In collaborazione con Canicola Edizioni, pubblichiamo la postfazione di Vincenzo Filosa al volume La stanza silenziosa di Yoshiharu Tsuge. Il testo è il seguito della postfazione a Il giovane Yoshio, che abbiamo pubblicato qui.
La carriera di mangaka per Tsuge inizia nel 1954, pochi mesi dopo la sua visita alla celebre locanda Tokiwa, che tra gli anni Cinquanta e Sessanta ospita maestri del calibro di Osamu Tezuka, Fujio Fujiko e Shotaro Ishinomori.
È un ragazzo di appena diciassette anni quando su Tsukai Bukku (Libri emozionanti) appare Hannin wa dare da!! (“Chi è il colpevole?”), il suo primo Yonkoma manga a quattro strisce. Del 1955 è invece Aozora Ronin (“Il ronin del cielo blu”), un racconto breve di ambientazione storica in quattro pagine.
Dopo questi esordi, contro la volontà della madre, Tsuge decide di abbandonare il lavoro alla galvanotecnica e lo stipendio mensile di circa settemila yen. Nel frattempo stringe un fruttuoso sodalizio con l’editore Wakagi Shōbo che gli propone trentamila yen per realizzare il suo primo tankobon: Hakumen Yasha, il demone dal volto bianco. Shōbo non impone richieste particolari sullo stile o sui contenuti ma chiede un racconto di centoventotto pagine: un bel salto dalle storie brevi realizzate fino a quel momento.
Tsuge sceglie di puntare sul dramma storico ispirandosi allo shogunato di Tsunayoshi Tokugawa, il “regnante cane”, famoso per aver promulgato una serie di editti in favore del “miglior amico dell’uomo”. La ricostruzione storica è approssimativa e, per ammissione dello stesso Tsuge, non si fonda su ricerche specifiche. Il giovane esordiente cerca riferimenti nei film e nelle riviste specializzate, mentre attinge dalle opere di Mitsuteru Yokoyama alcuni spunti per la storia e studia Shinji Nagashima per impostare la composizione della tavola e la caratterizzazione grafica di alcuni personaggi.
Lo story manga di Tezuka è un’altra evidente influenza. Hakumen yasha, pur con tutti i suoi difetti, arriva sugli scaffali delle librerie a prestito nel maggio del 1955 segnando definitivamente l’ingresso di Tsuge nel mondo del manga. Namida no adauchi, il suo secondo tankobon e dramma storico ambientato in epoca Edo, esce ad appena un mese di distanza. Finalmente Tsuge può permettersi di trasferire la famiglia in una casa dignitosa a Tateishi e, frequentando la redazione di Wakagi Shōbo, ha l’opportunità di conoscere talenti del calibro di Masaharu Endo e il già citato Nagashima.
In questo periodo relativamente felice a Tsuge manca l’amore di una donna. Soffre di eritrofobia e cerca di superare la sua timidezza frequentando i quartieri a luci rosse del suo quartiere. Allo stesso tempo, regge il ritmo frenetico del mercato delle librerie a prestito e ne asseconda i capricci e le tendenze: prima della fine del 1955 realizza Ai no Shirabe (“In cerca dell’amore”), rivolto a un pubblico femminile, e Takeude Sanpei (“Sanpei da un braccio solo”), un tankobon incentrato sul judo.
Nel 1956 Tsuge compie il suo primo viaggio alle terme in compagnia del maestro Okada Akira e questo soggiorno sarà d’ispirazione per il racconto Il giovane Yoshio. Al ritorno si rimette al lavoro insieme al fratello Tadao per realizzare Yotsu no hanzai (“Quattro crimini”), un’opera che avrebbe rappresentato una novità rispetto ai precedenti lavori. Tsuge inizia infatti a concentrare le sue attenzioni verso le crime stories e il noir.
I racconti di Tsuge pubblicati su Bōken ō (“I re dell’avventura”) e Tsukai Bukku, risentono delle influenze di Tezuka ma le ambientazioni di stampo realistico e l’approfondimento psicologico dei protagonisti lasciano trasparire anche la lezione dei pionieri del gekiga che avevano nel frattempo messo a punto le linee guida del loro nuovo modo di intendere il manga.
Takao Saitō, Masahiko Matsumoto e Yoshihiro Tatsumi cavalcano l’ascesa del genere investigativo, vero e proprio fenomeno letterario dell’epoca, ispirandosi alla letteratura hard boiled di Mickey Spillane e al cinema noir americano e francese. Tsuge è particolarmente attratto dal loro lavoro, inizia a perdere interesse verso lo stile infantile e derivativo dei suoi colleghi di Tokyo. Il suo “gekiga” è permeato da un nichilismo inconsapevole: i personaggi delle storie brevi che inizia a realizzare a partire dal 1957 si trovano spesso in situazioni disperate da cui non riescono a emergere ma accettano con rassegnazione l’amaro fato: realtà e finzione sono in rotta di collisione proprio nel periodo che coincide con la fine dell’adolescenza del mangaka di Tateishi.
Tsuge decide di andare a vivere da solo e inizia a frequentare i colleghi Masaharu Endo e Shinji Nagashima. Nel frattempo legge Edogawa Rampo, Junichiro Tanizaki e successivamente scopre Osamu Dazai, uno dei massimi rappresentanti dello shishosetsu, o “romanzo dell’io”. Per Tsuge è una vera e propria rivelazione, la sua natura voyeuristica si sposa alla perfezione con questo genere letterario. Il romanzo confessionale, inaugurato in Giappone da Toson Shimazaki e Katai Tayama, agli inizi del secolo scorso, avrebbe trovato la sua perfetta trasposizione a fumetti nel capolavoro di Tsuge, L’uomo senza talento (Canicola, 2017).
Tsuge trova nella rivista Meirō (“Il labirinto”), una nuova casa dove perfezionare la sua visione del manga collaborando come autore di punta, affiancato inizialmente dall’amico Masaharu Endo e da Noburo Ishiguro. La collaborazione di Tsuge parte sotto i migliori auspici: con il racconto Obake entotsu (“La ciminiera fantasma”), un thriller dalle tinte misteriose pubblicato sul secondo numero del mensile, Tsuge attira l’attenzione della stella emergente Sanpei Shirato, che più avanti giocherà un ruolo fondamentale nella carriera del giovane mangaka. Ma la mole sfiancante di lavoro pesa sulla qualità dei racconti pubblicati successivamente.
Tsuge non cerca più ispirazione nella letteratura ma volge il suo sguardo al cinema e occasionalmente alla televisione per realizzare thriller e gialli e per assecondare le richieste dei lettori. Wake (“La scommessa”), trae spunto dalla serie Hitchcock presents; mentre da Occhio per occhio, thriller francese diretto da André Cayatte nel 1957, l’autore attinge l’ambientazione siriana di Sabaku (“Deserto”). Dopo appena due anni, Meirō subisce un restyling e un ringiovanimento della redazione: Tsuge diviene editor e in questa veste contribuisce al debutto autoriale del fratello Tadao.
Sempre nel 1959 incontra Yoshihiro Tatsumi che, come molti dei suoi colleghi di Osaka, si è da poco trasferito a Tokyo. L’anno successivo Tsuge conosce una ragazza, Kokeshi, e i due si trasferiscono in un appartamento a Otsuka. Le collaborazioni con nuovi editori aumentano e quella con Sanyosha è certamente la più significativa perché segna il ritorno di Tsuge al dramma di ambientazione storica con i racconti realizzati per la rivista Ninpu, curata da Katsuichi Nagai, futuro direttore di Garo e presidente di Seirinkōgeisha. Nel settore delle librerie a prestito, il boom dei ninja e il successo di Sanpei Shirato spinge tutti gli editori a inseguire questa tendenza commerciale. In un anno Tsuge produce più di venti storie tra drammi storici, gialli e thriller, e lancia due serie, Musashi biwa (“Storia segreta di Musashi”) e Musashi bichō (“Cronache segrete di Musashi”).
Nonostante il ritmo forsennato con cui scrive e disegna, è costretto a lavorare in una ditta di lampadari, e aiuta il fratello Tadao impiegato nelle famigerate banche del sangue. Ma l’editoria a fumetti si appresta ad attraversare una serie di cambiamenti significativi: per la prima volta dopo la fine della seconda guerra mondiale, il Giappone torna a pensare al futuro e con la rinascita sociale ed economica del paese, forme di intrattenimento più costose come il cinema e la televisione diventano accessibili a gran parte della popolazione. Sanyōsha è tra le vittime del cambiamento: nel 1961 dichiara bancarotta e la stabilità economica di Tsuge subisce un grave contraccolpo.
Il mangaka e Kokeshi vengono sfrattati perché in ritardo con i pagamenti e successivamente si separano. Nel suo vecchio appartamento a Kinshi, tenta il suicidio con un’overdose di Brovarin ma viene soccorso da un amico che lo porta in ospedale. Si avvicina alla Sōka gakkai, una scuola laica buddhista giapponese che pratica il buddhismo secondo gli insegnamenti del monaco riformatore Nichiren ma si dimostra un discepolo distratto. Nel 1962, Tsuge è un fantasma: come uno dei protagonisti delle tante storie realizzate, sembra intenzionato a svanire, rassegnato a un destino amaro. Saranno Tatsumi, Shirato e Nagai a riportarlo in vita.
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