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Massimo Mattioli, il più grande prestigiatore del fumetto

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Come spesso accade ai maestri del fumetto meno banali e meno facili da incasellare in categorie, il ricordo di Massimo Mattioli – recentemente scomparso – potrebbe assumere molte forme. Incluse quelle più semplificate: un “gigante del fumetto umoristico”, uno dei rari “protagonisti del fumetto per bambini”, uno “sperimentatore” formale irriverente (negli anni 70/80), un “mago della parodia”.

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I lettori più affettuosi e nostalgici preferiranno i primi tipi di sintesi, quelli più intellettuali le altre, e gli estimatori più attenti potrebbero esporre una qualche somma o miscela di esse. Ma resterebbero pur sempre semplificazioni.

La grandezza di Mattioli è in qualcosa di un po’ meno evidente, ovvio o facile da spiegare. Il cuore dei suoi lavori – sia quelli fatti per far ridere, sia quelli da prestigiatore del fumetto che punta(va)no a un effetto wow, fino a quelli che, più intellettualmente, stimolano a ripensare immagini e simboli – è tutto nell’arte del paradosso.

Da Gatto Gattivo a Lo zoo pazzo, da Pinky a M le Magicien, da Squeak the Mouse a Joe Galaxy, da Superwest a Bam-Boom, è quasi impossibile trovare tavole non imbevute di assurdità, sia narrative che visive, spesso orientate all’umorismo ma altrettanto spesso più interessate allo spiazzamento che alla sola risata.

Nei suoi lavori per Cannibale e Frigidaire – come quelli visti nella notevole antologia Bazooly Gazooly – o per altre riviste rivolte a lettori adulti, a fare eco erano soprattutto ingredienti creativi tipici degli anni della contestazione: satira politica, sesso droga rock’n roll, pop art, calembour linguistici.

A fare da collante, oltre allo stile cartoonesco e alla buffonesca presenza di animali antropomorfi, era uno spirito autenticamente dadaista per la sua propensione alla stravaganza e alla derisione, tanto verso le forme artistiche e gli immaginari quanto verso comportamenti sociali e slogan politici.

Se dovessimo pensare una immaginaria famiglia di fumettisti surrealisti italiani, Mattioli ne sarebbe senza dubbio il capofila, accompagnato dalle rare matite in qualche misura affini: dal teatrale Jacovitti alla gommosa Ghermandi, fino agli echi più recenti in Misesti, Sio e – purtroppo – pochi altri.

Per produrre i suoi innumerevoli, talvolta indimenticabili paradossi – basti pensare al Tex Avery turned horror di Squeak the Mouse – Mattioli si è affidato molto alle sue innate abilità nel continuo ribaltamento delle azioni e dei personaggi: teneri esserini diventano vettori violenti, belle forme diventano mostruose perversioni, oggetti banali diventano mondi viventi.

Per non dire del ribaltamento dei linguaggi, nel suo libero e sfacciato del remix di disegni e fotografie, o del sampling di altri fumetti e opere d’arte, usati in chiave del tutto analoga a certi esperimenti del fumetto situazionista. Uno dei fili rossi del suo lavoro sul ribaltamento, che si può trovare tanto in Gatto Gattivo quanto in Pinky e in enne altre storie, è nel ribaltamento della realtà.

Mattioli ha spesso messo scena paradossi e giochi sulla percezione: dagli elementari mondi-dentro-mondi de Gli esperimenti di Mr. Fool alle distorsioni percettive in Bastardi, fino agli innumerevoli momenti meta-fumettistici in Pinky. In Gatto Gattivo scopriamo che il violento e irriverente protagonista crumbiano è, in verità, nient’altro che un giocattolo nelle mani di un bimbo. E in un episodio di Pinky – non a caso inserito da Mattioli nel suo sito internet, tra i frammenti essenziali del suo lavoro – un orrendo alieno fornisce una risposta alla domanda del coniglietto rosa: «Che cos’è la realtà?» «La realtà è un fico secco».

Viaggiando sereno al di là del piano della logica, talvolta giocando e talaltra puntando al disvelamento, Massimo Mattioli ha costruito una impressionante carriera di prestigiatore del fumetto, in grado di stregare, illudere, ingannare, provocare, svagare, infastidire.

Non ha parlato molto. Ma ha lasciato qualcosa a tutti.

Leggi anche: Massimo Mattioli, genio incontenibile dei fumetti

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