L’isola errante è un concetto, uno stato della mente, un’idea. L’isola errante vaga nel mare della nostra anima, nello spazio dal sapore antico – quasi miyazakiano. Una specie di rivisitazione ideale di Porco Rosso e delle nuvole attraverso le quali nuota il Gigante di Conan il ragazzo del futuro.
Mikura è una giovane postina dei cieli che consegna le missive e i pacchetti con il suo idrovolante assieme al coraggioso gatto Endeavour, che rappresenta il bisogno di provare a fare le cose, il “tentativo” impersonificato (come anche il nome). Anzi il “tentativo” gattificato…
Dopo la morte del nonno, con il quale ha costruito un lungo e profondo rapporto, Mikura decide di riprendere una sua ricerca durata per tutta la vita dell’anziano aviatore, cioè l’isola errante, che intravede un giorno e che le apre un nuovo scenario di realtà. L’isola errante esiste, ma cos’è? E come fare a raggiungerla? O forse è stato solo un sogno?
Kenji Tsuruta è stato un ragazzo prodigio dei manga giapponesi. Nato a Hamamatsu, nella prefettura di Shizuoka, a maggio del 1961, ha legato il suo nome a Spirit of Wonder (1986) lunga serie di racconti fantasy serializzati fino al 1996 anche sulla rivista Afternoon. SoW è poi stato tradotto anche in un OAV (1992) e in una serie animata (2001-2004) ed è considerato fino ad ora il capolavoro di Tsuruta.
La sua cifra è facilmente riconoscibile. Sognante, distaccato, amante di una tradizione ideale di donne estremamente femminili e seducenti ma forti e androgine: pigre, lontane, assonnate, tipicamente dinoccolate e quasi lunari. Ma profondamente erotiche, così come sono anche esplicitamente alcuni racconti, ad esempio La Pomme Prisonnière pubblicato in Italia da J-Pop.
Ma l’Isola errante gioca tutta un’altra partita. È una storia solida e che procede su un binario contemporaneamente allusivo e surreale, ma al tempo stesso ben delineato. È anche ricco di riferimenti e doppie e triple letture, a tratti sembra quasi un telefilm alla Lost: Endeavour è un riferimento alla nave del capitano James Cook, Amelia a quella dell’eroina volante Amelia Earhart; l’isola errante è a metà fra Shangri-La e i posti misteriosi visitati da Gulliver nei suoi viaggi o nell’Isola del tesoro.
C’è certamente, come notano anche alcuni critici, una serie di letture ulteriori del testo, del disegno, della sua forma, dei suoi sottintesi e delle sue allusioni. La dimensione voyeuristica, innanzitutto, che viene accesa dalla frammentarietà del modo di ragionare e procedere della protagonista Mikura, pensata a tavolino probabilmente per generare un effetto “moe” nel pubblico più sensibile. Ma in maniera sfumata, laterale.
Sono proprio le note leggere, i semitoni, il senso di ennui appena accennato, ma costruito per contrasto in un’area mitica di isole circondate dal mare, con un clima solare e semi-tropicale (che peraltro dovrebbero trovarsi nella zona compresa fra gli arcipelaghi di Izu e Ogasawara) a rendere la storia ancorata a una realtà che demistifica molte delle presunte manipolazioni e del senso di tristezza che viene annodato filo per filo attorno alla storia disegnata da Tsuruta. C’è insomma, sia questa lettura possibile che quella più decadente e triste, in un contrasto dal sapore spesso intrigante.
Leggero e ben disegnato, chiaro, ma al tempo stesso sottilmente allusivo e anche decisamente seducente, e contraddistinto da toni leggeri e non aggressivi, il lavoro di Tsuruta è un piccolo capolavoro in due volumi. Almeno, fino a quando l’autore non raccoglierà abbastanza materiale pubblicato per farne un terzo.
L’isola errante vol. 1 e 2
di Kenji Tsuruta
traduzione di Federica Lippi
Dynit, febbraio 2019
brossurati, 192 pp., bianco e nero
16,90 €