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Sunday Page: Makkox su Asterix e Obelix

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Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Makkox. Marco Dambrosio, in arte Makkox, è un fumettista che ha mosso i suoi primi passi sul web: nel 2007 apre il blog Canemucca, che lo porta a collaborare con le testate Liberazione, Internazionale, Il Post, L’Espresso, Il Foglio, Blue e Animals, e darà il nome alla rivista Il Canemucco. Autore delle raccolte di vignette Post Coitum – Satire di un Tardo Impero, Se muori siamo pari, Ladolescenza e The Full Monti, nel 2013 inizia a collaborare con la trasmissione Gazebo, diventandone uno dei principali animatori. Dal 2017, assieme a Diego Bianchi, è autore del programma televisivo Propaganda Live, in onda su La7.

Mi piacciono più i film dei fumetti. Sono certo di aver visto più film che fumetti. Certo, mi piace il disegno, e disegnare per esprimermi, non ho mai avuto il desiderio di usare una cinepresa. Anche col telefono, scatto pochissime foto, nessun video, ma faccio molti disegni e ultimamente videocapture di disegni mentre li disegno (ho uno di quegli smartphone col pennino e tanto software da cazzeggio narciso). Per questi motivi prediligo i fumetti con un taglio cinematografico e vice versa.

“E viceversa”? Esiste “viceversa”? Anche. Tipo: per me Wes Anderson in Grand Budapest Hotel e Le avventure acquatiche di Steve Zissou ha una mano fumettistica. Poi boh, eh, parlo da amatore autodidatta, vai a sapere. Ma sto divagando.

Una bella scena, in un fumetto, per me, è una scena che funzionerebbe in un film, o in cui colgo l’influenza del cinema. Anzi: come avessi l’impressione che fosse la trasposizione della scena di un film che non ho mai visto.

Tra tutti i generi di cinema prediligo la commedia. Ognuno ha i propri fondamentali di genere. Della commedia, di quella che amo, i miei sono Stanlio e Ollio. Mi piacciono perché hanno inventato un modo altissimo di fare slapstick. Lo slapstick è la base della comicità, si sa, lo fa anche una scimmia: lascia cadere una noce di cocco sulla testa di un’altra scimmia e poi ride: slapstick. A volte ride pure la scimmia che ha ricevuto il cocco in testa, dipende da quanto era grosso il cocco. Sì, le scimmie ridono, cercate su Google. Lo fa anche un bimbo di un anno: ti dà il cucchiaio della pappa in testa e poi ride. Ride di slapstick da scimmia, nessuno glielo ha insegnato, ce l’ha dentro, è ancestrale. Tutti gli animali con un cervello sufficientemente complesso ridono, tranne mio cognato. No vabbè era per ridere. Comunque è vero (gli animali che ridono, non mio cognato) cercate su Google, di nuovo.

Se conoscete qualcuno che non ride mai, sappiate che sta al di sotto di un neonato di scimmia. Stategli alla larga. La gente senza senso dell’humour e dell’autoironia è veleno. Plutonio. Gli stai vicino e senza un perché visibile perdi i denti e muori. Poi al funerale, dietro la bara coi parenti c’è pure tuo cognato che commenta: boh, vai a capì cosa l’ha ucciso, tutta la settimana che siamo stai assieme in campeggio in tenda rideva e rideva, poi una mattina l’ho trovato così.

Come mai proprio questa sequenza, allora?

Dicevo, lo slapstick è la base del comico, c’è poco da elaborare: quello è. Ma Stanlio e Ollio fanno il miracolo tipo ominide dopo che ha toccato il monolite di Kubrick. Cambiano lo slapstick, lo evolvono: lo fanno lento. 

Le zuffe di Stanlio e Ollio con uno sconosciuto sono mute, fatte di azioni fisiche, sono puro slapstick primitivo, ma allo stesso tempo non lo sono, perché le fanno progredire in modo innaturale per una vera zuffa. Uno gli smonta un bottone della giacca a Ollio, lui invece di dargli subito una pizza in bocca, resta lì a guardare il bottone mancante, a studiare il danno, poi guarda Stanlio per un po’, Stanlio fa quella sua alzata di spalle tipica, Ollio si spinge la bombetta in avanti dalla nuca, poi delicatamente con due dita prende un filo che sporge dalla spalla della giacca del suo avversario e inizia a tirarlo finché la manica non è scucita e gliela tira via dal braccio. Lo sconosciuto si guarda un po’ il braccio privo di manica, poi guarda Ollio… E così via, una mossa ciascuno, per un quarto d’ora.

Insomma, questo modo qui di trasformare una rissa in una partita a scacchi, un duello nobilissimo a mosse alternate, di godersi con calma una cosa primitiva come una zuffa, per me è il cuore del mais.

Io dico “il cuore del mais” scimmiottando una vecchia pubblicità dell’olio di mais che spiegava come l’olio di mais, questa azienda che lo produceva, non lo faceva mica con tutto il chicco del mais, nooo, solo col centro del chicco, la parte migliore: il cuore del mais. Ecco, e io immaginavo gli operai di questa azienda seduti davanti a delle piccole mole abrasive, tipo tagliatori di diamanti, che limavano via dal chicco “grezzo” tutto il mais in eccesso fino a lasciare solo il cuore del mais, e ogni tanto uno di questi tagliatori di mais si toglieva la lente monoculare e stringendo tra due dita il minuscolo cuore di mais lo alzava al cielo urlava: questo è pronto, si può spremere!

Nel mio lessico è rimasto “il cuore del mais” per significare: il meglio meglio meglio in un modo assurdo! (Questa era facile. Il film, dico. Vabbè).

Fumetto adesso. Fumetti divertenti ce ne sono. Le strip. Mi sono abbuffato di strip. Ma tutte, eh. Dinne una? Pure quella. Pure Catfish di Bollen e Peterman. Per dire. Le strip perlopiù, in modi diversi, fanno ridere. È la loro missione: commuovere a risata. Diverse sfumature di risata e sorriso, ma quello è. Perciò, dichiarato che il mio genere è la commedia, se oggi dovessi scegliere una tavola domenicale, la mia preferita, da commentate in questa rubrica, scegliere la sunday page di una strip sarebbe la cosa più logica. Invece no: alle strip manca il “cinema” (Wes Anderson escluso, ma quello scordiamocelo ora).

Fumetti che non siano strip, che mi abbiano fatto veramente ridere, e che abbiano un paio di tavole in cui io abbia colto qualcosa di cinematografico nella struttura, non tanto nelle inquadrature, sono pochissimi. E sono quasi tutti albi di Asterix.

Come mai?

Difficile da credere, perché Asterix è un fumetto francese. Non mi hanno mai fatto ridere i film francesi. Mai. Ho visto anche quelli a cui state pensando voi adesso. Sì sì, non sono uno sprovveduto, anche quello slapstick vecchissimo e poetico lì. 

No. Ridere mai. E non sono un tipo plutonio io eh. Io rido a cascare in terra quando guardo i film commedia che fanno ridere, cioè quelli non francesi. Per dire: odio vedere un bel film non americano, commedia, thriller, o altro genere, che magari ho gustato in lingua originale coi sottotitoli, preso e rifatto dagli “americani”. Odio i remake dei bei film. Non capisco il senso di fare una cosa così a un bel film. Dite: non è così grave.

Ragazzi, non so se ricordate o sapete: George Clooney ha fatto il remake de I soliti ignoti di Monicelli. Non so se mi spiego l’oltraggio. Da andargli coi vigili nella sua villa sul Lago di Como e dirgli «Signor Clooney, lei adesso prende le sue cose e sbaracca», «Ma…», «Niente “ma”, prenda dei calzini, si porti quella cazzo di macchina a cialde per il caffè e se ne vada a fanculo fuori dall’Italia», «Ma…», «ORA!». Allora George Clooney si avvicina e tira via un bottone dalla giacca del vigile. Il vigile non reagisce, si guarda lo sfilaccio sulla giacca nel punto dove prima c’era il bottone, studia il danno, poi delicatamente con due dita afferra un filo che spunta dalla manica della giacca di George Clooney…

E via così per un quarto d’ora. Ma sto divagando. Di nuovo. Io vedo il comico in ogni cosa. L’olio di mais, una recensione su Fumettologica, ovunque. Tranne quando guardo una commedia francese, allora prego: speriamo che gli americani la rifacciano, così che faccia ridere stavolta, perché l’idea è buona, ma loro, i francesi, l’hanno sprecata accazzo in pernacchiette e faccette. Tre scapoli e un bebè è meglio dell’originale Tre uomini e una culla; Giù al Nord? È meglio quella cacata di remake di Benvenuti al sud che abbiamo fatto noi italiani, per dire, e ho citato commedie di botteghino in Francia.

E quindi mi sono sempre chiesto: Asterix è sicuro che l’abbia scritto un francese? No, perché fa ridere ad alta voce. Sempre, pure quando lo rileggi, come Stanlio e Ollio.

Ok, ci siamo: la mia scena preferita di Asterix, la mia sunday page, è lunga due tavole. Cioè: inizia mezza tavola in basso in una pagina, prosegue per tutta la pagina successiva, finisce nella mezza tavola seguente. In tutto 1/2 + 1 + 1/2 fa 2 tavole, appunto.

Come li individui i due limiti così precisi di quella scena?

Semplice: la “mia” scena inizia e finisce con l’inquadratura di quattro vecchietti corsi (abitanti della Corsica), vestiti di nero e con bastone da vecchiaia, seduti su un tronco tipo panchina, all’ingresso del proprio villaggio sperduto nei boschi della Corsica. Infatti, l’avventura in cui appare questa scena, è: Asterix in Corsica. Il più bello di tutti.

È stato il tuo primo Asterix? Ti ricordi come l’hai scoperto?

No, il primo è Asterix e l’indovino. Anche lì meravigliosa la gag del centurione che testa l’indovino con l’estrazione dei dadi. Quasi da (tele)film pure quella, ricorda una roba di Jerry Seinfeld. La serie di albi l’ho scoperta per caso a casa di una zia che aveva appunto Asterix e l’indovino. Ne divenni vorace. Oggi credo di avere tutti quelli di Goscinny e Uderzo.

Cosa ti piace di queste pagine in particolare?

Allora, la scena inizia coi quattro vecchi e finisce coi quattro vecchi, identica inquadratura, e già questo è cinema. In mezzo c’è l’azione, la zuffa statica di Stanlio e Ollio. O meglio è una evoluzione di quella zuffa. È ancora meglio: la zuffa non c’è, aleggia. Quella cosa che fa ridere (come in Stanlio e Ollio) per cui guardi e pensi «Oddio, ora je mena», e invece non gli mena. È un confronto statico su cui incombe lo scoppio della violenza, ma la violenza non arriva mai. Ci sono solo microazioni, voci che si spengono in gola, pomi d’adamo che fanno su e giù con un “glop!”, anche se non c’è il “glop!”. Senti lo scorrere del tempo, le pause, la sospensione. Insomma: Cinema.

Dice, Marco, non ci abbiamo capito un cazzo. Già. Io dovrei descrivere minuziosamente cosa accade in quelle due tavole, e perché ci vedo quello slapstick lento di cui ho parlato all’inizio, e quanto cazzo sia bravo Uderzo a disegnare e Goscinny a scrivere certe battute sui fichi molli e la castagna che cade dallo sgabello, battute che ancora oggi uso nella cerchia degli amici, o perché ogni tanto chiami la mia compagna “Cipollata”, eccetera.

Ma, porca della miseria ladra, l’invidia, e ormai la resa totale, che provo di fronte a quella scena perfetta che conosco al micron e che dentro ha tutto (che è il cuore del mais insomma) mi impediscono di spoilerarla.

Ecco, dovrei descriverla, ma non posso farlo. Leggetevela. E se non vi fa ridere, ditemelo, vi starò alla larga.

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