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Spider-Man a Venezia, il primo fumetto italiano dell’Uomo Ragno

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Vedere un supereroe statunitense in un ambiente che non siano la giungla urbana, mondi paralleli o, al limite, lo spazio profondo è sempre un po’ straniante. Le poche volte che alle spalle di Iron Man svetta la porta di Brandeburgo o che Batman si trova a combattere contro un highlander scozzese si crea un contrasto acido, come mangiare una fragola col formaggio. Lo puoi fare, ma per apprezzare il gusto devi saper scegliere bene gli ingredienti.

Il rischio è di risultare stridente, di trovarsi dentro una brochure turistica, o di scadere nel luogo comune che ti porta a mostrare il Colosseo ogni volta che sei a Roma o a intravedere la Torre Eiffel da qualsiasi finestra di Parigi.

A maggior ragione se il personaggio in questione è legato al proprio contesto urbano. È il caso di Spider-Man, la cui New York è più di un semplice sfondo per le sue storie, è un personaggio che fa parte del cast storico tanto quanto zia May o Mary Jane. Togliere New York significa, in parte, dare un’altra forma al personaggio.

Dare un senso all’Uomo Ragno fuori dalla città senza che ne perda gli elementi fondativi è un compito difficile. Perfino i film non avevano mai osato mettere in discussione l’ambientazione newyorchese. Dopo sei pellicole, Spider-Man: Far From Home è stata la prima a tentare la carta esterofila, portando Peter Parker in giro per l’Europa e anche a Venezia.

uomo ragno segreto del vetro venezia

Nei fumetti, in oltre cinquant’anni di storie, una sola storia ha osato fare lo stesso: Il segreto del vetro, albo del 2003 che ha presentato anche la prima avventura di Spider-Man realizzata in Italia, da un team tutto nostrano, editore compreso.

In valigia: passaporto e supertuta
Nel 2002, Lucca Comics & Games si svolgeva nell’area fieristica della città, tra il palazzetto dello sport e le tensostrutture montate per l’occasione. Tito Faraci racconta a Fumettologica che si trovava allo stand Panini, conversando amichevolmente con l’editor Enrico Fornaroli. «A un certo punto Enrico mi fa “Beh ormai hai fatto tutti i personaggi, chi ti manca?”, “Figurati me ne mancano un sacco” e feci un gesto verso la statua dell’Uomo Ragno che troneggiava sopra lo stand».

L’idea di realizzare una storia di Spider-Man tutta italiana sembrava impossibile per chiunque, tranne che per il direttore responsabile di Panini Comics Marco M. Lupoi. «Si spese molto a proposito», continua Faraci. «La sua mediazione è stata fondamentale, perché tra di noi ci sembrava un’operazione difficile da far passare, mentre Lupoi ci diceva “Ma no, non è impossibile, proviamo a proporlo”». Bisognava sentire gli Stati Uniti e mettere insieme una macchina da guerra, ma a quello ci avrebbero pensato gli altri. Dopo aver indicato il disegnatore – Giorgio Cavazzano, che accettò di buon grado – Faraci doveva solo trovare una storia.

Inizialmente, l’autore era entusiasta del progetto, ma con moderazione. Perché «rischiava di diventare una scimmiottatura. Non mi andava di farlo solo per poter mettere il segnalino e dire l’ho fatto anch’io non ha senso. Bisognava fare un gesto forte, qualcosa che dicesse ne valeva la pena. Allora mi è venuto in mente di farlo viaggiare e ho pensato a Venezia. Perché mi divertiva che Peter Parker si sentisse stanco di un posto dove tutti si mettevano le maschere e vuole andare in un posto dove nessuno le indossa. Così lo mandano a Venezia nel periodo del carnevale, dove tutti hanno le maschere». Venezia, piatta a frammentata, offriva un buon contrasto con la verticalità di New York e accentuava la sensazione di estraneità.

Se l’incipit fulmineo – eroe che partiva da una città piena di gente in maschera e finiva in un’altra città piena di gente in maschera – convinse tutti, più difficile fu immaginare il resto della vicenda. «All’inizio volevo usare un classico nemico dell’Uomo Ragno. Avevo già una mezza idea. Peter Parker finiva a Venezia per caso e ci trovava Kingpin.»

Il segreto del vetro, alla fine, mise Spider-Man contro un cattivo ex-novo, in uno scontro-balletto tra le calli veneziane. Doveva essere una trama semplice, perché «con questa prima storia era molto importante dimostrare a tutti che era possibile realizzare in Italia una bella avventura dell’Uomo Ragno. Insomma, un grande cuoco, prima di cucinare un piatto esclusivo, dovrà pur dimostrare di saper cucinare un qualcosa di (apparentemente) elementare come un filetto? Ed è proprio questo che dovevamo dimostrare anche noi».

Cavazzano espresse i propri dubbi sul disegnare Venezia: «Non mi dire che ci metti anche il Carnevale!» disse allo sceneggiatore, schernendo l’idea di un fumetto stereotipato. Cercando spunti alternativi, il disegnatore si fece suggerire dal vetraio Sandro Bastianello l’idea dei sicari del doge, autorizzati a difendere i segreti della fabbricazione del vetro di Murano con qualsiasi mezzo. Da lì, il collegamento alle isole di Murano e alla tematica del vetro, attorno a cui Faraci costruì il cattivo, il conte Alvise Gianus, alchimista del XVI secolo imprigionato in un bozzolo di vetro perché scoperto a realizzare artefatti con il sangue umano.

«È uno dei fumetti che leggo da sempre, e da cui ho più imparato. Imparato a raccontare i personaggi dall’interno. Con forza e con ironia. Ho iniziato a leggerlo a sette anni, e mentre scrivevo questa storia mi sono accorto che lo avevo sempre scritto» disse Faraci in un’intervista contenuta nell’edizione a colori dell’albo. «Il modo di raccontare il personaggio dall’interno, il soffermarsi sul rapporto con il suo vivere ordinario e i suoi doveri di eroe, il conoscere il personaggio a tutto tondo, anche nei lati che di solito nessun autore racconta, come la propria quotidianità… Sono tutte cose che ho sempre raccontato. C’era sempre stato un qualcosa di Peter Parker nei personaggi che avevo scritto.»

Tuttavia, lo scrittore non cercò nuove interpretazioni del personaggio: «Tutte le volte che ho preso in mano un personaggio, ho cercato di mostrarlo sotto una luce diversa, pur rispettandolo. A questo avevo abituato i miei lettori. Con questa prima storia italiana dell’Uomo Ragno, però, non è stato così, perché non ce n’erano i presupposti».

Preferì invece seguire la strada tracciata da J. Michael Straczynski, sceneggiatore di Amazing Spider-Man dal 2001 al 2007 e autore di una riscrittura della mitologia: il ragno che aveva morso Peter non era stato mutato dalle radiazioni, era un essere mistico che cercava di passare al ragazzo i poteri, rendendolo un totem. Esisteva una razza intera di esseri-ragno e altrettanti individui desiderosi di ucciderli. Per Straczynski, l’Uomo Ragno non era un evento miracoloso, figlio di coincidenze incredibile, ma il filo di una tela più grande.

Assimilando la lezione di Straczynski, Faraci costruì una storia che ribadiva la predestinazione dell’eroe: in qualunque posto del mondo dove sarebbe andato questo destino lo seguiva. «Il segreto del vetro è una storia sul perdersi in terra straniera, e sul ritrovarsi. Peter si rende conto che neppure lì, lontanissimo dalla propria città può sfuggire al suo ruolo di eroe.»

Dall’America, anche per il fatto che non furono utilizzati personaggi del catalogo Marvel, non arrivarono particolari indicazioni. L’unica nota, pervenuta via mail dall’editor-in-chief Joe Quesada, riguardava un dettaglio del finale: «Quesada ci teneva molto all’etica dell’Uomo Ragno. Che non può mai uccidere volontariamente nessuno, neppure il più cattivo dei cattivi. E neppure lasciare che qualcuno muoia. Era importante che cercasse di salvare il conte, in modo credibile. Nel primo soggetto della storia provocava la morte del conte in maniera un po’ troppo diretta».

Il team sapeva che Venezia sarebbe stata protagonista tanto quando Spider-Man. Cavazzano cercò la resa meno turistica possibile e guardò alla vita veneziana e muranese del Seicento. Così il disegnatore portò a Faraci diversi libri su Venezia e lui, con davanti la mappa della città, percorse mentalmente il giro che avrebbero dovuto fare i personaggi, passando per luoghi poco noti come il cimitero di San Michele. «È questo profondo intreccio fra passato e presente che rende più affascinante l’incontro di Peter Parker con Venezia, che gli fa respirare un’aria densa di storia e di memoria.»

La storia fu colorata da Nardo Conforti, giovane conosciuto da Cavazzano l’anno precedente e qui al suo primo lavoro professionale. Conforti, che ora lavora nell’industria videoludica in Giappone, seguì le direttive cromatiche di Cavazzano tentando di preservare la sua idea di Venezia, Murano e Peter Parker. Per rendere le trasparenze dei pastelli veneziani, si ispirò ai colori dello studio Liquid! e allo stile di illustratori come Akira Yasuda ed Eri Nakamura, nonché al modo di lavorare con la luce di Norman Rockwell e Frank Frazetta.

Con tempistiche molto strette, Conforti ebbe grande margine di indipendenza sulle luci e i riflessi fra vetri e scenografie. «C’era il macigno delle responsabilità di non deludere Cavazzano» dice Conforti a Fumettologica, «quindi concentrazione massima sulle sue direttive e un’infinita pazienza sui vari trial and error dovuti alla mia inesperienza. Guardando indietro è stata una delle cose più formanti della mia carriera».

Eredità lagunare
Presentato in anteprima a Lucca Comics nell’autunno 2003, la storia ebbe un paio di riedizioni – una a colori nel 2004, due ristampe nel 2007 e 2009 – e due traduzioni, per Francia e Regno Unito.

Matteo Losso su Amazing Comics lodò il ritmo compositivo di Cavazzano e «l’approccio con il lato umoristico e divertente di Spidey, che si affianca a dialoghi convincenti ed a scelte nel complesso sempre azzeccate». E anche dalla Francia arrivarono buone recensioni. Ironicamente, negli Stati Uniti i lettori non ebbero modo di conoscere la storia, che è stata stampata in inglese soltanto nel Regno Unito, all’interno del volume Marvel Europe (con il titolo Spider-Man in Venice: The Secret of the Glass), rendendo la fruizione dell’albo possibile soltanto ai fan più affezionati del personaggio.

«È stata un’avventura anche per me, non soltanto per l’Uomo Ragno: quando sono arrivato all’ultima vignetta ero stremato», raccontava Giorgio Cavazzano al Corriere della Sera. «Sarebbe divertente lavorare ancora con la Marvel: il grafico era davvero in gamba e le nostre idee sono state rispettate.» I due abbozzarono un’idea per il Punitore – Cavazzano si spinse anche ad alcuni studi del personaggio – ma il team non si riunì più, anche se la Marvel commissionò ad autori esteri altre storie (Wolverine: Saudade, Young Doctor Strange). Soltanto Faraci ripeté l’esperienza americana con Doppia morte, una storia di Devil e Capitan America disegnata da Claudio Villa che lo sceneggiatore ricorda come un lavoro più complesso: «Lì abbiamo dovuto davvero vendere il ghiaccio agli eschimesi, ho dovuto scrivere diversi soggetti, c’erano molti paletti e complicazioni».

Doppia morte vide la luce negli Stati Uniti, al contrario de Il segreto del vetro. Faraci ipotizza che quest’ultima fosse un’operazione «che andava spiegata, non come Doppia morte che è abbastanza canonica per gli standard americani e si inserisce nel flusso. Il segreto del vetro era una prova d’autore, una cosa che andava presa per quello che era, che si poteva permettere anche graficamente qualche trasgressione delle regole. Aveva uno stile molto nostro, avevamo inserito Spider-Man nel nostro stile invece del contrario e c’era una leggerezza che forse all’epoca non funzionava molto per un lettore statunitense».

Parlando a Lo Spazio Bianco nel 2003, Faraci espresse la voglia di riprovarci, pur lamentando la ristrettezza di spazio concessagli. Ora, a distanza di anni, il suo giudizio è diverso: «Non è più in linea con quello che voglio fare in questo momento. Ero molto immerso nella lettura della Marvel, ora sono più distaccato. Sarebbe una cosa insincera in questo momento» ci spiega. Il segreto del vetro resta dunque un segno isolato del passaggio italiano nella grande mitologia di un personaggio che si è dimostrato aperto a interpretazioni meno convenzionali del solito.

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