Taiyo Matsumoto racconta l’infanzia come pochi fumettisti contemporanei sanno fare. Ha esplorato quell’età incerta e inafferrabile che sta al confine tra la fanciullezza e l’adolescenza, in Tekkon Kinkreet e in Sunny, nel primo muovendosi in un contesto distopico, nel secondo giocando in equilibrio costante tra realtà e sogno.
In Gogo Monster, realizzato all’inizio degli anni Duemila, il suo sguardo trova una dimensione il più possibile vicina al reale, nonostante si racconti di un bambino convinto che al quarto piano della sua suola elementare abitino ogni sorta di mostri e spiriti. Nelle oltre 500 pagine di questo manga autoconclusivo, Matsumoto, a differenza del suo protagonista, dipana le vicende ordinarie con grande lucidità. Ogni episodio e ogni vicenda hanno il ritmo del resoconto quotidiano, nella cronaca di una normale vita scolastica. Con un disegno graffiante e denso di neri, con lo strategico ripetersi di situazioni, scenari e immagini – in un loop ipnotico – l’effetto riesce tutt’altro che sterile e freddo.
Come una canzone che si ama mandare in repeat, come un ritornello entrato in testa o una parola ripetuta fino a darle un altro significato fino a percepirla come insensato susseguirsi di fonemi, i giorni di Yuki a scuola sono un refrain dolce e sognante. Il protagonista è emarginato dagli altri compagni, vive spesso in solitudine, in una dimensione propria, non compreso nemmeno dagli insegnanti, ma soltanto da un bidello. Forse è autistico, viene da pensare dopo un po’ pagine. Forse lo si pensa proprio perché cullati dal racconto in quella confortevole routine. Ma a Matsumoto non sembra importare di dare un nome alla condizione del ragazzino. È uno come tanti e la cinica ironia dell’autore rispetto alla banalità di tutto ciò che lo circonda non fa che mostrare una realtà da cui vale la pena scappare, anche vedendo mostri, se può servire.
Seppur viva di vita propria, non si può far a meno di pensare a Gogo Monster come a una sorta di passaggio intermedio verso il più lungo e sfaccettato Sunny. Quest’ultimo nasceva dalla rielaborazione di esperienze personali. Come ha più volte dichiarato, Matsumoto ha passato una infanzia non facile, vivendo alcuni anni in case famiglia, e Sunny è un racconto corale che spesso evade dal reale. In Gogo Monster, invece, l’autore fa di tutto per tenere i piedi ben piantati in terra. La fiducia che Matsumoto sfida a riporre nel protagonista, permette di accettare i mostri come entità plausibili. Il bianco e nero netto è abbacinante (come in altri lavori di Matsumoto), le inquadrature grandangolari disorientano e mettono in discussione la percezione. È un segno più vicino al bianco e nero netto di Ping Pong (quella bizzarra e avvincente escursione di Matsumoto nel campo del fumetto sportivo).
Gogo monster è dunque un racconto spietatamente intenso, un tassello necessario nel quadro delle opere di Matsumoto, e una lettura che sfida a provare empatia per un bambino, solo, nel quale nessuno sembra credere. In questo, probabilmente, rivela la sua natura di lettura tutt’altro che per ragazzi. Serve probabilmente una certa distanza anagrafica per riconoscere il meticoloso, costante equilibrio tra sogno e realtà che Matsumoto ci propone di osservare. E più del solito, ci chiede di meditare insieme a lui su quella sottile linea che separa le vite “ai margini” dalla loro maturazione adulta.
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