autodidatta e sviluppa uno stile dal tratto pop che rimanda ai lavori di Roy Lichtenstein. Autore di opere come Casa Howhard, Beba, Chiara Rosenberg e Stella Norris, nonché fotografo e pubblicitario, Roberto Baldazzini debutta sulla rivista Orient Express, grazie alla chiamata di Luigi Bernardi, per poi consacrarsi come uno dei maestri del fumetto europeo, in grado di passare dai fumetti erotici alla fotografia, fino alla pubblicità – celebre la sua campagna per la Tim degli anni Novanta. Tra le sue ultime opere compaiono L’inverno di Diego (la storia di un giovane che sceglie la via partigiana contro il volere del padre, gerarca fascista) e Hollywoodland, sui testi di Michele Masiero.

Come mai questa scelta doppia?

La tua proposta di partecipare alla rubrica mi è piaciuta moltissimo, ma nello stesso tempo mi ha messo in difficoltà: scegliere una tavola tra tutte quello che ho letto è stato molto difficile. Ho preso tempo, come si dice, poi, non ho potuto fare a meno che fissarmi sulle due che ho scelto. Queste due tavole mi permettono di spiegare in maniera più ampia il mio amore per il fumetto, dove nasce l’orizzonte che abbraccia la mia vita reale fino al confine con la fantasia e l’immaginazione più spregiudicata.

Alla fine cosa ti ha fatto optare per queste due?

Una, Prince Valiant, rappresenta l’avventura e tutto quello che io non avrei potuto fare mai nella vita, come in una favola dove tutto può succedere e il nostro eroe ne esce sempre bene, vincendo le sfide impossibili e lottando in battaglie infinite contro una moltitudine di nemici. Le gesta epiche mi hanno sempre affascinato e hanno alimentato la mia immaginazione.

La paginetta di Satanik, invece, scelta tra le tante dello stesso albo, Il dono di Natale, rispecchia un lato più introverso del mio carattere, fatto di paure e di atmosfere ovattate. In questa storia di Magnus & Bunker l’atmosfera natalizia è quella che domina la vicenda, quei pallini bianchi, la neve che cade, su fondo nero, sono stati il movente e l’attrazione che mi ha spinto a possedere quell’albo. Mi ci ritrovo completamente in quella “luce spenta” dai contrasti forti, che solo un Magnus nella sua sintesi grafica è riuscito a trasmettermi.

Ti ricordi come e quando le hai scoperte?

Non sono due momenti distinti, la lettura è stata quasi simultanea, forse è venuto prima Prince Valiant, letto sulle pagine del Corriere dei Piccoli in un formato diverso dalla classica tavola domenicale. Sul CdP le tavole erano state rimontate con poche vignette per pagina, ma la forza evocativa del disegno di Hal Foster mi bastava, preso anche solo vignetta per vignetta! Di lì a poco feci impazzire mia madre perché avevo scoperto che esisteva un’edizione in grande formato delle tavole domenicali, le volevo a tutti i costi, ma non ci fu nulla da fare, mia madre fu irremovibile: «Non ci sono i soldi per questo genere di spesa, quando sarai più grande ti potrai permettere di avere quello che desideri».

Ora che possiedo la collezione completa, nell’edizione di Camillo Conti, ricordo con amarezza la frustrazione profonda di quel bambino privato della possibilità di continuare a immaginare meravigliose avventure con la lettura del principe Valentino.

Invece per Satanik, andò diversamente, non lo comprai in edicola perché ero piccolo, troppo piccolo. Lo trovai invece sotto una montagna di riviste di moda a casa di mia zia. Molto probabilmente erano letture che facevano le mie cugine più grandi di me, come mai si trovasse lì era difficile da sapersi, ma la scoperta fu così eccitante che quando lo sfogliai rimasi talmente colpito che lo rubai. Doveva essere mio, senza chiedere niente a nessuno e senza pudore lo infilai nella camicia sotto i pantaloni e me ne andai da casa di mia zia insieme ai miei genitori, salutando come se nulla fosse, rosso di vergogna e molto eccitato per il furto commesso. Incosciente che quel fumetto sarebbe poi diventato il motore della decisione irrevocabile che da grande sarei diventato un disegnatore di fumetti.

C’è una lezione, da autore, che hai imparato leggendo questi fumetti?

Il disegno, allora, quando ero piccino, come tutte le immagini, le illustrazioni dei libri di fiabe, le cartoline, la televisione e le storie narrate nei film, mi apriva visoni, una porta mentale per evadere, narrare e immaginare storie. Ma l’attrazione verso il fumetto divenne nel tempo irresistibile, il suo fascino stava proprio nel gioco di quello che succede nella lettura tra una vignetta e l’altra, sembra che non ci sia nulla e invece…

Il disegno di Hal Foster mi ha suggerito la plasticità dei corpi, una vera lezione di anatomia, la sinuosità delle forme, l’eleganza nel movimento, potrei dire una statuaria eleganza, anche se quasi tutti i personaggi erano in movimento, nelle vicende narrate, io li percepivo immobili nella loro bellezza! Ma tanto altro, come le proporzioni nelle scene corali e la profondità di campo resa con i personaggi, dal più grande in primo piano, all’ultimo piccolissimo in fondo alla scena. Per non parlare della cura di ogni vignetta come fosse un’illustrazione, i dettagli e la precisione per ogni particolare.

Con Magnus siamo all’antitesi, ma lo reputo il mio vero maestro per qualità nella sintesi e nel tutto tondo dei personaggi. Il suo bianco e nero l’ho fatto mio, la piattezza di certe soluzioni da Kriminal a Necron sono diventate parte integrante del mio stile grafico. Con Magnus e il fumetto nero del periodo non c’era molto possibilità di evadere con la fantasia, le storie erano torbide e malate, ma anche questo mi affascinava, il cattivo e il male dominavano le vicende, non c’era più spazio per l’animo nobile e sensibile che un Prince Valiant esprimeva da tutt’altra parte, ormai in un mondo dimenticato.

In fondo la lotta tra il bene e il male continua ad attirare la mia attenzione e ad essere l’ingrediente essenziale per raccontare una storia.

Leggi anche: Nello studio di Roberto Baldazzini

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