di Makkox
La cosa che mi dicono più spesso i popoli del web da quando posto online i miei fumetti, perlopiù vignette accazzo, è: mi ricordi Pazienza. Dice: che complimento! Invece a me girano i coglioni. Una volta anche Filippo Scòzzari, che di Paz era amico e collega, mi commentò una vignetta su Facebook: Marco, smettila di pazienzeggiare! Lo mandai a fanculo perché aveva ragione piena, aveva toccato un nervo, il Maestro. Sapesse lui quanto amo anche le sue tavole. Ma lo sa, lo sa. Però nessuno m’ha mai detto: mi ricordi Scòzzari. Eppure lui ha avuto una grande influenza sul mio gusto e nel mio disegnare: nei colori perlopiù. Chissà quanti altri sono in me, nelle mie mani. Tutti. Io sono quel che mangio. Eppure son me stesso. Unico. Mi ricordi Paz.
(cazzo!)
La verità è che, se vieni dopo il Paz a far vignette, non puoi prescindere dal Paz. Da quello che t’ha insegnato, anzi da quello che t’ha MOSTRATO, Paz. A meno che tu non te ne faccia un punto di disciplina. Ecco ho disegnato una vignetta che mi piace da morire, ah, ma ricorda un po’ Pazienza, la straccio. E perché dovrei? Come faccio a evitare di ricordare Andrea Pazienza e in particolare le sue vignette, o meglio: come faccio a non addentrarmi e percorrere gli spazi che (tra gli altri) lui ha esplorato e scoperto nel territorio della vignetta? Le mappe son cambiate, dopo Paz. Non puoi considerarlo solo un autore tra tanti. Lui introduce qualcosa che prima non c’era, e quel qualcosa è paradigmatico.
Come con Giotto.
Te lo insegnano alle scuole elementari, Giotto. Cioè, ti insegnano due cose grossolane su Giotto. L’istruzione alle elementari è tutta aneddotica e grossolana, o almeno lo era ai tempi miei. Muzio Scevola: quello che s’è bruciato la mano. Attilio Regolo: botte di chiodi. Lombardia: riso e nebbia. Driiin, campanella. E via così.
E quindi anche Giotto elementare: due cose. La prima: Giotto faceva i cerchi perfetti a mano libera. Vabe’, ma questo non è paradigmatico, è una roba per rimorchiare. Quindi se provavi anche tu a fare i cerchi perfetti a mano libera per impressionare una tipa al bar, t’arrivava subito ’sta voce da dietro: smettila di giotteggiare, Marco! Era Scòzzari, seduto più in là col suo Martini. E aveva ragione, come sempre.
La seconda cosa elementare di Giotto è: Giotto fu il primo a dipingere di spalle alcuni personaggi negli affreschi. Non il protagonista dell’affresco, ovvio, ma gli altri che fosse logico ci dessero le spalle, sì. E tu bimbo delle elementari che ti credi Scòzzari pensi sarcasticamente: figurati, er genio. E sbaglieresti! Perché davvero er genio. All’epoca nessuno aveva mai dipinto qualcuno di spalle in una scena, chessò, tipo la crocifissione. Crocifiggono Cristo? Nessuno rappresentato nell’affresco che sia voltato a guardare la cosa. Eppure parliamo dei suoi cari, amici, parenti, hanno facce tristi, straziate dal dolore, piangono. Ma lo fanno guardando noi. Che ti viene da gridargli AOH! Sarà mica colpa nostra eh!? (magari un po’ l’intento era quello, boh). Comunque no, l’affresco era così perché fino a quel momento non si dipingeva la crocifissione, o altre scene sacre, come fotografia di un momento reale, ma come una specie di scrittura simbolico teatrale. Era un racconto: Cristo è crocifisso, e lo vediamo, la Vergine Maria piange, ha due lacrime sul volto che significano pianto, e quello è il volto di Maria senza dubbio, perché viene rappresentato sempre identico come un logo… e così via per tutti gli altri santi uomini e sante donne, tutti riprodotti in quel modo stilizzato e rigido dell’arte bizantina, che sembrano tutti figure delle carte da gioco trevigiane. Giotto però, che era partito da piccolo pastore a disegnare le pecore sui sassi finché un giorno il maestro Cimabue non l’aveva veduto e s’era detto: hai capito ’sto pastorello che mano! Me lo prendo a bottega! (almeno così te la raccontano alle elementari).
Giotto, si diceva, l’ho sempre immaginato illuminato da quella sua
fase di pittore en plein air, un impressionista 600 anni prima degli impressionisti. Un uomo che desiderava dipingere i fatti come li avrebbe visti l’occhio di chi fosse stato lì, testimone. E perciò lui, Giotto, deve aver immaginato, dipingendo una crocifissione del Cristo: eh, ma i suoi cari attorno staranno guardando il supplizio, mica da un’altra parte, mica NOI. E mica le persone sono tutte intirizzite e rigide così come dei cartonati, nella REALTÀ! E di conseguenza innova, rappresenta i dolenti di spalle, che guardano Gesù. E hanno le forme di persone reali, morbide, accasciate, chine, diverse tra loro. Tu capisci che sono santi perché hanno l’aureola, ma vedi le nuche. Ora il dolore sui volti, il pianto, lo devi immaginare dalle spalle curve, dai volti che intuisci nascosti nelle mani. Certo, poi parte il gioco: ma quello in ginocchio che piange, secondo te è San Pietro o San Marco? Comunque sia, Giotto fa questa cosa per noi intuitiva, quasi ovvia e compì una rivoluzione che cambiò l’arte del suo tempo. Giotto fa un passo avanti verso la “verità” e squarcia un sipario, uno degli innumerevoli sipari che si susseguono nella storia dell’arte. Quindi da quel giorno se per rimorchiare una figa in un bar avessi provato anche tu a dipingere l’affresco di una crocifissione alla Giotto, Scòzzari sarebbe stato zitto e avrebbe bevuto il suo Martini, annuendo. Invece t’avrebbe cazziato se tu avessi continuato a dipingere come prima. (Scòzzari nel 1300 è un format che voglio depositare.)
Sì, ma quindi Pazienza? Parlaci di queste vignette rivoluzionarie di Pazienza! Ci hai fatto due palle perfette con Giotto! Dicci: in modo grossolano ed elementare, qual è l’innovazione di Paz?
Ecco, Pazienza sarebbe difficile da insegnare alle elementari. Quali sono le due innovazioni paradigmatiche di Pazienza? Faceva la gente vista di tre quarti nella posizione del loto? Faceva i quadrati perfetti a mano libera?
Be’, di sicuro Pazienza ci faceva il cazzo che gli girasse per la testa a mano libera. Così, come fosse tiè. Come fosse, sai che c’è? Ora qui ti faccio un disegno dettagliatissimo e realistico di un giovinotto seduto indolentemente su una poltrona di vimini con una vestaglia damascata che si spara un monologo interiore lungo una quaresima, sublime per lessico, significato ed eleganza. Ora quest’altra volta invece ti traccio, con un segno ciotto che pare fatto senza mai staccare dal foglio una matita grassa per l’ombretto, un omino abbozzato che cavalca una specie di dinosauro pigro e l’omino dice solo giddap! Insomma: è impossibile definire uno standard della vigna pazienziana che racchiuda l’innovazione.
O forse è proprio lì la novità, il passo in avanti che ha portato un grano di “verità” nel vignettismo italiano. Pazienza (quando produceva una vignetta) non era un autore di vignette classico, del tipo rigidamente autoformattato e immutabile, di quelli che la vedi da un chilometro una loro vignetta e dici ah, è una vignetta di coso lì, quello bravo, sarà qualcosa di arguto nel suo stile bravo e arguto. M’avvicino per leggerla meglio. No, con Pazienza non funzionava mai così. Forse proprio perché non aveva il dono del disegno, aveva il SUPERPOTERE del disegno. E lo usava a strafottere. Gli esplodeva dalle mani.
Di Paz vedevi una roba da un chilometro, uno scarabocchio, uno scarrafone, un cirrocumulonembo, un tempio indiano, un… ma che cazz’è? Sicuro è Pazienza, ma cosa cazzo sarà stavolta? Riderò? Piangerò? Rimarrò spaventato a morte dalla crudeltà della vita o commosso dalla dolcezza del cosmo? O entrambe le cose? M’avvicino per SCOPRIRLO.
Ogni vignetta era un viaggio lunghissimo, o un saltello, verso l’ignoto, la meraviglia. E non sai dire come facesse, dove fosse il trucco. Perché non era solo quella cosa del superdisegno. Era di più.
Era dippiù. Forse per questo io pazienzeggio e morirò pazienzeggiando. Perché voglio scoprire quel dippiù, e lo imito come una scimmia che si tira su gli occhiali sul naso, credendo che lì sia la chiave dell’intelligenza dei sapiens.
Non lo so. È così inafferrabile. So che a me le vignette bizantine, quelle con le figure stereotipate come le carte trevigiane, anche di coloro che sono sopravvissuti a Paz, o sono venuti dopo Paz, come me, mi sembrano più morte delle sue, che invece ancora adesso, quando mi capitano sotto gli occhi, saltano fuori dal foglio bianco e… e io rido, o piango, o mi spavento, o penso.
Penso: ma come fa?
Makkox (Marco Dambrosio) è fumettista, illustratore e autore televisivo. Tra i suoi libri pubblicati ricordiamo Le [di]visioni imperfette (Coniglio Editore), Ladolescenza (Bao Publishing), Se muori siamo pari (Bao Publishing), The Full Monti (Rizzoli Lizard). Attualmente collabora con il quotidiano Il Foglio e la trasmissione televisiva Propaganda Live di La7.
Questo articolo è l’introduzione al volume Vignette, di Andrea Pazienza, pubblicato da Coconino Press.