Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica ospitiamo Francesco Guarnaccia. Classe 1994, vive e lavora a Pisa. Fa parte del collettivo Mammaiuto con cui ha pubblicato From here to eternity e Cavalier inservente. Autore di Per Sempre Altrove/Altrove Per Sempre (con Lorenzo Ghetti) e Iperurania, i suoi lavori sono apparsi su Linus, Internazionale e Hoppipolla.
Come mai hai scelto queste due pagine di Tempo da cani di Manu Larcenet?
Il primo motivo per cui ho scelto queste due tavole è che mi fanno genuinamente scassare dalle risate. E non è un’esagerazione, ho proprio riso ad alta voce mentre le leggevo. Non è una cosa che mi succede di frequente con i fumetti, e quindi già questa sarebbe da sola una motivazione sufficiente per motivare la mia scelta. Ma ovviamente c’è dell’altro. Ci sono due motivi per cui ho deciso di infrangere l’unica regola di questa rubrica e scegliere due pagine invece che una; il primo è che per me i fumetti si fanno così, due tavole alla volta.
Quando leggete un fumetto, a meno che non siate all’inizio o alla fine, vedete sempre due tavole, che stanno una accanto all’altra e quindi, se ne masticate di composizione (e se siete dei disegnatori dovreste visto che è tipo l’unica cosa che serve per fare i disegnetti), dovreste sapere che quelle due tavole vanno composte insieme, perché vanno viste insieme e devono funzionare insieme. Queste due tavole insieme funzionano a meraviglia. Funzionano talmente bene che potrebbero pure stare da sole senza il resto del libro attorno, scommetto un Estathé al limone che farebbero ridere anche uno che non ha letto il libro.
In che modo?
È tutto lì, con un ritmo perfetto, ci si potrebbe spiegare la struttura in tre atti con questa tavola, dalla battuta d’apertura alla micidiale punchline tutto funziona alla perfezione. E non era facile considerando la responsabilità di dover gestire: Freud nel far west sopra un asino, il suo assistente verde Igor su una bicicletta e un cane parlante. Questo ci porta direttamente ai prossimi motivi per cui ha scelto queste tavole, l’assurda eppure semplicissima e geniale idea della messa in scena, la recitazione dei protagonisti, come si muovono e come sono disegnati.
Non mi spiego davvero come mai sembra che certi autori franco/belga siano particolarmente a loro agio con il Far West, vedi qui Larcenet, o lo splendido lavoro di Blain con Gus, o certe sequenze del Topolino di Tébo o Lucky Luke o Moebius, ops pardon, volevo dire Gir su Blueberry. Forse è un matrimonio felice tra un mondo ipermovimentato fatto di pallottole sibilanti e inseguimenti e un tratto ipercinetico e ipersintetico come quello francese? Non lo so se sto dicendo delle cose sensate, forse mi sto facendo trascinare da un ingenuo entusiasmo ma, ehi, spero che alla fine vi compiacciate nel constatare che tanti anni di lettura compulsiva di fumetto non sono stati vani!
Ti va di vivisezionare la struttura in tre atti di cui parli spiegando perché funzionano così bene insieme?
Allora, la struttura in tre atti è lo scheletro più funzionale che si ha in narrativa per raccontare una storia. È talmente diffuso che lo usiamo anche senza conoscerlo, anche nel parlato, quando raccontiamo qualcosa che ci è successo o una notizia che abbiamo sentito.
La struttura in tre atti dice che ogni storia equilibrata si compone, come suggerisce il nome, di tre blocchi: inizio, svolgimento e fine. Questi blocchi vengono scanditi da momenti di passaggio tra uno e l’altro: tra l’inizio e lo svolgimento c’è il primo colpo di scena, ovvero un evento che ribalta la situazione di normalità dell’inizio e mette in modo le vicende dello svolgimento. A metà dello svolgimento c’è il climax, un momento in cui la storia sembra volgere al termine ma subentrano delle complicazioni inaspettate, e a concludere lo svolgimento c’è il secondo colpo di scena, un evento risolutivo che porta al finale, una nuova situazione di stabilità che differisce dall’inizio per la comprensione e accettazione dei fatti accaduti nello svolgimento.
Detto questo potremmo suddividere le due tavole in questo modo: la prima vignetta è l’inizio Igor e Freud si aggirano per il Far West decisi a psicanalizzare nuovi soggetti. Questa, in questo momento del libro è la situazione di normalità. Viene stravolta da un misterioso forestiero che, nascosto dall’ombra di un albero li minaccia con una pistola. Ha inizio lo svolgimento, che nel giro di appena quattro vignette orchestra magistralmente: una situazione di minaccia, una battuta su una cavalcatura scadente, una sparatoria e una clamorosa battuta di chiusura con pistola fumante che chiude il climax.
Ora, se mi avete seguito prima, nella mia traballante lezioncina di sceneggiatura 101 vi ricorderete che il climax arriva esattamente a metà storia e infatti ci troviamo qui alla fine della prima pagina, esattamente a metà, sul bilico del giropagina interno. La prima vignetta della seconda pagina fa da controparte comica e anticlimatica. Freud, esaltato e comicamente fuori tempo, riprende la battuta di Igor per poi subito dopo redarguirlo e rimproverarlo sui suoi modi sguaiati.
Le tre vignette successive suggeriscono il ritorno alla situazione iniziale con Igor e Freud che battibeccano noncuranti di tutto il resto quando improvvisamente, proprio come nel primo colpo di scena, vengono interrotti dal forestiero fuori campo: è il secondo colpo di scena, che porta ad una situazione ribaltata, questa volta è lo straniero ad essere sotto tiro e… Ehi, ma è un cane! La riuscitissima punchline chiude le due tavole e anticipa quello che succederà nella pagina successiva ovvero la nuova situazione di normalità: Igor e Freud continuano il loro viaggio nel deserto ma con un nuovo compagno di viaggio: un cane parlante.
Le tavole che hai scelto dimostrano la versatilità di Larcenet come disegnatore (come se l’autore di Blast e Ritorno alla terra dovesse dimostrare qualcosa in termini di versatilità, ma tant’è): la prima vignetta ha un taglio cinematografico western molto forte, contemplativa, con la scenografia naturale a fare da seconda cornice all’immagine, mentre la seconda pagina è bidimensionale e tutta votata al ritmo del dialogo.
Credo che il contrasto tra la prima vignetta estremamente cinematografica e le seguenti, più “bidimensionali” serva egregiamente ad accentuare l’effetto comico della situazione. Quella che si apre come una situazione di pericolo viene immediatamente ribaltata in un teatrino comico. Al ribaltone corrisponde un cambio di registro gestito senza sbavature.
E poi mi sembra che utilizzi i colori complementari come fossero musica per scandire ancora di più la sequenza.
Effettivamente l’uso dei colori, molto narrativo, ci accompagna in questa giostra, scandendola molto ritmicamente. Sembra quasi che ai colori venga affidato un codice “temporale”: se le vignette azzurre indicano una durata “normale” delle vignette, quelle rosse suggeriscono una durata minima, quasi istantanea, mentre quelle gialle dilatano il tempo e fungono da pausa.
È stato il tuo primo incontro con Larcenet?
Seguo Larcenet da tempo, l’ho scoperto con Blast e consacrato tra gli autori del mio cuore con Lo scontro quotidiano. Quando ho saputo dell’esistenza di questa serie di volumi mi ci sono buttato a capofitto, particolarmente esaltato dall’idea di fondo: reinterpretare personaggi storici, raccontandoli in situazioni bizzarre, dove far emergere le loro caratteristiche per contrasto e scollamento dalla realtà piuttosto che affidandosi ad una pallosa fedeltà storica.
Che lezione hai ricavato da questo fumetto, come autore?
La preziosa lezione che ho ricavato da Larcenet e da altri autori che ammiro è la conferma di un punto fisso inamovibile della mia produzione: niente racconta una storia drammatica meglio di una storia comica e di un pugno di personaggi buffi.