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Il Paperinik di Lucio Leoni, la risposta classica a Pikappa

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Vignetta completamente nera, solo una classica didascalia su fondo giallo nell’angolo in alto a sinistra. «All’inizio, come ogni volta, c’è il buio, e il silenzio». Seconda vignetta, nel nero compaiono un cerchio bianco e una scritta rossa, con lettere tremolanti: «Non dimenticare il tuo dovere…» Poi l’inquadratura si allarga, una, due, tre vignette. Scopriamo che il nero era la pupilla di un tizio, testa gigante, sguardo crudele, che ci punta in faccia un aggeggio tecnologico dall’aria minacciosa. Ultima vignetta della pagina, un lampo accecante di luce emanato dall’arma. Dida: «Di solito, è a questo punto che Paperino si sveglia».

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Immaginate l’effetto di questo incipit su un ragazzino di 11 anni…

È un incipit abbastanza particolare per un fumetto Disney, che di solito evita le inquadrature in prima persona. È inquietante, più di quello che ci si aspetta da una storia di Paperinik, e decisamente spiazzante, perché non dà alcun appiglio al lettore per capire cosa stia succedendo. È la prima pagina di Paperinik e l’inganno silenzioso, di Lucio Leoni e Emanuela Negrin, pubblicata su Paperinik n. 68 del maggio 1999.

Siamo negli anni d’oro del papero mascherato, uno degli apici del suo successo. Come abbiamo già raccontato, in quel periodo le sue caratteristiche si erano stabilizzate, aveva una testata che pubblicava storie inedite e ristampe e in parallelo si stava concludendo il primo ciclo di PKNA – Paperinik New Adventures, la versione supereroico-marvelliana. Il successo di quest’ultima aveva dimostrato che il pubblico aveva voglia di storie più serie, in cui l’alter ego di Paperino affrontasse sfide più grandi dei soliti Bassotti e Inquinator, toccasse temi profondi e parlasse in generale in modo più adulto.

Anche il mensile Paperinik (già Paperinik e altri supereroi) fu influenzato da PKNA, complice il fatto che molti autori collaboravano per entrambi i giornali. Tito Faraci, ad esempio, firmò una serie venata dal suo umorismo demenziale, Quando Paperinik mangia pesante, in cui scatenava la sua penna con la stessa comicità che usava nelle Angus Tales in appendice a PKNA, e le supereroiche Il risveglio del ripulitore e La minaccia di Dynamo, basate sull’altra dinamica a lui cara, quella del mostrone che distrugge tutto.

È in questo contesto che si inserisce l’opera di Lucio Leoni: «Leggevo PK e mi piaceva molto – scrive l’autore in una conversazione via email – ma mi infastidiva il modo in cui veniva continuamente denigrato il Paperinik classico, definito “quello con gli stivali a molla e la pistola a trombetta”. Questo mi ha spinto a realizzare storie con un Paperinik decisamente molto performante sul lato fisico, nel desiderio di dimostrare che l’alter ego di Paperino era decisamente qualcosa di più che un tizio con un buffo costume che dava il tormento ai Bassotti.»

Leoni esordisce nel 1990 su Tiramolla, effimero tentativo dell’editore Vallardi di far rivivere il personaggio di Roberto Renzi e Giorgio Rebuffi. Tramite lo Staff di If di Gianni Bono inizia a collaborare con Disney sulle testate minori per cui lo studio realizzava le avventure inedite, con qualche apparizione sull’ammiraglia Topolino. Le prime tavole interamente scritte e disegnate da lui sono le cinque autoconclusive Un papero… super su Disney MEGAzine n. 45 del dicembre 1997; sei mesi dopo pubblica Paperinik e i super poteri problematici su Paperinik n. 57.

La supervisione della storia è di Massimo Marconi, uno dei massimi scrittori Disney, all’epoca responsabile delle sceneggiature per lo Staff di If, che se ne ricorda ancora molto bene: «Ricordo che la prima storia fu abbastanza “combattuta” a livello di soggetto, ma poi venne molto bene, tant’è vero che da allora in poi diedi a Lucio carta bianca: bravissimo nelle sceneggiature e impeccabile nei dialoghi».

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Già nella prima storia lo stile di Leoni è chiaro, con un miscuglio attento di azione e tante, tante gag

Da quel momento la produzione si infittisce, con quasi una storia al mese tra Paperino e Paperinik. Una mole di lavoro notevole tra scrittura e disegno, resa possibile anche dalla collaborazione con la compagna Emanuela Negrin, inchiostratrice e “supervisore artistico ufficioso”.

Per Leoni scrivere da solo i propri fumetti «è stato un naturale sviluppo della mia professione, avevo sempre scritto storie fin da bambino e finalmente mi veniva data l’occasione di farlo per lavoro. Scrivere le proprie storie dà un doppio vantaggio: da un lato non devi perdere tempo ad interpretare la sceneggiatura, perché tutte le inquadrature e le espressioni sono già nella tua testa, dall’altro… non ti capita mai una sceneggiatura che non ti piaccia!».

Ma se è vero che sceneggiare per se stessi è spesso un passaggio naturale nella carriera di un fumettista, non è così frequente che questo porti un risultato di grande qualità. Leoni, già dalle prime prove, si dimostra uno sceneggiatore di razza, capace di ideare trame originali e di indagare i personaggi in modi inediti.

Torniamo ad esempio a L’inganno silenzioso. Abbiamo lasciato il lettore spiazzato da un inquietante incubo di Paperino, senza alcun appiglio per comprendere quello che ha visto. Voltata pagina, ci rendiamo conto che Paperino stesso non sa cosa significhi quel sogno, e per tutta la prima parte della storia lettore e protagonista sono ugualmente smarriti.

Il papero si accorge di non avere memoria di tante nozioni, grandi e piccole, che tutti gli altri paperopolesi danno per scontate, dall’elezione del nuovo sindaco Brain (il tizio dell’incubo) all’apertura in centro della nuova sede di una multinazionale dell’informatica, finché non percepisce che questi buchi nei suoi ricordi hanno qualcosa in comune. È un’indagine perfetta per Paperinik! Peccato che non si ricordi più come contattarlo…

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“Dove sarà finito Paperinik?!?”

Qui Leoni spiazza una seconda volta il lettore, togliendogli da sotto i piedi una delle certezze della serie: com’è possibile che Paperino non si ricordi di essere lui stesso il supereroe? Lo osserviamo trovare il rifugio segreto e costruire una tale quantità di spiegazioni contorte per la sua situazioni che Occam gli avrebbe tagliato la gola con il famoso rasoio, e gettarsi poi nell’indagine pur sapendo di non essere degno di vestire i panni del Diabolico Vendicatore.

La conclusione, che ovviamente risolve tutto, mette nero su bianco come Leoni percepisce il suo protagonista: Paperinik è praticamente un’entità separata da Paperino, e quando quest’ultimo indossa i panni del proprio alter ego “dimentica” se stesso, la parte più pasticciona e sfortunata, per essere un eroe quasi perfetto.

All’apparenza si tratta di una conclusione esattamente opposta a quella a cui erano arrivati gli autori di PKNA, per i quali la forza del superpapero sta proprio nel suo essere Paperino. “Solo un piccolo fragile papero”, come si chiude Trauma di Faraci e Lorenzo Pastrovicchio, che non vince grazie alla tecnologia futuristica a disposizione ma grazie alla sua forza d’animo e ai valori in cui crede.

Leoni deve lavorare al contrario, poiché quello che racconta non è il Paperinik potenziato da Uno, è il papero con mascherina, stivaletti a molla e pugnone dalla cintura. Non ha bisogno di sottolinearne la forza interiore in contrapposizione all’armamentario, deve metterne in luce l’esperienza come supereroe – in fondo è in azione da trent’anni –, le capacità investigative e la fama di giustiziere.

Questo gli permette al tempo stesso di scherzare sull’umanità di Paperino. Molte delle battute nelle sue storie sono incentrate sui suoi difetti, che stonano affiancati al cipiglio da duro di quando indossa la maschera. Addirittura il motore di una storia, Paperinik e il dilemma della forma fisica, è l’amor proprio del papero, un po’ maschilista in verità e per questo oggetto di ironia, che in quanto uomo non può permettere che una ragazza sia più forte e allenata di lui.

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Il Paperinik del futuro fa leva sull’umanità del nostro in Paperinik e la minaccia del Time Slide.

L’umorismo permea le storie di Leoni. Si tratta di umorismo puro, fatto di gag fisiche, di battute spontanee, di qualche scenetta surreale. Ancora una volta l’autore si stacca nettamente da quanto fanno i suoi colleghi su PKNA, dove imperano l’umorismo demenziale e le uscite ciniche da duro degli hard boiled di Faraci oppure le battutine per stemperare la tensione in stile Spider-Man di Alessandro Sisti, Francesco Artibani e Bruno Enna. Lui segue una sua strada, più ancorata alla tradizione. Il risultato fa ridere, e di gusto.

Ma l’aspetto più memorabile della sua opera restano le trame. Ogni avventura del suo Paperinik è particolarmente complessa ed elaborata. Le sceneggiature si basano spesso su flashback e flashforward e non sono mai lineari.

Paperinik e la corsa contro il tempo (aprile 1999) è una classica storia di paradossi temporali con una costruzione impeccabile: il supereroe non riesce a fermare il solito assalto dei Bassotti al deposito e torna indietro nel tempo grazie a un’invenzione di Archimede per risolvere la situazione, ingarbugliando però tutto.

Paperinik e lo spettro della guerra civile (novembre 1999), che racconta di furti in un museo ad opera di un fantasma, alla fine si svela essere un classico giallo whodunit alla Agatha Christie con un tocco di fantascienza.

Paperinik e il futuro imperfetto (marzo 2003) e Paperinik e la new generation (dicembre 2003) hanno entrambe al centro di nuovo la macchina del tempo di Archimede. I viaggi in due futuri diversissimi ma ugualmente indesiderabili lo spingono a interrogarsi sulla sua eredità, sul suo lascito futuro per Paperopoli.

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Nel Futuro imperfetto Paperinik è diventato una leggenda, e il suo lascito ha reso il mondo un posto terribile.

Anche la trama più complessa dell’intero corpus, Paperinik e la minaccia del Time Slide (ottobre 2000), ha al centro spostamenti temporali. Paperinik viene portato in un mondo distopico dalla sua controparte del futuro, che ha bisogno di lui per salvare Paperopoli dalla dittatura. Il fumetto è composto di due blocchi narrativi distinti, il racconto di come si è arrivati a quell’ucronia e la ribelione degli abitanti di Paperopoli contro il tiranno.

Bisogna notare che nella Minaccia del Time Slide l’autore compie la scelta molto coraggiosa di rappresentare una versione diversa, indurita dalla guerriglia, dei concittadini di Paperino. Pico, Paperoga e Paperina non sono i soliti simpatici amici: pur mantenendo le caratteristiche di fondo sono personaggi diversi, veri guerrieri urbani. L’atmosfera che si respira nelle pagine ambientate nel futuro è opprimente, trasuda guerra, mancanza di libertà, oscurità, al limite di quanto possibile per un fumetto Disney e nonostante il tratto morbido di Leoni. Solo le battute e le gag, sapientemente distribuite in tutta la storia, riescono a stemperare la tensione.

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Batman chi?

Altra caratteristica peculiare di questa serie di avventure è la creazione di un piccolo universo condiviso: «Mi è sempre piaciuta l’idea di un microverso autoriale. All’epoca non esistevano ancora gli universi narrativi tascabili degli ultimi tempi, quali Fantomius, DoubleDuck o Wizards of Mickey, e gli unici casi di continuity riguardavano le serie come quelle dei viaggi nel tempo di Zapotec e Marlin o le saghe del Principe delle Nebbie o dei Signori della Galassia. A farmi da modello sono state le storie di Romano Scarpa su Topolino degli anni ’50-’60, in cui si faceva riferimento ad eventi accaduti in storie precedenti con estrema naturalezza».

«Così, un poco alla volta – continua Leoni – ho cominciato a delineare una specie di cartina geografica di Paperopoli, riutilizzando varie location e vari personaggi ad hoc quando mi erano utili: se mi serviva un museo era sempre lo stesso e ci lavoravano sempre le stesse persone. Altre volte ho semplicemente inventato dei personaggi perché mancavano nel panorama di Paperopoli, quali il commissario di polizia. Alla fine la cosa mi ha preso la mano e ho cominciato a riutilizzare qua e là anche character assolutamente secondari giusto per il gusto di farlo, e anche ad inserirne qualcuno solo per qualche cameo visivo.»

Non solo quindi personaggi che ritornano, come il perfido Brain, ma situazioni che rimandano ad altre, cose che Paperino sa perché le ha già viste in una storia di qualche mese o anno prima. Non siamo in presenza di una trama orizzontale, sia chiaro: ogni avventura è indipendente e perfettamente leggibile presa da sé. Ci sono però dei legami che le collegano l’una all’altra in un “leoniverso”, cosa quasi unica per il fumetto Disney, che vive da sempre la serialità in modo esclusivamente verticale, con avventure scollegate e situazioni che tornano al punto di partenza dopo la parola “fine” senza lasciare strascichi nelle storie successive.

Illustrazione realizzata da Leoni per il suo sito personale, con i comprimari principali delle sue storie.

Il risultato di tutto questo – l’umorismo classico, le trame complesse e l’universo unico – è una visione unica di Paperinik, che si differenzia dalle altre per l’approccio moderno e al tempo stesso ancorato alla tradizione. Quella di Leoni è la naturale evoluzione delle storie scritte da Giorgio Pezzin e disegnate da Massimo De Vita negli anni Ottanta, quando Paperinik assunse appieno il ruolo di difensore di Paperopoli in parodie dei fumetti di supereroi.

Lo ammette in qualche modo l’autore stesso quando, parlando delle sue influenze, cita prima di tutti i due maestri, «Giorgio Pezzin, che ritengo lo scrittore più divertente che abbia mai letto e sicuramente quello che mi ha influenzato di più come sceneggiatore» e «Massimo De Vita, forse l’autore che graficamente sento più vicino a me».

Sono ormai quindici anni che non viene pubblicata una nuova storia scritta da lui, che nel frattempo ha realizzato altri fumetti per Disney, da W.i.t.c.h. a Pirati dei Caraibi, ha lavorato per il mercato francese e ha collaborato ancora con Topolino ma solo in veste di disegnatore. È un peccato, perché nel periodo di stanca che il settimanale sta vivendo – fisiologico contraccolpo dopo l’exploit di qualche anno fa? – la sua penna potrebbe trovare facilmente il suo spazio. Chissà che Panini non inserisca prima o poi nel suo programma di ristampe la riedizione di questo ciclo di storie, a fare magari da scintilla per vedere finalmente Leoni sul settimanale come autore unico.

Le craniate fanno sempre ridere! Da Paperinik e lo spettro della guerra civile, che ne è piena.

Se lo augura anche Massimo Marconi, che di Leoni si sente con orgoglio il padrino artistico: «Secondo me Lucio Leoni – grazie anche a Emanuela – è da più di vent’anni uno dei migliori disegnatori Disney in attività, poco sotto Giorgio Cavazzano e a livello di campioni come Massimo Fecchi, Massimo De Vita e Cèsar Ferioli. E come autore completo lo può eguagliare solo De Vita. Lo dimostrano le sue storie, tutte passate da me (ritengo il fatto di averlo fatto lavorare come autore completo uno dei miei meriti maggiori)».

«Lucio Leoni è un grande, grandissimo sceneggiatore… incompreso a livello redazionale» chiosa poi Marconi. «Sono orgoglioso di averlo fatto lavorare, e il fatto che da quasi vent’anni non sceneggi più è secondo me un mistero e anche un danno per i lettori. Le storie e i disegni di Lucio ti prendono, ti appassionano e soprattutto ti fanno ridere: non è da tutti!»

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