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Sunday Page: Abraham Riesman su “Final Crisis”

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Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».

Questa domenica è ospite Abraham Riesman. Critico e giornalista, scrive di fumetti, arte, cultura e intrattenimento per Vulture, The Wall Street Journal, The Boston Globe, The New Republic e Vice. È anche l’autore di una biografia dedicata a Stan Lee che uscirà negli Stati Uniti nel 2020.

Final Crisis fu un fumetto incompreso, quando uscì. Nel 2008/2009 la gente lo accusava di essere incomprensibile. Capisco il perché. La storia, citando T.S. Eliot, è un «cumulo d’immagini infrante», una collezione di momenti spesso bizzarri che manca di un tessuto connettivo nella narrazione e pesca da una varietà di fonti della continuity DC.

Ciononostante, se lasci perdere questo aspetto, questi momenti possono diventare potentissimi. In Final Crisis lo sceneggiatore Grant Morrison si propone di raccontare una storia nello stile della saga del Quarto Mondo di Jack Kirby, dove concetti astratti venivano convertiti in personaggi e il peso del mito risuonava in ogni riga di dialogo. Perciò, ottiene scene di terrore primordiale e trionfi commoventi. Questa pagina del penultimo capitolo contiene entrambi.

Amo questa pagina perché è un momento di azione perfetta. Le matite di J.G. Jones e i colori di Alex Sinclair restituiscono un Darkseid la cui faccia presenta una delle grandi espressioni alla Darkseid – malvagità pura e condiscendenza –, mentre spara un raggio laser geometrico; Batman che emana sicurezza nonostante sappia che è prossimo alla morte.

Mi piace come il proiettile voli nella direzione opposta a quella in cui va l’occhio del lettore, è come se ti venisse incontro. E adoro l’intensità dell’ultima vignetta, dove tutti i laser sono a pochi millimetri dalle sue tempie e Batman è lì impassibile. Ma la vera azione proviene dai dialoghi, che mischiano declamazioni kirbyane (quanto è bello che faccia concludere la domanda sulla Sanzione Omega con un punto esclamativo) con il lessico di Batman che Morrison maneggia bene sin dalla sua gestione di JLA.

È tutto perfetto. Anche questa idea che l’ultima azione di Bruce Wayne sia esclamare «Ti ho fregato» all’incarnazione vivente del male, dopo aver chiuso il cerchio delle sue origini e aver usato un’arma. Tutto è sul punto di diventare esagerato ma non scivola mai nell’assurdo, ed è tutto sincronizzato con la mitologia DC. Rappresenta ciò che amo dei fumetti di supereroi.

Perché pensi che DC Comics abbia scelto di puntare su queste storie dipendenti dalla continuity passata (penso anche a Rebirth, un progetto quasi incomprensibile per un lettore neofita)? Certo, si rivolgono a chi compra i fumetti – e chi compra i fumetti ormai è quasi sempre un lettore scafato – ma qui non c’è il minimo sforzo di avvicinarsi a un pubblico nuovo.

Penso che i fumetti di supereroi generalisti si trovino in una situazione da serpente che si mangia la coda. È vero, storie come Final Crisis respingono completamente nuovi lettori o lettori casuali, e questo è un problema. Penso che la DC abbia imparato la lezione e, dopo Rebirth, abbia diminuito questi mega-crossover infarciti di rimandi. Hanno anche introdotto l’etichetta “Black Label”, con storie fuori continuity.

Detto questo, dobbiamo ricordarci che DC e Marvel fanno affidamento su una piccola ma estremamente fedele sacca di lettori, i cosiddetti “Wednesday Warriors”, che sono al corrente della continuity e vogliono pagare per leggere le varie declinazioni della stessa. Non è una grande strategia a lungo termine, ma nel breve periodo ha senso.

È la storia che preferisci di Morrison?

Non è la mia preferita di Morrison. È difficile sceglierne una, forse direi New X-Men, la sua gestione di Batman o Annihilator.

È un fumetto che ti ha entusiasmo quando l’hai letto? Scrivi di fumetti per lavoro, immagino che sia difficile leggerli come forma di escapismo.

Ammetto che oggigiorno sento accendersi molto raramente la scintilla dell’escapismo. Forse è perché ne scrivo per lavoro e quindi non è più escapismo. Ma non ne scrivevo quando lessi questa storia, nel 2008/2009, e Final Crisis mi diede per certo delle belle emozioni. Vorrei poterle riprovare.

Leggi anche: Ma è vero che Batman non uccide?

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