La disegnatrice italiana Sara Pichelli sarà presente a Lucca Comics & Games 2019 (30 ottobre – 3 novembre), in collaborazione con la casa editrice Panini Comics.
«La mia è una storia fortunata» dice Sara Pichelli, fumettista co-creatrice di Miles Morales, lo Spider-Man afro-ispanico che ha saputo incarnare le correnti culturali dei nostri tempi. Ma non c’è solo la fortuna nel percorso lavorativo della disegnatrice. Passione un po’, talento anche, casualità sicuramente. Impegno, soprattutto. E c’è pure molta ironia nella storia di una ormai superstar del fumetto globale che, con il fumetto, non ha avuto lo straripante rapporto d’amore che ci si aspetterebbe.
Scoprire il fumetto
Nata ad Amatrice nel 1983 e cresciuta nelle Marche, a Porto Sant’Elpidio, si appassiona fin da piccola al disegno, grazie agli stimoli della madre e dello zio, entrambi pittori. Guarda molti cartoni e altrettanti anime, legge Topolino. Non è qui, però, che inizia ad amare i fumetti.
Trasferitasi a Roma a diciannove anni, frequenta la Facoltà di Lingue Orientali della Sapienza, studiando cinese e indù, le materie più vicine alla sua nippofilia: «Sono durata 4 mesi. Poi ho scoperto la Scuola Internazionale di Comics, non distante da casa mia» ha raccontato al Fatto Quotidiano. Ma nemmeno a questo punto scatta la scintilla per i fumetti, perché si iscrive al corso di animazione. «Ho vissuto per i cartoni animati e gli anime, e quello volevo fare» ha spiegato a Fumettology.
Durante gli studi scopre Skydoll di Alessandro Barbucci e Barbara Canepa, punto di contatto ideale tra l’animazione giapponese e il fumetto occidentale, che la giovane prende come modello stilistico. Eccolo, il momento: «A quel punto ho capito cosa avrei voluto fare». Nel frattempo incontra il disegnatore David Messina, con cui avvia una relazione.
Dopo il diploma lavora nel mondo dell’animazione come storyboarder e character designer, prendendo parte alla produzione del film Winx Club – Il segreto del regno perduto «ma non faceva per me. Mi sentivo un piccolo ingranaggio in una macchina enorme, e la cosa stava danneggiando il mio ego artistico» avrebbe poi spiegato a CBR. Inoltre, qualsiasi scatto di carriera l’avrebbe portata fuori dall’Italia. Prova la carta del fumetto: nel 2007 realizza la sua prima breve storia a fumetti per Cut-Up Edizioni (all’interno dell’antologia Sesso col coltello), poi IDW Publishing la ingaggia come assistente ai layout di David Messina (Star Trek) ed Elena Casagrande (Ghost Whisperer): «Sono stati molto pazienti, mi davano anche delle dritte che mi hanno permesso di imparare sul campo, non avendo io studiato fumetto» avrebbe rivelato. «Ovviamente, occupandomi di storyboarding, i concetti della narrazione li avevo ben presenti, tuttavia il linguaggio è differente.»
Pichelli infatti riconduce il fumetto ancora all’idea di bei disegni messi in sequenza, le sfugge il concetto di funzionalità di un’immagine, di un piccolo inserto che può non avere le stesse dimensioni della vignetta successiva ma veicolare altrettante infomrazioni. La vera epifania arriva quando Messina le passa distrattamente Tornando a casa, la saga di Spider-Man di J.M. Straczynski e John Romita Jr.: «Dopo due ore, preoccupato, busso per chiedere se va tutto bene, apre la porta con due lacrimoni e dice “mio Dio, è bellissimo”» avrebbe raccontato Messina. «Lì si è resa conto di tutta la potenza narrativa ed evocativa del fumetto. Ha capito che le piaceva questa possibilità di raccontare al di là della bellezza estetica.» Poco dopo Sara si invaghisce del Daredevil di Brian Bendis e Alex Maleev e del Sandman di Neil Gaiman.
Arriva la Marvel
L’anno successivo, il talent scout di Marvel Comics C.B. Cebulski (diventato poi Editor-in-chief) sbarca in Italia per uno dei suoi Chester Quest, i tour mondiali alla ricerca di nuovi artisti da impiegare sui fumetti Marvel. «Mandai i miei lavori a Cebulski e, onestamente, ero sicura che non sarebbe successo niente, visto che avevo pochissima esperienza nel campo dei fumetti» come ha ricordato l’autrice. «Provai a cuor leggero, dato che tutti i miei amici partecipavano. Quando mi arrivò l’e-mail in cui mi dicevano che ero passata pensai fosse uno scherzo.» Insieme a lei, vengono reclutati altri undici italiani, tra cui Jacopo Camagni, Matteo Lolli e Matteo Scalera.
La Marvel la mette a disegnare fumetti dal sapore manga e con protagoniste femminili, in una sorta di typecasting che la porta a lavorare sui seguiti di NYX e Runaways, le serie in “rosa” X-Men Manifest Destiny: Dazzler, Girl Comics, X-Men: Pixie Colpisce Ancora! e Namora. Durante la chiusura di quest’ultimo progetto, Sara riceve un’e-mail dall’editor Mark Paniccia in cui le viene chiesto di alternarsi alle matite di Ultimate Comics: Spider-Man, in quel momento realizzate dall’ispanico David Lafuente. La risposta riassume bene lo spirito della disegnatrice: «Hell yes!».
Lafuente ha un tratto fusion che però è poco apprezzato dai fan, i quali odiano a tal punto il modo in cui disegna la testa di Peter Parker da costringere Bendis a giustificare narrativamente la scelta (l’idea: un pessimo taglio di capelli che rende troppo rotonda la faccia del ragazzo…). Pichelli arriva in questo contesto in cui le viene chiesto di sorreggere la vena comica della serie e seguire il gusto orientale.
Esordisce con il numero 15, molto dialogato. Forse anche per via della scrittura di Bendis, la disegnatrice scompone l’azione in tanti inserti, stentando nelle grandi immagini. Ma il rodaggio promette bene e in pochi numeri trova la quadra espressiva che la contraddistingue da allora: si spoglia prima delle chine pesanti che avevano i precedenti lavori e poi della patina comica, abbracciando le sgranature pop dei retini e uno stile più attento alla recitazione, alla prossemica e al design.
La critica apprezza il suo senso estetico e le energie profuse nel disegnare l’abbigliamento: «Tra quello e il suo lavoro sulle espressioni facciali, i personaggi sembrano adolescenti vivi e reali, in un modo che non erano mai stati prima». «Le sue cose sono effervescenti, divertenti, vive, energetiche ed entusiasmanti» dice l’editor Tom Brevoort. «Hanno i tratti e le qualità migliori dei disegni che sanno trasmettere umanità e coinvolgimento.»
La creazione di Miles Morales
Non passa molto che le viene chiesto di partecipare alla creazione del nuovo Ultimate Spider-Man, Miles Morales, un ragazzino afro-ispanico pensato dall’editor-in-chief Axel Alonso come simbolo del progressismo che, all’epoca, sembra aver travolto l’America di Obama. Sara accetta, nonostante qualche dubbio: «Ho avuto dei seri problemi, dovevo maneggiare un’icona».
Non solo, anche la questione razziale rappresenta un aspetto da maneggiare con cura: «Brian una volta mi fa “Sara, in questa pagina Miles è troppo di colore…”» raccontava Pichelli. «Intendeva dire che avevo usato un’espressione facciale che aveva esaltato i suoi tratti afro-americani. Il concetto era: sta’ attenta, non deve diventare grottesco, altrimenti si finisce per farne una caricatura, si rischia di essere offensivi.»
Pichelli ricorda la nascita del costume come «uno scambio infinito di e-mail con Joe Quesada e gli editor Mark Paniccia e Sana Amanat» per produrre un costume che richiami quello studiato da Alex Ross per il film Spider-Man (che sarà poi utilizzato per la versione Superior del personaggio) e che al centro mette quell’inedita combinazione di rosso e nero, rimasta il punto chiave di tutto il processo creativo. «All’inizio l’idea era di creare qualcosa di simile all’originale. Pensavo non volessero inventarsi qualcosa di troppo diverso, ma pian piano il discorso si è evoluto.» A un certo punto, il costume non ha più nemmeno le ragnatele. Pichelli spinnge per una versione con tutta la parte del corpo inferiore nera, senza stivaletti o cinture, «perché gli dava un aspetto più aggressivo» e un po’ perché, dice, le piace molto quel colore.
La notizia dello Spider-Man con la pelle nera fa il giro dei giornali, anche italiani. Qualcuno lo accusa di essere un vessillo del politicamente corretto, un Peter Parker con una carnagione più scura, ma i più fremono per vederlo in azione. Senza neanche averne letto una storia, il Washington Post scrive che è «un personaggio di cui c’era bisogno», talmente forte è l’effetto di vedere un’icona del genere farsi rappresentante di un’altra parte della comunità americana, quella afro-ispanica.
Le storie di Miles Morales sono un successo. Bendis, rivitalizzato dalla sfida di elaborare per la seconda volta le origini di un personaggio che si chiama Spider-Man, riesce a creare un giovane supereroe lontanissimo da Peter Parker ma altrettanto affascinante, che parte da Barack Obama e arriva al Troy Barnes di Community interpretato da Donald Glover. Lo stesso fa Pichelli sul versante grafico, stravolgendo il costume e le pose che conoscevamo bene per proporre uno Spider-Man magro e ballerino, incorporando suggestioni da capoeira e parkour. Studia, legge manuali di lotta per rendere credibili gli scontri, frequenta perfino un corso di mimo con un allievo di Marcel Marceau, perché è «incuriosita dal linguaggio del corpo, dal cercare di capire i movimenti dei singoli muscoli».
«La pressione è alta» raccontava Pichelli. «So che devo curare ogni dettaglio per rendere questa serie speciale e Miles un personaggio che duri nel tempo. Voglio che Miles sia ricordato come lo Spider-Man dell’universo Ultimate, non soltanto come lo Spider-Man nero dell’universo Ultimate.»
Le sue aspettative verranno superate perché, dopo una buona serie di avventure su Ultimate Spider-Man, Miles viene prima salvato dalla tabula rasa che Marvel Comics fa del suo universo narrativo, diventando un personaggio della realtà regolare – con tanto di testata solista – e poi è protagonista del film animato Spider-Man – Un nuovo universo. L’acclamazione critica e di pubblico, con conseguente vittoria agli Oscar nella categoria miglior film d’animazione, fa diventare Miles un personaggio ancora più speciale di quanto già fosse: «Quando un padre è venuto a dirmi grazie, durante una convention, perché suo figlio poteva vestirsi come il suo supereroe preferito, ho capito che avevo tra le mani qualcosa di più grande di un fumetto».
China chiara
C’è una linea, sottile quanto quella dei loro disegni, che unisce Pichelli ad autori come David Marquez e Steve McNiven (e, in minor misura, Oliver Coipel). Marquez, con cui Pichelli si alterna durante la sua permanenza su Ultimate Spider-Man e che erediterà il ruolo di disegnatore regolare, le copia la leggerezza e una certa brillantezza (basta guardarsi i suoi lavori indipendenti, prodotti l’anno precedente all’arrivo in Marvel, per notare il drastico cambio di rotta), mentre McNiven, a cui Pichelli fa da sparring partner nei primi numeri di Guardians of the Galaxy, media la propria plasticità cercando lo stesso approccio di Pichelli.
Questi tre nomi si fanno rappresentanti di un filone che, più che “linea chiara”, sarebbe da definire “china chiara” e comprende tutti quei disegnatori che hanno asciugato le loro matite e il ripasso a china, assottigliandolo, rendendolo impalpabile, dosando i neri e utilizzando il tratteggio con parsimonia.
A disegnare i Guardiani della Galassia, Sara Pichelli ci finisce con l’inganno: forse conoscendo l’amore che la disegnatrice nutriva per Neil Gaiman e l’opposta indifferenza verso il genere fantascientifico, Brian Bendis le invia un messaggio che dice: «Tu, io e Gaiman su una nuova serie. Per ora non posso dire altro, dimmi solo che accetti».
In un’intervista apparsa su Guardiani della Galassia n. 5, l’autrice racconta di aver accettato a scatola chiusa solo sulla promessa di poter lavorare con Gaiman. In realtà Bendis l’ha chiamata per introdurre Angela – personaggio creato da Gaiman per Spawn e poi venduto alla Marvel – nel mondo dei Guardiani: il ruolo di Gaiman è di semplice consulente. In più, ora le tocca destreggiarsi in un mondo sci-fi che conosce poco, studiandone il codice visivo (in questo, si fa aiutare da Messina per «trovare i riferimenti giusti») ma che le offre anche il destro per giocare con il design: il suo Rocket Racoon è quello più animalesco, che guarda alla realtà e meno ai cartoni.
La ricerca di uno stile
All’inizio, il suo stile ha echi orientali, ma quando i lettori cercano le influenze degli shojo nel suo retroterra restano delusi perché «all’epoca non avevo mail letto un manga in vita mia». Anzi, di fumetti in generale non ne ha mai letti molti prima di iniziare a lavorare come disegnatrice, come raccontato. Ed è talmente poco avvezza al mezzo che, quando negli uffici Marvel le offrono di lavorare su Spider-Woman, chiedendole quale supercriminale vorrebbe disegnare, lei ammutolisce, nonostante il fidanzato sia lì a fianco cercando di imboccarle qualche nome. «Non ne conosci neanche uno, eh?» capisce l’editor.
Tra i suoi studi ci sono invece Klimt, Schiele, Claire Wendling e Ian McCaig, il cui ritratto della femminilità si ritrova nelle bocche che disegna Pichelli: «Cerco di uscire da tutto quello che è fumetto, non perché non mi piaccia, ma perché ho paura che l’aria, a lungo andare, diventi viziata». E forse è proprio questo crocevia di stimoli esterni a renderla accattivante agli occhi dei lettori.
Pur aderendo ai canoni dei fumetti supereroistici, Pichelli conosce bene i corpi, specie quelli femminili, e cerca il realismo anche nei fisici impossibili, mostrando una sensibilità estranea a pinuppari consumati – e un po’ cinici – come J. Scott Campbell.
La sua tavola non si ferma mai, le vignette spesso sono giustapposte, fluttuano sulla pagina respingendosi come magneti (a volte esagerando un po’). Il suo immaginario, dice lei, è a tratti «un po’ angosciante. Mi piacciono i freak, le deformità, le cose morbose», e non è difficile vedere ribollire, nascosti sotto lo strato del genere supereroistico, le inquietudini che animano i design di Funerea e Cadaverous, i cattivi che inventa per Fantastic Four e Spider-Man, entrambi debitori dell’Alien di H. R. Giger.
Da Bendis a Slott
Il sodalizio con Bendis prosegue con Spider-Men e Spider-Men II, in cui gli autori svelano l’esistenza di un altro Miles Morales, proveniente da Terra-616, e poi nel 2016, quando il supereroe ottiene la testata solista Spider-Man. In queste storie, Pichelli ritrova un Miles cresciuto e, seguendo l’evoluzione del giovane, irrobustisce il proprio segno, lasciandosi andare a momenti caricaturali e alternando uno stile più definito e brillante nelle scene con Spider-Man a uno più dimesso e non-finito in quelle con Miles.
Su Spider-Man si esibisce in tavole dove si sottrae all’esibizionismo e preferisce architettare, attraverso la scansione delle vignette, una regia che simula eleganti movimenti di macchina. Secondo Multiversity Comics la fumettista «è in grado di trasformare anche le scene peggiori in momenti intenzionali e onesti».
Nel 2018 Fantastic Four le dà l’opportunità di reintrodurre il primo super-gruppo della Marvel nei fumetti, dopo alcuni anni di assenza. Le recensioni sono buone, c’è chi scrive che «Pichelli mostra la ragione per cui è una delle disegnatrici più versatili della Marvel, riuscendo a rendere bene sia i momenti più intimi che i grandi gesti».
Il segno si irrobustisce ancora di più, le immagini sono più aperte e i corpi più liquidi, ma l’esperienza ha il fiato corto. Gli impegni sono tanti (dal 2010 insegna alla Scuola Internazionale di Comics) e dopo tre numeri viene chiamata a disegnare un progetto di cui la direzione vuole far trapelare il meno possibile.
L’incarico si rivela essere la terza incarnazione della testata Spider-Man, varata per ospitare una storia scritta da J.J. Abrams e da suo figlio Henry. Sara Pichelli la disegna facendo a meno di inchiostri incisivi e preferendo un tratteggio fine e tenue come la neve, alleggerito ancora di più dai colori di Dave Stewart. L’atmosfera è luttuosa, perfino il design del cattivo ex-novo Cadaverous è stato pensato dal team creativo «per odorare il lutto e la rabbia quando lo guardi».
La carriera di Sara Pichelli è allora un ottimo esempio di quanto, usciti dal perimetro della passione, anche se quella non è la strada che avevi scelto in partenza, impegno e studio possano sopperire ogni altra lacuna e condurre su percorsi insperati. E forse più appaganti di quelli sognati.
Il consiglio che si sente di dare, è quello di «mantenere la propria visione e non rifugiarsi all’interno di quelle di altri. Disegnare qualsiasi cosa. Io non amo chi dice questa cosa non mi piace non la disegno, o chi si preclude delle cose. “Ah, io non disegno fumetti storici, o di supereroi.” È fumetto. Devi provare ad abbracciarlo il più possibile poi crearti la tua visione».
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