di Milo Manara*
All’inizio della mia carriera lavoravo per la ErreGi, poi diventata Ediperiodici, casa editrice che produceva quei fumetti sexy che adesso fanno tenerezza, ma che all’epoca avevano il pregio di offrire la possibilità a molti giovani disegnatori di cominciare la professione.
Silverio Pisu, di qualche anno più vecchio di me, collaborava con la Ediperiodici in veste di sceneggiatore. Era un uomo intelligente e colto, già attore, cantante e scrittore apprezzato. Essendo una persona molto versatile, si era ritrovato anche a scrivere fumetti. Per me era come un’oasi di amicizia e di complicità all’interno della casa editrice. Siamo subito andati d’accordo, e anche se in quel periodo non è quasi mai capitato di lavorare sugli stessi albi lui era, per me, una sorta di referente culturale.
Non vivevo a Milano, ma quando mi capitava di dovermi recare in città era spesso proprio Silverio a ospitarmi. Nello stesso palazzo, proprio sullo stesso pianerottolo di Silverio, viveva anche Alfredo Castelli, all’epoca una colonna del Corriere dei Ragazzi, rivista che io leggevo integralmente per cominciare a pormi degli obiettivi un po’ più ambiziosi che non fossero quelli modesti della Ediperiodici.
È stato poi di comune accordo con Silverio che abbiamo deciso di tentare un salto di qualità, inizialmente approdando proprio al Corriere dei Ragazzi e soprattutto progettando e realizzando finalmente insieme una storia più ambiziosa per alterlinus, all’epoca la rivista a fumetti di maggiore qualità intellettuale in Italia.
Nel frattempo mi ero trasferito a Milano e la nostra frequentazione era diventata più stretta. Così, sapendo che ero disposto a mettermi in gioco attraverso un tipo di fumetto meno convenzionale, Silverio aveva adattato il classico della letteratura cinese Racconto del viaggio in occidente, anche noto come Scimmiotto. La storia, che risale al sedicesimo secolo, trae ispirazione da leggende tramandate oralmente, ed è molto popolare in Cina, al punto da venire citata spesso anche da Mao in persona nei suoi scritti e nei suoi discorsi.
Silverio trasformò questa antica saga in una parabola sul potere, cercando di rendere conto in chiave allegorica dei mutamenti politici degli anni Settanta. Mentre su alterlinus venivano pubblicate le dieci parti dello Scimmiotto, sul Corriere dei Ragazzi si concludevano le avventure di Tom Boy, che Silverio aveva scritto per Nadir Quinto.
Io, nel periodo in cui sono stato al Corriere dei Ragazzi, ho collaborato spesso con Mino Milani, l’autore più prolifico della rivista, ma continuavo a leggere tutto ciò che il settimanale pubblicava. Ho sempre amato il western, soprattutto quello Bonelli. I protagonisti, che Rino Albertarelli aveva scritto e disegnato negli stessi anni, era forse il mio preferito, per il taglio realistico e la volontà di raccontare senza romanzarle le vere storie dei protagonisti del West. Era naturale, quindi, che leggessi con particolare interesse anche i western del Corriere dei Ragazzi, molti dei quali sceneggiati da Andrea Mantelli, che è stato l’autore della mia prima storia per il periodico della Rizzoli.
Tom Boy era stata concepita da Silverio, che era un narratore con i fiocchi, come un’unica e appassionante lunga saga a puntate, in controtendenza con la natura più episodica delle serie del tempo. Amavo Tom Boy non solo perché era disegnato da un artista che purtroppo non ho mai conosciuto personalmente e per cui ho sempre avuto il massimo rispetto, ma soprattutto perché era un personaggio realmente rivoluzionario: l’eroe nero che combatteva gli schiavisti e si ribellava al razzismo, scontrandosi con i bianchi oppressori.
Attraverso un genere allora molto popolare come il western, Silverio ribadiva la sua convinzione che il fumetto potesse e dovesse trasmettere ideali politici e sociali. E lo faceva non attraverso le forme sperimentali dello Scimmiotto o del successivo Alessio, il borghese rivoluzionario, la seconda e più radicale opera realizzata insieme, bensì attraverso il respiro classico del racconto di genere. Silverio non credeva che il fumetto dovesse essere semplice evasione: attraverso le sue opere sentiva di avere il dovere di veicolare sempre qualcosa di importante.
Negli anni in cui ho vissuto a Milano, quindi, Silverio è stata una presenza davvero importante nella mia vita. La nostra amicizia era davvero intensa: condividevamo il lavoro e le idee, senza considerare che mi ha persino contagiato con la passione per la barca!
Purtroppo la collaborazione con Silverio si è interrotta dopo Alessio, il borghese rivoluzionario. Lui, sempre alla ricerca di nuove strade, ha collaborato ancora con la Casa Editrice Universo per poi abbandonare il mondo del fumetto nei primi anni Ottanta, mentre io ho finito per andarmene da Milano. Così ci siamo persi un po’ di vista, fino alla bruttissima notizia della sua prematura scomparsa.
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*Questo articolo è originariamente apparso nel volume Tomboy (Allagalla) e qui ripubblicato per concessione dell’editore.
Maurilio Manara, detto Milo, è nato a Luson (Bolzano) nel 1945. È tra i più famosi e conosciuti fumettisti e illustratori italiani. Tra le sue opere ricordiamo il ciclo di storie con protagonista Giuseppe Bergman, L’uomo di carta, Il gioco e Il profumo dell’invisibile. In carriera, inoltre, ha collaborato con Hugo Pratt (Tutto ricominciò con un’estate indiana, El Gaucho) e Federico Fellini (Viaggio a Tulum). Il suo ultimo lavoro è Caravaggio Vol. 2. La grazia, fumetto sulla vita del pittore Michelangelo Merisi.