Se nei vostri feed ci sono fumettòfili o fumettisti, è probabile che negli scorsi giorni vi siate imbattuti in messaggi di cordoglio, saluti malinconici o aneddoti nostalgici. Tutto questo affetto era rivolto alla chiusura della linea Vertigo, etichetta editoriale creata nel 1993 da DC Comics (grazie all’editor Karen Berger), con l’obiettivo di pubblicare fumetti “di genere” – ma che si distinguessero dal filone supereroi – scritti e disegnati da voci nuove. Vertigo raccolse così opere che nel catalogo della casa editrice sarebbero potute sembrare fuoriposto, come Sandman, Preacher, Transmetropolitan, The Invisibles, Y – L’ultimo uomo sulla Terra, Animal Man, Fables, Hellblazer e 100 Bullets.
Le origini
La storia dietro la creazione di Vertigo, raccontata in molti modi – tra i quali un interessante documentario podcast di Behind the Panel – è disarmante nella sua semplicità. Alla fine degli anni Ottanta, la editor Karen Berger iniziò a pescare nuovi talenti nel Regno Unito per rilanciare i personaggi minori della casa editrice, dopo che gli eroi-bandiera dell’azienda erano già stati ripensati da autori come Frank Miller e John Byrne. Berger, quindi, reclutò giovani sceneggiatori come Grant Morrison, Peter Milligan, Neil Gaiman, Jamie Delano e Garth Ennis. E centrò una prima infilata di titoli scoppiettanti, innovativi, persino trasgressivi.
Nacquero così Sandman, Animal Man, Doom Patrol, Shade l’Uomo Cangiante, tutti ‘restyling’ di personaggi realizzati da autori che avevano qualcosa di nuovo da dire e storie da raccontare che esulavano dai confini e dagli stilemi supereroistici. Visto il successo di questi titoli, l’azienda diede spazio e risorse a Berger per creare una intera, organica etichetta nella quale produrre “più titoli come quelli”. Scritto tra virgolette, perché la dirigenza non sapeva bene come definirli, ma voleva più fumetti con quell’appassionanteBerger-touch.
Vertigo nasceva da una mentalità che non rispondeva alle logiche classiche del fumetto generalista. Non c’erano supereroi, tanto per cominciare. Quando c’erano, non aderivano comunque agli standard a cui erano abituati i lettori ‘medi’. Berger non era mai stata una vera e propria appassionata di fumetti: le piacevano le storie horror, il fantasy e il mistero, si era laureata in Letteratura e Storia dell’arte. Aveva, insomma, altri riferimenti e modelli, altre ispirazioni e suggestioni.
Dotata di grande gusto, e incarnando quel tipo di pubblico che DC stava cercando, Berger intercettò lettori interessati sì alle storie di genere ma non necessariamente a dover seguire un albo mensile. Le serie Vertigo, un po’ per caso un po’ per scelta, erano fatte per essere raccolte in volumi, pensavano più alle librerie che alle fumetterie. E non si preoccupavano di risultare interessanti al pubblico dei “guerrieri del mercoledì”, cioè i fedelissimi, lo zoccolo duro di lettori che si presentava in fumetteria il giorno di uscita delle novità. Questi erano lettori con le idee chiare sui propri gusti, a cui non piacevano le scoperte e che non cercavano titoli che andassero fuori dalle consuetudini. Era la base di clienti sulla quale Marvel e DC impostavano le loro produzioni.
L’approccio di Berger era inusuale: all’epoca i supereroi erano una licenza per stampare soldi. Tutti, dai giornali ai collezionisti, non avevano occhi che per Batman e compagnia, ed era considerato un azzardo andare contro quel genere così radicato nei comics da esserne diventato un sinonimo agli occhi anche dei consumatori distratti. La “rivoluzione Vertigo” fu ancora più eccezionale perché nasceva in seno all’editore più vecchio sulla piazza, peraltro controllato da un media conglomerate multinazionale – due fattori che di solito non favoriscono l’innovazione – eppure promosse l’idea di un fumetto creator-owned dove gli autori fossero i proprietari dei diritti d’autore dei personaggi che creavano.
I titoli Vertigo si sono fatti nel tempo portavoci di minoranze (100 Bullets, Cairo, Scalped), stili di vita come il goth/dark (Sandman), diversità in generale (Enigma). Alcuni protagonisti avevano problemi di dipendenza da sostanze ben poco salubri e politicamente corrette (alcol, tabacco e venere, per farla breve). I personaggi, inoltre, erano diversi perché gli autori che li raccontavano provenivano da ambienti diversi, avevano interessi diversi e a quasi nessuno di loro importava scrivere o disegnare l’ennesima storia di Superman. Autori diversi che volevano fumetti diversi.
Erano fumetti per adulti, che toccavano questioni adulte, ma che parlavano a tutti i lettori. Si prendevano libertà nello stile di racconto e in quello di disegno, privi di un house style come i titoli supereroistici. Fumetti maturi per lettori maturi, lontani dalle secche della (post)adolescenza che andava per la maggiore nei comics. Vertigo impose come unica linea guida, l’assenza di una linea guida. Era un posto in cui sperimentare senza l’ansia di dover per forza centrare il bersaglio, perché la ricerca di nuove strade avrebbe comunque portato a qualcosa di migliore rispetto al punto di partenza.
Ora, dopo 26 anni, Vertigo non esiste più. A partire da gennaio 2020 tutti i fumetti DC Comics saranno infatti suddivisi in tre linee contraddistinte in base all’età del pubblico di riferimento: DC Kids (8-12), DC (13+) e DC Black Label (17+). Le cose cambiano.
Il pericolo di questa riorganizzazione, però, è che gli autori e gli editor inizino a ragionare al contrario, operando un’azione di ingegneria inversa sul proprio lavoro, pensando cioè non al fumetto in sé – che poi andrà a finire nella sezione più opportuna – ma all’appropriatezza dei contenuti. Non preoccupandosi in primis di trovare una storia, ma di generare idee adatte a riempire uno slot.
La fine di un’era
Vertigo, negli ultimi anni, aveva in realtà fatto la fine de I Simpson: ancora in vita, ma da tempo non più rilevante. Nonostante i messaggi di addio, Vertigo non muore certo con l’annuncio dato da DC Comics. Quello dell’editore è semmai il funerale per un corpo in stadio di decomposizione avanzata, un morto che cammina da tempo e che si era tentato di rianimare varie volte nel recente passato.
Vertigo è stata normalizzata tanto dal passare del tempo, che ha scalfito l’originalità del progetto, quanto dalla volontà di DC Comics di far diventare sistema qualcosa che era nato per essere un controcanto alla prima voce: nel 2011 l’evento The New 52 assorbì nel DC Universe alcuni dei personaggi Vertigo – che fino ad allora viaggiavano su binari separati – come Swamp Thing, John Constantine e Shade.
La stessa Karen Berger, passata alla casa editrice Dark Horse, ha varato Berger Books, un tentativo di emulare la propria creatura che sembra più la mossa di una creativa che cerca di rimanere rilevante riproponendo un prodotto di trent’anni fa. Non che i fumetti prodotti siano brutti, è proprio l’idea di rifare Vertigo con un altro nome a essere sbagliata, perché sono cambiati i contesti, gli autori, i gusti. Quel concetto – fare fumetti guardando a fonti estranee alle tradizioni fumettistiche – è ormai stata introiettata dall’industria e replicarla non può, per forza di cose, avere la stessa carica dirompente, la stessa freschezza.
Potremmo persino dire che qualsiasi fumetto, oggi, è in qualche misura un fumetto Vertigo (impossibile non pensare innanzitutto a Image Comics, che ha praticamente saccheggiato l’estetica e i modi Vertigo). Il dato è semplice: gran parte dei comics statunitensi – e non solo – oggi si pone in un rapporto di serena e totale estraneità di partenza con il lettore. I fumetti ‘medi’, oggi, non partono da una pre-conoscenza, dalla condivisione di un linguaggio o di un canone, e possono quindi rivolgersi a chi li legge per stupire, scioccare, assaltare e disattendere qualsiasi aspettativa, proprio perché non ha l’obbligo di rispettarne alcuna. Non uno stile, non un personaggio, ma un modo diverso di fare (e pensare ai) fumetti. Questo, forse, è il lascito più grande di Vertigo.
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