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JoJo, un bizzarro melting pot di influenze

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Il giapponese Hirohiko Araki, autore de Le bizzarre avventure di JoJo, sarà tra gli ospiti internazionali di Lucca Comics & Games 2019 (30 ottobre – 3 novembre), in collaborazione con la casa editrice Star Comics.


Quando Le bizzarre avventure di JoJo di Hirohiko Araki debuttò, nel 1987, la rivista che per prima lo ospitò, Shonen Jump, vendeva milioni di copie a settimana, e al suo interno erano serializzati titoli come Dragon Ball e Ken il guerriero, fumetti già a quel punto di gran successo, diventati presto icone pop in tutto il mondo. All’epoca, un contenitore come Shonen Jump metteva accanto fumetti comici e altri estremamente violenti. C’era meno standardizzazione e anche meno politically correct, rispetto ad adesso, e fu facilitata quindi la nascita di prodotti sperimentali come JoJo.

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Già all’interno di un contesto editoriale ampiamente variegato, JoJo nacque come qualcosa di diverso, di difficile da incasellare. Era un battle shonen, ma privo di cliché e determinato sin dai primi episodi a non accettare troppi compromessi o stilemi già consolidati. Prese il via lentamente, prendendosi rischi e andando avanti per una strada del tutto propria che Araki, ha coniugato gradualmente, nel corso di molto anni. Nelle varie incarnazioni, JoJo è diventato uno dei manga più longevi attualmente in corso, dipanatosi tra varie serie, con protagonisti diversi, tutti uniti dal soprannome JoJo e imparentati tra loro.

La prima serie di JoJo – intitolata Phantom Blood – fu breve, raccolta in appena cinque volumi. Prese il via mescolando generi con particolare disinvoltura, anche senza curarsi di strizzare l’occhio al pubblico. Apparentemente, Araki era avvicinabile, nel segno, al già più celebre Tetsuo Hara (Ken il guerriero). Uomini dalla fisicità imponente, muscolosi e dai lineamenti del volto marcati – peraltro prettamente occidentali – erano i protagonisti di un racconto in cui per almeno diversi episodi una violenza anticipata e coltivata attendeva a manifestarsi.

Se Tetsuo Hara si ispirava chiaramente al cinema d’azione degli anni Settanta/Ottanta, inserendosi con forza dentro a filoni popolari come il genere apocalittico (Mad Max su tutti), Araki ha da sempre fatto confluire nel suo segno e nelle sue storie una moltitudine di influenze – spesso di alto profilo – che lo hanno reso ad alcuni indecifrabile e impossibile da incasellare, ma, per qualche strana alchimia, accessibile a un pubblico diversificato.

Araki aveva avviato la propria carriera nel 1980, pubblicando alcune storie brevi e poi due miniserie, Baoh (1984 – 1985) e Gorgeous Irene (1985 – 1986). Era stato a lungo in cerca di una cifra propria. Il suo segno e la sua estetica guardavano all’Occidente ma non prettamente al fumetto. Le donne – prima in Gorgeous Irene e poi in JoJo – si ispiravano nelle pose e nei volti delicati all’Art Nouveau europea (Alfons Mucha), ma ancor di più alle correnti artistiche del primo Novecento (Gustav Klimt).

I suoi uomini erano grossi, avevano arti possenti, tanto che spesso facevano fatica a entrare nelle vignette, piegandosi per adattarsi ai contorni. Sembrano scolpiti nel marmo, incerti e umani, ma forti e irremovibili. Nel primo Araki lo studio delle forme derivava dalla cultura rinascimentale italiana. C’era una idealizzazione incerta, che rifletteva costantemente sulla fragilità dell’uomo nel suo tendere a Dio.

La forte passione dell’autore per l’Italia traspare anche nell’influenza che il mondo della moda ha nel suo lavoro. Il design degli abiti è da sempre elemento fondamentale nella caratterizzazione di tutti i personaggi, che sembrano usciti da una sfilata di Gucci, Moschino o Coveri, camminano con i fianchi pronunciati e sporgenti e non mancano mai di sfoggiare accessori originali e accostamenti di colore audaci.

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Una illustrazione di Antonio Lopez

In certi personaggi queste tendenze un po’ stonavano, in particolare nelle prime serie. Ma nella quarta e nella quinta serie, con i protagonisti Josuke Higashikata e Giovanna Giorno e con l’arrivo nella contemporaneità, le figure più longilinee dei personaggi (assai meno macho) si sono prestate allo sfoggio di costumi vivaci e insoliti, rappresentati con una freschezza di tratto degna degli schizzi di uno stilista, ma soprattutto un segno ispirato ai disegni dell’illustratore spagnolo Antonio Lopez o dell’americano Tony Viramontes e pose riprese esplicitamente dagli scatti di fotografi come Richard Avedon e Richard Avedon e Bruce Weber.

Se inizialmente alcuni personaggi erano palesemente effeminati, la prima JoJo donna – Joline Kujo, protagonista della sesta serie – ha dato modo ad Araki di dare sfoggio completo alla sua passione per il design degli abiti, uscendo così da ogni necessità di concentrarsi su una costruzione del fisico umano mutuata dal plasticismo della scultura michelangiolesca (si guardi ai prigioni e agli schiavi).

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Le scarpe Vans ispirate a JoJo

Negli anni a seguire, l’autore ha poi collaborato con marchi della moda di alto profilo come Gucci, o più pop come Vans. Perché Araki, con il suo melting pot di esperienze culturali, è sempre stato estremamente pop. Lo ha dimostrato sin dai primi episodi della serie anche con il suo prorompente citazionismo musicale. I nomi di personaggi e comprimari erano ispirati, in modo neanche troppo camuffato, a band e musicisti rock, sin dalla nemesi di JoJo, chiamato Dio, che rimanda al cantante Ronnie James Dio (Black Sabbath, Dio).

Pensando invece all’effeminatezza e all’esuberanza di certi personaggi non si può fare a meno di notare l’influenza di David Bowie e di tutto l’immaginario visivo che ha accompagnato la sua produzione musicale per decenni. Basti guardare, oltre ai costumi del musicista e alle sue pose, si pensi alla posizione delle mani nella copertina di Heroes, o anche la copertina dell’album Diamond Dogs per comprendere come l’artista belga Guy Peellaert – autore di essa – possa essere stato influente per Araki, con le sue pose e i suoi colori.

Queste sono state le premesse estetiche della serie, e ormai sono passate tre decadi e oltre 120 volumi dal suo inizio. Attualmente, è in corso l’ottava serie di JoJo, intitolata JoJolion. È passato il tempo inquieto (e giovanile) nel quale Araki sperimentava episodio dopo episodio, arrivando a mostrare stili diversi serie dopo serie. Ma i primi cicli di JoJo restano una delle esperienze più innovative nel panorama manga di un periodo prolifico e sfaccettato come gli anni Ottanta.

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