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La vera storia di Captain Marvel

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Un’eroina tosta, alieni cattivi, effetti speciali a manetta e umorismo. Sono gli elementi principali di Captain Marvel, il nuovo film dei Marvel Studios, che sta attirando milioni di spettatori in tutto il mondo, nonostante sia basato su personaggio che fino a 10 anni fa era una signora nessuno, nota solo ai fan dei fumetti. Questo articolo, però, non parla di questo. Parla invece di temi che ci piacciono molto: fallimenti di case editrici, progetti editoriali sgangherati, protezione del copyright e cause legali. Questa è la vera storia di Capitan Marvel.

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L’eroe bambino contro Superman
Tutto inizia agli albori del fumetto di supereroi, nel giugno 1938, quando la casa editrice National pubblica il primo numero di Action Comics, su cui esordisce Superman. Il successo è straordinario e nel giro di una manciata di anni nascono decine di epigoni dell’Uomo d’Acciaio, pubblicati da editori, spesso improvvisati, che cercano di cavalcarne il fenomeno.

Tra gli altri tale Martin Goodman, proprietario della casa editrice Timely, con la quale nel 1939 pubblica l’antologico Marvel Comics, ovvero “Fumetti meravigliosi”, su cui esordiscono Namor il Sub-Mariner di Bill Everett e la Torcia Umana di Carl Burgos.

Alla fine dello stesso anno, sul secondo numero di Whiz della casa editrice Fawcett (data di copertina febbraio 1940, ma uscito come di consueto almeno un paio di mesi prima), esordisce l’ennesimo nuovo eroe. Costume rosso con decorazioni dorate e mantello bianco con gigli dorati, ha un fulmine sul petto e si fa chiamare Capitan Marvel. Il suo vero nome è Billy Batson ed è un ragazzino che, pronunciando la parola magica Shazam, si trasforma in un adulto con poteri straordinari: S per la saggezza di Salomone, H per la forza di Ercole (Hercules), A per la resistenza di Atlante, Z per il potere di Zeus, A per il coraggio di Achille, M per la velocità di Mercurio.

«Decidemmo di dare ai nostri lettori un vero libro a fumetti, disegnato con lo stile delle strisce per i quotidiani e che raccontasse una storia immaginifica, non basata sulle formule trite dei pulp magazine, ma che si rifacesse ai racconti antichi e ai miti classici» avrebbe dichiara alla metà degli anni Ottanta a Tom Heintjes il disegnatore Charles Clarence Beck, che insieme allo scrittore Bill Parker inventa il personaggio.

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Whiz Comics #2, prima apparizione di Capitan Marvel. Evidentemente i supereroi dell’epoca odiavano davvero le automobili.

La serie ha un successo insperato. I giovani lettori si immedesimano in quel loro coetaneo in grado di diventare un supereroe e lo premiano acquistando in massa i comic book della Fawcett. Whiz, WOW Comics e, a partire del 1941, Captain Marvel Adventure sono tra i titoli più venduti della storia del fumetto americano, tanto da raggiungere e perfino superare le vendite di Superman. Si parla di oltre un milione di copie mensili per una manciata di anni.

A Blly Batson vengono affiancati altri personaggi, come Captain Marvel Jr. e Mary Marvel: i tre insieme formano la Marvel Family, titolare di un’omonima serie a fumetti. Ha il suo comic book anche il coniglio supereroe Hoppy the Marvel Bunny.

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La famiglia Marvel quasi al completo

Nessuno tra i dirigenti della Fawcett Publications si è posto però il problema della somiglianza del nome del loro personaggio di punta con quello della testata madre di Goodman, né evidentemente il buon Martin ha ritenuto di averne subito danno, tanto che non ci sono cause legali al riguardo. Si mormora piuttosto di un accordo segreto tra i due editori per quieto vivere.

È invece la National, scottata dal successo di Capitan Marvel, a fare causa alla Fawcett, sostenendo che il supereroe sia troppo simile a Superman e ne violasse il copyright. La causa, iniziata nel 1941 e durata fino al 1953, è uno dei processi più lunghi nella storia del fumetto statunitense.

Il primo grado (1951) dà ragione alla Fawcett: anche se Capitan Marvel viola il copyright di Superman, la National si è dimostrata poco attenta a proteggerlo in varie occasioni e quindi ha implicitamente abbandonato i diritti sul personaggio. In appello, però, la sentenza viene ribaltata: Capitan Marvel non viola direttamente il copyright di Superman, ma molti elementi delle storie sono ritenuti un plagio.

Non ci sarà mai però una sentenza definitiva, perché poco più tardi i due editori decidono a quel punto di accordarsi. Nel corso degli ultimi due lustri il mercato è cambiato completamente, è terminata la Golden Age dei supereroi e le vendite sono crollate: i lettori preferiscono ormai i fumetti horror o di fantascienza alle avventure dei tizi in calzamaglia.

La Fawcett getta quindi la spugna, convinta che non ne valga più la pena, accetta la vittoria della concorrenza pagando 400mila dollari di danni e chiude la sua sezione di fumetti, promettendo di non pubblicare mai più Capitan Marvel.

Autarchy in the UK
La chiusura di Capitan Marvel nel 1953 è un brutto colpo per un editore che, dall’altra parte dell’Atlantico, ha fatto del personaggio il suo titolo più venduto. Len Miller importa infatti da una decina di anni le avventure di Billy Batson, proponendole in bianco e nero ai lettori del Regno Unito.

Quando la Fawcett interrompe le pubblicazioni, la casa editrice londinese si trova all’improvviso senza più materiali per i suoi albi. È facile immaginare la disperazione della redazione e la corsa a inventarsi una soluzione: assegnare a un fumettista locale il compito di portare avanti la serie, cambiandola completamente senza mutarla di una virgola.

La scelta ricade sul trentasettenne Mike Anglo, che collabora già con la L. Miller Ltd su un paio di serie di fantascienza e che qualche anno prima ha inventato per un altro editore l’effimero supereroe Wonderman.

Anglo dà vita a Marvelman, che rimpiazza Capitan Marvel senza soluzione di continuità. Anche lui è un ragazzo, solo un po’ più vecchio di Billy Batson: Michael Moran, che grazie alla parola magica “Kimota” (“Atomic” al contrario) si trasforma in un superuomo. La sua Marvel Family è costituita da Dicky Dauntless/Kid Marvelman e Johnny Bates/Young Marvelman. Manca solo il superconiglio, insomma.

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La serie fu pubblicata anche in Italia dalla Edit Europa, otto numeri a metà degli anni Sessanta.

La nuova serie prosegue per oltre dieci anni, realizzata quasi interamente dal suo nuovo creatore fino al 1960, quando questo lascia Miller per divergenze contrattuali e fonda una sua casa editrice che pubblica per un paio d’anni le storie di Captain Miracle, realizzate riciclando materiale di Marvelman.

I tempi sono però mutati. Una legge nel 1959 ha revocato il divieto all’importazione di fumetti a colori dagli Stati Uniti, e un’ondata di comic book invade il mercato britannico. Gli albi in bianco e nero di Miller non possono reggere il confronto, e la casa editrice è costretta a chiudere nel 1963.

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“Una delle più belle e sensazionali avventure dell’uomo più potente dell’universo” recita il lancio in quarta di copertina. Come questa in cui Gargunza magnetizza Marvelman.

Questa storia ha però un codino di importanza fondamentale per il fumetto moderno. Che una serie come Marvelman, terribilmente artigianale, un po’ raffazzonata e decisamente cheap, nata solo per proseguire una testata di successo, diventi una pietra angolare della rinascita del fumetto di supereroi venti anni dopo la sua chiusura è un avvenimento che ha dell’incredibile. Eppure…

Nel 1982, per lanciare la nuova rivista antologica Warrior, l’editore Dez Skinn acquisisce da Mike Anglo i diritti del personaggio e ne affida il rilancio a due giovani autori: il disegnatore Garry Leach e lo sceneggiatore Alan Moore.

Quest’ultimo utilizza la serie – pubblicata di recente anche in Italia da Panini Comics – per sperimentare e soprattutto per indagare la figura del supereroe, essere divino che si ritrova a vivere tra i mortali. È il primo vero tassello della sua opera di decostruzione del genere, che avrà il culmine quattro anni dopo con Watchmen.

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Una copertina di Warrior con Marvelman.

Anche questo Marvelman non sfugge però alla maledizione del copyright. Una certa casa editrice statunitense, leader del mercato da vent’anni, obbliga Skinn a non utilizzare più il nome del supereroe perché troppo simile al proprio marchio. L’editore inglese non ha i mezzi per sostenere una causa contro la potente Marvel Comics, cede e ne approfitta per cessare le pubblicazioni, chiudendo così anche il rapporto con Alan Moore, con cui erano in corso screzi per questioni economiche.

I diritti passano oltre atlantico alla Pacific Comics prima e alla Eclipse Comics poi. Per evitare grane legali il nome del personaggio viene cambiato in Miracleman. Alan Moore completa il suo ciclo narrativo e passa la penna a Neil Gaiman, che scrive alcune storie finché la serie non si interrompe per il fallimento della Eclipse. Siamo nel 1993.

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Il primo numero di Miracleman della Eclipse

A questo punto interviene Todd McFarlane. Il co-fondatore dell’Image acquista i diritti delle pubblicazioni della casa editrice fallita per inserire Miracleman nel suo Spawn, ma trova un intoppo di natura legale.

Da una parte, Mike Anglo non ha mai registrato davvero i suoi diritti sulle storie di Marvelman degli anni Cinquanta, che quindi, essendo fallito l’editore, sono libere da copyright: la proprietà del personaggio da parte di Skinn, Pacific, Eclipse e quindi McFarlane è nulla.

Le storie di Warrior e poi di Miracleman sono invece accreditate ai soli autori, che hanno ceduto i diritti a quelli che li hanno succeduti: nel 1993 sono quindi di Gaiman e del disegnatore Mark Buckingam, che non hanno alcuna intenzione di cederli.

Nasce così una causa legale che si risolve dopo oltre dieci anni con la vittoria di un nuovo attore: Marvel Comics. Mike Anglo registra i suoi diritti e li cede alla Marvel. Gaiman vince in tribunale contro McFarlane e si accorda con la casa editrice guidata da Joe Quesada per la ripubblicazione della serie.

Ciliegina sulla torta, poiché il nome Miracleman è l’unica cosa che resta di proprietà di McFarlane, il supereroe in casa Marvel torna al suo nome originale, Marvelman.

Un vaso di coccio tra i vasi di ferro
Torniamo però ora indietro di quarant’anni. Nei primi anni Sessanta i fumetti di supereroi sono tornati di moda grazie alle innovazioni di DC Comics e soprattutto della Marvel. Come venti anni prima nuovi editori si gettano nel mercato. Pochi avranno successo. Qualcuno durerà quanto un gatto in tangenziale.

È il caso della Myron Fass Enterprises, creatura di un eclettico editore che in quarant’anni di carriera ha pubblicato fumetti horror, romanzi pulp, porno, riviste sulla musica punk e sul wrestling, magazine di pin-up e qualsiasi altra cosa fosse di moda, spesso copiando spudoratamente i prodotti della concorrenza.

Il suo Captain Marvel esce nel 1966 e chiude nel 1967 con sei numeri all’attivo, nonostante sia stato ideato da quel Carl Burgos che aveva creato la Torcia umana sul numero 1 di Marvel Comics.

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Captain Marvel ha il potere di separare le parti del suo corpo al grido “Split!”

È un personaggio profondamente naif – ne abbiamo scritto qui – dimenticabilissimo, che però lascia un segno importante nella storia del fumetto mondiale: grazie a lui Martin Goodman si rende conto che è giunto il momento perché la Marvel sia l’unica a poter pubblicare un Capitan Marvel. Offre a Fass seimila dollari per acquistare i diritti del suo personaggio, ma lui li rifiuta.

Dalla difesa di un marchio nasce un capolavoro
La mossa successiva di Goodman è andare dal suo editor in chief, il sorridente Stan Lee, e commissionargli la creazione di un Capitan Marvel: non importa chi sia o cosa faccia, importa solo il nome. Lee, che pensa che il nome sia troppo gravato dalla fama del personaggio degli anni Quaranta per portare a qualcosa di buono, ubbidisce e insieme al disegnatore Gene Colan crea una storia di venti pagine per l’antologico Fantastic Masterpieces, ribattezzato per l’occasione Marvel Super Heroes dal numero 12 del dicembre 1967.

In copertina compare un supereroe vestito di bianco e verde, con un elmo e un pianeta stilizzato sul petto. Uno strillone annuncia il nome – Captain Marvel appunto –, un altro mette bene in chiaro che è “Nuovo! Mai visto prima!”.

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Marvel Super Heroes #12, prima apparizione di Mar-Vell

È un guerriero Kree – la specie di alieni già comparsa nelle avventure dei Fantastici Quattro – che viene mandato a spiare gli umani ma tradisce il suo popolo e diventa un difensore della Terra. L’idea non è tra le migliori di Lee, ricorda un po’ quanto già fatto con Silver Surfer. E nemmeno il vero nome, Mar-Vell, è particolarmente originale. Lee porta a casa la storia di mestiere, grazie anche al talento di Gene Colan, che azzecca il design del costume e alcune tavole impressionanti.

Alla prima occasione, però, Lee, troppo impegnato per portare avanti un personaggio minore, lo sbologna al suo braccio destro Roy Thomas, che scrive la seconda e ultima storia su Marvel Super Heroes e i primi quattro numeri della serie regolare dedicata al capitano, sempre in coppia con Colan. Al centro delle storie il fumettista del Missouri pone sempre il conflitto interiore di Mar-Vell, lacerato tra il dovere nei confronti della sua razza e l’affetto per i terrestri tra cui vive, tratteggiando un personaggio interessante.

La cosa dura però pochi numeri: evidentemente le vendite non vanno abbastanza bene per una serie che esiste solo per ragioni di copyright, oppure Thomas e Colan sono richiesti su testate più importanti. Al loro posto subentrano due onesti mestieranti come Arnold Drake e Don Heck e la serie perde di qualità, anche per la discontinuità data dai numerosi “tappabuchi” (tra gli altri Gary Friedrich, Archie Goodwin, Gerry Conway ai testi, Dick Ayers e Frank Springer ai disegni). I tormenti dell’eroe passano un po’ in secondo piano rispetto al “mostro del mese”, una minaccia aliena Kree o di altre specie che Cap deve sgominare sempre controvoglia.

Con il numero 17 torna Thomas, questa volta insieme a Gil Kane, e rilancia il personaggio rivoluzionandolo. Oltre a un cambio di costume lo mette in collegamento con Rick Jones tramite le negabande che i due portano ai polsi: quando uno dei due è nella nostra dimensione, l’altro è rinchiuso nella dimensione parallela chiamata Zona Negativa, e battendo tra di loro i bracciali si scambiano di posto.

La serie vivacchia fino al numero 25, quando Jim Starlin diventa disegnatore titolare della testata, aiutato inizialmente ai testi dall’amico Gary Friedrich. I due sviluppano il personaggio di Thanos, creato poco prima su Iron Man, di cui Mar-Vell è il primo grande avversario. Capitan Marvel diventa quindi un personaggio in linea con i suoi tempi, psichedelico, complesso, che supera i suoi dilemmi interiori e aspira alla purezza, alla saggezza e alla pace interiore, unica arma per sconfiggere il Titano.

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Capitan Marvel distrugge il cubo cosmico, daCaptain Marvel #32 del 1974. Testi e matite di Jim Starlin, chine di Dan Green.

La gestione di Starlin, che si interrompe per alcuni anni, detiene anche un record a oggi forse imbattuto: Mar-Vell è l’unico supereroe a essere morto in modo definitivo. E non in battaglia, bensì di cancro nella seminale La morte di Capitan Marvel, su Marvel Graphic Novel #1 del 1982.

L’eredità di Mar-Vell
Morto un Capitan Marvel è necessario farne un altro, anche solo per mantenere i diritti del nome.

Mentre il corpo di Mar-Vell è ancora caldo, su The Amazing Spider-Man Annual del 1982 viene creato il personaggio di Monica Rambeau, una donna poliziotto di colore che ha il potere di trasformare il proprio corpo in energia. La sua carriera come Captain Marvel dura una dozzina di anni, prima di cambiare il nome di battaglia in Photon, poi in Pulsar e infine in Spectrum. Attualmente fa parte degli Avengers, di cui è già stata brevemente leader negli anni Ottanta.

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Al centro del disegno, con il costume bianco, Monica Rambeau, alla guida degli Avengers nel crossover Secret Wars del 1984.

Intanto la compagna di Mar-Vell decide di avere un figlio: grazie alla tecnologia degli Eterni rimane incinta del marito ormai morto e partorisce Genis-Vell, che esordisce nel 1993 e due anni dopo rivendica il nome di battaglia del padre, “strappandolo” alla Rambeau, da cui più avanti prenderà anche il nome Photon. Al momento è morto, ucciso nel 2006 dal Barone Zemo.

Anche la sorella minore Phyla-Vell ha ricoperto il ruolo di Capitan Marvel per brevissimo tempo. Anche lei è morta, dopo aver preso il nome di Martyr, per proteggere i Guardiani della Galassia.

Ci sono stati altri due Cap, lo skrull Khn’nr (morto) e il kree Noh-Varr, che si fa ora chiamare Protector.

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Carol Danvers

Infine giunge il turno di Carol Danvers. Esordisce nel 1968 nella seconda storia di Mar-Vell, come una semplice umana nel cast della serie. Nel 1977 diventa l’eroina Ms. Marvel, cambia poi il nome in Binary, Warbird e infine Capitan Marvel.

Fino a metà degli anni Duemila è stata un personaggio di secondo – se non di terzo – piano. Negli ultimi dieci anni ha invece guadagnato fama, grazie alle serie che l’hanno vista protagonista (ne abbiamo parlato qui e qui), in cui si è scoperto che anche lei ha sangue kree nelle vene, e soprattutto alla lavorazione del film a lei dedicato.

Questo pianeta non è abbastanza grande per due Captain Marvel
La questione dei diritti di Capitan Marvel sembrerebbe chiusa già dal 1967 con la mossa di Goodman e Lee, eppure non è così semplice, perché all’inizio degli anni Ottanta ritorna lui, il pezzo grosso, Billy Batson, il mortale più potente del mondo.

Avevamo lasciato la DC Comics nel 1953 trionfante sulle ceneri della divisione fumetti Fawcett. Venti anni dopo la dirigenza della casa editrice decide che sia una buona idea quella di acquisire i diritti dell’antico nemico e inserirlo nel proprio universo narrativo. È un personaggio ancora molto noto e con un suo pantheon di comprimari interessanti. La casa editrice prende così in licenza il personaggio (che acquisterà completamente qualche anno dopo) e inizia a pubblicarne delle nuove avventure.

C’è un solo problema: i diritti del nome sono della Marvel, e l’unico Capitan Marvel che può essere pubblicato al momento è Mar-Vell. E qui sta il colpo di genio della dirigenza di DC Comics: cambiare il nome del supereroe in Shazam, come la parola magica pronunciata da Billy Batson, e al tempo stesso non abbandonare il suo storico nome di battaglia.

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Sfruttando un buco nella legge del copyright, per gli autori di DC Comics è possibile continuare a utilizzare il nome Capitan Marvel all’interno dei fumetti, facendo risultare Shazam il nome ufficiale del personaggio senza violare il copyright della Casa delle idee.

Questo fino al rilancio New 52: nel numero #7 di Justice League (marzo 2012) e poi nella nuova narrazione delle origini uscita nel 2013, lo sceneggiatore Geoff Johns decide di tagliare la testa al toro: basta ambiguità, d’ora in poi il supereroe si chiamerà solo Shazam.

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Shazam chiamato Capitan Marvel in When Earths Collide, All-New Collectors Edition #C-58 del 1978, di Jerry Conway e Rich Buckler, e da Kingdom Come di Mark Waid e Alex Ross del 1996.

Si giunge così al paradosso che viviamo in questi giorni: al cinema escono due film di supereroi in diretta concorrenza l’uno con l’altro, quello con Billy Batson e quello con Carol Danvers. Lui, il primo titolare del nome, non potrà usarlo; lei, l’ultima arrivata, lo trasformerà in un brand milionario. Evidentemente la Terra non è abbastanza grande per due Capitan Marvel.

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