Il problema principale del remake in 3D de I Cavalieri dello Zodiaco per Netflix è fondamentalmente uno: anziché aggiungere qualcosa all’opera originale, questa nuova serie sottrae tutto ciò che poteva sottrarre, lasciando in piedi uno scheletro privo di vitalità.
Con il senno di poi, la questione del cambiamento di sesso di Andromeda risulta davvero centrale per analizzare la serie, ma non nel modo in cui ce lo saremmo immaginati nei mesi scorsi, quando le polemiche erano basate da una parte su una sorta di nerdismo per cui l’opera originale era intoccabile e dall’altra su ragionamenti più mirati sulle qualità narrative del personaggio, come faceva notare anche Matteo Maculotti sulle nostre pagine.
Dopo aver visto i primi sei episodi della serie (e in attesa dei prossimi sei già realizzati), i termini della questione devono essere infatti spostati altrove. Tutti i personaggi sono marionette prive di personalità, buttate in scena a recitare un copione che a tratti non sembra nemmeno loro, tanto che nessuno riesce a mantenere un proprio carattere per più di due battute, e i cambiamenti di idee e princìpi possono avvenire con un semplice schiocco di dita.
Il cambiamento di sesso non influisce in alcun modo, né in positivo né in negativo. Andromeda avrebbe potuto anche essere un alieno, un cavallo o un tavolo, ma le sue battute e le sue caratteristiche comportamentali sarebbero rimaste probabilmente le stesse, basilari e incostanti.
Gli episodi trasmessi finora sono privi dei punti di forza sia del manga di Masami Kurumada che della prima serie animata, ovvero la grande epicità nella narrazione degli eventi – anche quelli in apparenza più insignificanti – e la forte drammaticità che pervade tutta l’opera, caratterizzata da personaggi divisi tra lo spirito di sacrificio per un ideale di giustizia supremo e problematiche più personali.
La separazione forzata di Seiya dalla sorella Patricia durante l’infanzia, l’amore quasi edipico di Cristal nei confronti della sua defunta madre, il radicale cambiamento di personalità di Ikki (diventato Nero nel doppiaggio italiano) durante gli anni dell’addestramento… qui diventa tutto annacquato e privo di spessore, un semplice fatto accaduto ma mai metabolizzato o interiorizzato dai personaggi.
Questo problema viene accentuato dalla mancanza di ritmo e di tempistiche adeguate nelle sceneggiature. La serie parte piano, con un primo episodio che presenta Seiya – che entra in scena sullo skateboard, alla Bart Simpson – e tutti gli elementi principali della serie, per poi accelerare nei successivi quattro episodi, nei quali è condensata tutta la trama, e rallentare di nuovo nell’ultimo episodio, quasi interamente dedicato al cavaliere di Phoenix.
Tutto è dunque molto compresso, a partire dagli scontri tra Cavalieri, che vengono riassunti in pochissimi secondi, eliminando il puro piacere di guardare una serie che dovrebbe essere basata sulla spettacolarità delle battaglie. All’opposto, un bel po’ di tempo è dedicato a siparietti umoristici come quello di Seiya che litiga con un tombino senziente.
Parlando dell’aspetto visivo, se il design delle armature è molto ben curato – e fortemente basato su quello di Shingo Araki per la serie originale –, le animazioni sono piatte e rigide. Negli scontri manca dinamismo, nelle scene più compassate si ha l’impressione di guardare una serie di pupazzi che si muovono a malapena.
Il target della serie è molto giovane: tutto è semplificato fino all’osso, i momenti più splatter dell’opera originale sono stati eliminati e la violenza è ridotta al minimo indispensabile. Anche le modifiche più grosse alla trama – a partire dalla presenza Vander Graad, ex collaboratore di Alman di Thule che vuole annientare i Cavalieri dello Zodiaco – servono solo per fornire agli eroi dei cattivi tout court da affrontare, lontani dagli antagonisti quasi sempre ambigui dell’opera di Kurumada.
Se però il pubblico ricercato dalla serie è infantile, perché allora puntare allo stesso tempo sull’aspetto nostalgico e affidare il doppiaggio italiano dei personaggi – curato da Luca Ghignone – ai doppiatori storici della serie? Ai fan della prima ora fa sicuramente piacere sentire Seiya parlare con la voce di Ivo De Palma o Sirio con quella di Marco Balzarotti, ma l’effetto di vedere dei ragazzini parlare con timbri di voce adulti è molto più straniante che nelle produzioni precedenti in animazione tradizionale.
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