Che Tom King non sia uno scrittore qualunque ormai se ne sono accorti tutti. In cinque anni è passato da essere l’ex-agente della CIA prestato ai comics a quello a cui affidare il mega evento annuale di casa DC Comics, Eroi in crisi. Il tutto nel giro di una manciata di titoli.
Ma per fortuna King è King e anche questa volta ci ha messo del suo. A poche settimane dalla sua conclusione vale la pena dire che Eroi in crisi non è un capolavoro irrinunciabile, ma difficilmente riuscirete a trovare un’iniziativa editoriale di questo tipo migliore da quella messa in piedi dallo sceneggiatore di Washington.
Non viviamo in tempi facili. Gli psicofarmaci vanno alla grandissima, i giovani sono sempre più ansiosi e depressi, tutto sembra che stia andando in malora per via dei meccanismi che regolano il nostro mondo in maniera apparentemente ineluttabile. Eppure ci viene continuamente fatto notare come non facciamo abbastanza per migliorare la nostra vita. Scrivo questo articolo dall’operosa ma tutto sommato sonnolenta provincia del nord Italia, e spesso questi allarmismi mi paiono esagerati. Poi basta farsi un giro in qualche grande metropoli per rendersi conto di come le cose siano davvero a un passo dall’implosione.
Se pensate di vivere sotto pressione basta che vi facciate un giro a Londra – tanto per fare un esempio vicino a casa nostra ed evitare di tirare in ballo la solita San Francisco – per capire come le cose possano essere decisamente più estreme rispetto a come siamo abituati. Mentre lo skyline della città cambia in continuazione – per fare posto a nuovi istituti bancari, a nuove assicurazioni o a qualsiasi altra attività di pura finanza votata alla crescita sintetica – le metropolitane sono tappezzate di pubblicità di corsi di formazione perpetui e agenzie di collocamento per il miglioramento della propria posizione. Basta voler lavorare sempre di più, perché se falliamo sarà tutta colpa nostra. Eppure, anche se la strada sembra chiarissima, Londra pare davvero perduta.
Ma veniamo ai fumetti. Moore ha scritto Watchmen nel 1986 – in anni sospesi tra le rivolte inglesi di qualche anno prima, il disastro di Chernobyl, la Guerra fredda, il continuo attacco alla società civile da parte di Margaret Thatcher, il lunedì nero del 1987 – un periodo che forse ci ricordiamo più luminoso di quello che era stato in realtà, ma che comunque era carico di un dinamismo e di un’energia che avrebbero trovato il loro culmine con il primo lustro degli anni Novanta. Erano gli anni di Reagan e del Segreto del mio successo, della scalata giapponese al tetto del mondo, degli yuppie come signori dell’universo e della Milano da bere. In un momento storico che sembrava premiare chiunque si atteggiasse da superuomo, Moore scriveva di superuomini in crisi.
Cosa avrebbe fatto se si fosse trovato a scriverne nel 2019? Se l’ansia e la pressione sono la costante di un numero preoccupante di persone comuni, pensate cosa si deve provare ad avere sulle proprie spalle il destino del mondo. Tutti i maledetti mesi, per decadi. Nascere con – o acquisire – un superpotere non fa per forza di noi degli eroi. Quello non dipende dal fatto che tra le nostre abilità ci sia la capacità di volare o una pelle impenetrabile. Tom King parte da questo presupposto e sfrutta una struttura tipicamente da whodunit per analizzare la fragilità di esseri che da sempre vediamo come semidivini, ma che in realtà sono molto più vicini a noi di quanto pensiamo. Pensate agli Ultimates di Millar e tracciatene l’esatto opposto: là blocchi di granito inscalfibili, sempre pronti alla battuta sprezzante e alla spacconata coreografica; qui instabili cristalli stimolati da vibrazioni sempre più pericolose.
Ed è proprio per questo che nasce il Rifugio (“Sanctuary”, in originale), una sorta di struttura di supporto psicologico per eroi (e criminali) in momenti difficili. Si presenta come una vecchia fattoria dispersa in un paesaggio rurale da entroterra statunitense, ma in realtà nasconde un sofisticato sistema di analisi dove poter superare crisi da stress post-traumatico. Il supporto è completamente robotizzato e ogni traccia di interazione viene rimossa seduta stante, in modo da garantire un totale anonimato. Fortemente voluta da Superman, Batman e Wonder Woman si rivela fin da subito un supporto indispensabile per la comunità supereroistica.
Durante tutti i nove numeri della maxi-serie incontriamo un gran numero di pagine in cui, in una griglia di nove vignette, abbiamo accesso alle registrazioni e all’intimità di persone spesso vittime dei loro talenti. Se solitamente in questo generi di eventi editoriali siamo abituati a sfogliare tavole e tavole di scazzottate tra ragazzotti in costume, qui possiamo vedere cosa si nasconde davvero dietro quelle maschere. Fragilità, stanchezza, confusione, muri che non vogliono essere abbattuti in nessuna maniera.
Il fatto che la triade al centro di tutto l’universo DC abbia capito che ci fosse bisogno di una simile iniziativa fa capire come l’atmosfera tra maschere e mantelli non sia proprio da Golden Age. E infatti ecco scatenarsi un evento drammatico: il Rifugio diventa sede di un massacro dove perdono la vita diversi eroi, tra cui Wally West. A questo punto Eroi in crisi si divide in due: da una parte un giallo a incastro che si rivelerà più cervellotico di quello che si potesse pensare, dall’altra una toccante analisi della figura del supereroe.
Il primo numero della serie si apre in un dinner – di quelli che noi europei pensiamo così tipicizzati da essere parodie dell’autentica provincia statunitense – e passa quasi subito a un campo lunghissimo su terreni coltivati a perdita d’occhio. «This is perfect. Smells like America» ci confida una Harley Quinn nella sua tenuta cinematografica (particolare non da poco, visto che nei numeri successivi tornerà al suo costume classico).
Il disegnatore Clay Mann viene chiamato a vestire il ruolo di novello Norman Rockwell del fumetto americano ed eccolo tratteggiare volti e corpi di una bellezza pura e rassicurante, mentre le sue vedute sono sempre ampie e ricche di una natura dolce e benevolente. Come le vacanze estive in qualche campeggio lontano o le settimane in cui molti bambini venivano spediti dai nonni, lontani dal caos della vita moderna.
Il culmine lo si raggiunge con la copertina del numero otto, a opera di Mitch Gerads, e con le aperture di campo della nona uscita. A partire da quel titolo scritto con le nuvole in un cielo al crepuscolo. Siamo sempre a un passo dal kitsch. Anzi spesso il limite viene travalicato, ma è come se si sentisse il bisogno di un ritorno a casa. Anche se si tratta di una casa che non è mai esistita. La nostalgia di un passato che ci ricordiamo come troppo semplice per essere vero.
E infatti se Mann evita con cura ogni sperimentazione, ogni spigolo o scelta troppo difficile ecco che King avanza con una scrittura frammentata, inusitatamente complessa per un’iniziativa editoriale che dovrebbe in prima battuta attirare nuovi lettori. Non siamo di certo in territori d’avanguardia, ma il tentativo è apprezzabile e la tensione palpabile.
I continui riferimenti a un’America rurale, materna e accogliente cozzano con i drammi della vicenda. Se la prima non è detto che fosse esattamente come l’hanno raccontata, i secondi sono reali e terribili. E inevitabili, come si scoprirà prima della fine. Quello che emerge è ancora una volta l’umanità di King, l’uomo che ha tentato di rendere felice Batman. In Eroi in crisi l’autore racconta di personaggi imperfetti, ormai a crepe, quasi irriconoscibili rispetto alle loro origini. Quello che vogliono tutti è un attimo di respiro, di vita tranquilla e semplice. Non è detto che sia impossibile, ma il prezzo da pagare sarà comunque altissimo.
Per raccontare questo scollamento tra mitologia classica e riflessioni sul presente lo scrittore sceglie la via del racconto di genere, evitando il solito catastrofismo da kolossal e preferendogli una narrazione più intima. Anche se le vittime sono supereroi alla fine parliamo di un giallo investigativo basato su un pugno di personaggi e ancora meno location. La scelta è azzeccatissima, funzionale e per nulla scontata, ma il gioco non funziona come dovrebbe.
Se la parte di analisi interiore raggiunge picchi davvero intensi, la narrazione non ingrana mai davvero e non ci sono momenti davvero memorabili. Quello di cui ci si ricorda di più sono le pagine di autoanalisi dei protagonisti, a testimonianza della bontà del lavoro fatto sulla loro psicologia in sede di sceneggiatura. Anche il consueto colpo di scena che avrebbe dovuto sconvolgere chiunque ha una doppia valenza: da una parte è la solita trovata per attirare l’attenzione, dall’altra è la conclusione più logica di tutta la serie.
I fan più accaniti si sono dimostrati ottusi, incapaci di capire dove volesse andare a parare l’autore e assolutamente non in grado di decodificare quello che stavano leggendo. Parlare di eroi/persone in crisi senza pensare di andare a coinvolgere le possibilità più tremende significa non avere la minima idea degli argomenti di cui si sta parlando.
King è un grande scrittore, ma non ancora così consapevole per riuscire a scrivere una storia solida e di grande trasporto scendendo in profondità nella psiche di un gruppo di personaggi così cospicuo. Chi cercherà solo la prima non riuscirà a capirne che una minima parte della sua portata e della sua volontà di raccontare il presente. Chi è curioso di approfondire il secondo aspetto si troverà spesso ad annoiarsi, intrappolato in un giallo cervellotico ma tutt’altro che trascinante.
Quello che rimane sono gli amplissimi panorami di Mann e i personaggi che li animano, l’erba mossa dal vento mentre eroi in maschera che passano il tempo a salvarci per una volta devono pensare a loro stessi e a ricomporre i pezzi che li compongono. Un’immagine perfetta per raccontarci i supereroi nel 2019.
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