HomeFocusDan Slott, il nerd che ha scritto Spider-Man per 10 anni

Dan Slott, il nerd che ha scritto Spider-Man per 10 anni

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A sentirlo parlare, Dan Slott è un geek fatto e finito. Anche a guardarlo, lo scrittore della più lunga gestione di Spider-Man sulla testata ammiraglia Amazing Spider-Man assomiglia a uno di quei personaggi stereotipati che cinema e televisione amano inquadrare come “lettore di fumetti”: magliette dei supereroi, felpe e tute come abiti d’ordinanza, espressione non particolarmente arguta, quasi annebbiata da un regime alimentare povero di fosforo.

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Dan Slott | via Flickr

Le tante interviste rilasciate negli anni lo descrivono come un fan diventato autore che non ha saputo del tutto scindere i due ruoli. Ha digerito la passione, l’ha metabolizzata in ossessione e ora è pronto a rigettarla sull’interlocutore. Entusiasta, ma con l’atteggiamento che sconfina nella boria di chi ti sta elencando tutte le apparizioni di Ben Reilly soltanto per dimostrarti che ne sa più di te. In genere, non ci si dovrebbe aspettare nulla da qualcuno che ha in corpo soltanto storie dell’Uomo Ragno da raccontare e, dopo quelle, altre storie dell’Uomo Ragno.

Eppure, anche per questo ancoraggio alla sua anima fanatica e alla propensione ad arruffianarsi lo zoccolo duro dei fan attenti alla continuity, la gestione iniziata nel 2008 da Dan Slott ha riscosso un buon successo di pubblico, mantenendosi per anni nella parte alta delle classifiche di vendite e arrivando a exploit da mezzo milione di copie. Il suo incarico è terminato lo scorso giugno con Amazing Spider-Man #801, pubblicato in Italia a fine ottobre. È stato uno dei più lunghi in assoluto in casa Marvel, durato 10 anni e 180 numeri, un record storico (di poco inferiore ai 16 anni e 186 numeri di Chris Claremont su Uncanny X-Men) che l’editore ha perfino voluto celebrare con un video. Vale la pena allora capire se, e come, il suo lavoro ha cambiato il personaggio.

L’amichevole sceneggiatore di quartiere

Classe 1967, di estrazione ebraica, Dan Slott crebbe tra Stockton – sobborgo californiano che sembra uscito da un film Amblin –, Londra e il New Jersey, seguendo il padre, ingegnere chimico per Shell, nei suoi spostamenti. La passione per i fumetti gliela instillò il cugino, amante di letture guerrafondaie come Sgt. Rock e Sgt. Fury and His Howling Commandos.

Slott non trovò granché interessanti le storie, ma ne apprezzò i disegni, in particolare quelli di Jack Kirby. Il cugino allora gli consigliò di dare un occhio a un’altra serie che stava collezionando, Fantastic Four. «Tieni» gli disse, prestandogli la Trilogia di Galactus, «Questi potrebbero piacerti». Ai Fantastici Quattro si affiancò presto un altro titolo, Amazing Spider-Man, e le gesta dell’Uomo Ragno diventarono le sue favorite: «Ero un piccolo ragazzino ebreo che non aveva il coniglio pasquale, ma aveva Spider-Man».

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Copertina variant di Todd Nauck ritraente Dan Slott

Appena laureato, con il sogno di diventare fumettista, ottenne prima un apprendistato in Marvel Comics e poi un posto fisso nella redazione. Nel 1991 riuscì a vendere un paio di storie brevi, Rimbalzo o non rimbalzo? (apparsa sull’annual di New Warriors) e Il giorno dell’indipendenza (pubblicata su Punisher Summer Special). Seguirono altre apparizioni in testate antologiche o di seconda fascia come The Ren & Stimpy Show, ma la sua carriera non sembrava ingranare. Solo all’inizio degli anni Duemila la Marvel lo richiamò, in virtù del successo della miniserie DC Comics Arkham Asylum: L’inferno sulla terra.

Nel 2004 il rilancio di She Hulk fece conoscere il suo nome per lo stile spigliato, ironico e conoscitore del retaggio Marvel. Fu grazie a Mark Millar che Slott entrò nel giro dei grandi nomi. Lo sceneggiatore scozzese, a causa di un malanno, aveva lasciato vacante un posto al ritrovo annuale degli autori, e gli editor avevano invitato Slott a presenziare. «Stando in quella stanza, conosci tutto ed è più facile vendere agli editor una storia, perché sai già come si inserirà nel grande schema.»

Durante il successivo ritrovo fu annunciato il primo, radicale, reboot dell’Uomo Ragno. Le varie testate dedicate al personaggio non vendevano tutte allo stesso modo. Amazing Spider-Man era la capolista delle classifiche, le altre stagnavano nelle zone basse. L’idea era semplice: convogliare tutte le storie in un’unica serie, Amazing, e farle uscire tre volte al mese. Le logistiche, un po’ meno. A coordinare l’impresa fu chiamato Steve Wacker, ex-editor DC che aveva supervisionato senza intoppi il progetto settimanale 52.

Nelle parole di Slott, gli editor non volevano nomi che dominassero la stanza, volevano quattro autori che sapessero lavorare di sponda gestendo insieme le trame. Lo sceneggiatore, consapevole di poter trattenere l’ego per il futuro, si prostrò al ruolo di rimessa. Usando una sua espressione, «mi chiamarono perché non ero un cane alfa».

Insieme a lui, Marc Guggenheim, Bob Gale e Zeb Wells avrebbero lavorato su una nuova versione del personaggio. L’evento, chiamato Un nuovo giorno, vedeva uno Spider-Man giovane, single, senza un lavoro fisso e con un cast di comprimari che mischiava nuove entrate a volti noti delle prime annate della serie (un redivivo Harry Osborn, Flash Thompson, Betty Brant).

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Era una versione che abbandonava le precedenti sperimentazioni e ancorava la storia alle atmosfere metropolitane degli inizi. Un nuovo giorno poneva l’accento sulle disavventure di Peter («L’Uomo Ragno è Peter Parker e non viceversa» scriveva Tom Brevoort nel manifesto programmatico) e guardava alle origini della testata con uno sguardo contemporaneo.

Un nuovo giorno funzionò bene, riproponendo le dinamiche dello Spider-Man delle origini e adattandole al contesto contemporaneo, ma Slott era spesso troppo letterale: per lui essere contemporaneo significava fare riferimenti a Girls Gone Wild o a Snookie di Jersey Shore, dimostrando scarsissima lungimiranza su ciò che sarebbe potuto resistere alle sedimentazioni della cultura pop (FYI: l’edizione italiana sostituì questi due esempi, rispettivamente, con le Pussycat Dolls e Paris Hilton). L’intero team si fece condizionare da Spider-Man 2, il film di Sam Raimi che aveva saputo cogliere molto bene lo spirito del supereroe. E forse anche per questo Slott scelse lo stesso cattivo del film, il Dottor Octopus, per farlo diventare uno dei personaggi cardine della sua gestione.

L’incarico monopolizzò le attenzioni del gruppo perché «anche quando non stai scrivendo sei coinvolto in centinaia di scambi di e-mail, fogli condivisi su Google, telefonate». Secondo Slott, i colleghi finirono col bruciarsi, e il brain trust dovette trovare dei sostituti, poi individuati nelle figure di Mark Waid, Fred van Lente e Joe Kelly.

Dopo due anni gli editor si accorsero dell’impraticabilità dell’operazione, e Slott presagì la fine dell’incarico. Pensò che avrebbero fatto piazza pulita del team e che «avrebbero affidato Amazing a qualche pezzo grosso, tipo Matt Fraction o Ed Brubacker». Invece, Wacker lo confermò come unico scrittore della serie, a patto che abbandonasse ogni altro lavoro e che fosse in grado di reggere i ritmi di produzione.

Amazing Spider-Man passò alla bimestralità, e la gestione di Dan Slott iniziò effettivamente qui, nell’autunno 2010, con l’arco narrativo Alla grande. Le differenze di approccio si notarono subito. Lasciato da solo, Slott abbandonò molte delle idee presenti in Un nuovo giorno, tra cui la concezione giovanile di Peter, e le trame si aprirono a vicende meno urbane.

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Uomini Ragno a confronto

Dal 2000 a oggi ci sono grossomodo tre persone che hanno modellato i fumetti di Spider-Man: Dan Slott, Brian Michael Bendis (autore di Ultimate Spider-Man e co-creatore di Miles Morales) e J. Michael Straczynski.

Quest’ultimo fu l’artefice del rinnovo del personaggio in un momento delicatissimo: il cambio di secolo, in cui la Marvel stava ripensando se stessa, le proprie ricchezze interne e la percezione delle stesse presso il pubblico generalista. Straczynski faceva parte di quell’ondata di autori esterni, non cresciuti in seno all’industria fumettistica, capaci di un distacco che era estraneo ai più. La loro prospettiva avrebbe potuto fornire nuove letture di eroi compassati.

Lo scrittore rispettò le promesse e cambiò lo status quo del personaggio. Lo trattò da adulto, gli trovò un lavoro come insegnante nella sua vecchia scuola, inventò una nuova galleria di cattivi, si focalizzò sui rapporti personali e soprattutto indagò sulla natura profonda dei poteri dell’Uomo Ragno. Cercò di fare sistema, di rendere coeso un universo che gli pareva vagabondare da una storia all’altra.

Nella riscrittura dello sceneggiatore, il ragno che aveva morso Peter non era stato mutato dalle radiazioni, era un essere mistico che cercava di passare al ragazzo i poteri, rendendolo un totem. Esisteva una razza intera di esseri-ragno e altrettanti individui desiderosi di ucciderli. Per Straczynski, l’Uomo Ragno non era un evento miracoloso, figlio di coincidenze incredibile, ma il filo di una tela più grande.

Quello che faceva l’Uomo Ragno nella serie era una metafora per quello che Straczynski faceva con il personaggio. Quando Peter tornava nella propria scuola la descriveva come «un po’ degradata, coperta di scritte, [con] un clima di violenza». Diceva che aveva solo bisogno di un po’ di cura e amore, qualche aggiustatina, qualche rimodernamento che lui e Straczynski erano pronti a offrire. Lo sceneggiatore diceva ai lettori fedeli di lasciar andare il passato. Utilizzò poco i vecchi cattivi e quando lo faceva li tratteggiava sempre come elementi vestigiali.

Straczynski diresse benissimo anche i comprimari, in particolare zia May, alla quale riservò alcuni dei momenti migliori della gestione. In La conversazione, la donna scopriva il segreto del nipote e i due passavano l’intero albo a parlare dei motivi dietro la scelta e dei sensi di colpa che entrambi covavano verso episodi passati (zio Ben era uscito di casa – incontrando il suo assassino – per colpa di un litigio con la moglie). Ne emergeva una donna imperfetta, tenace e lontana dall’immagine a cui ci avevano abituati schiere di scrittori: la fragile vecchietta che anche il refolo di vento più impalpabile avrebbe potuto spezzare.

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In alcuni passaggi la sua opera scivolò poi nel ridicolo, in parte per colpe non imputabili all’autore. Peccati dal passato e Soltanto un altro giorno furono saghe criticatissime in cui Straczynski lamentò l’intromissione degli editor. In Peccati del passato Peter scopriva che Gwen Stacy, l’amore perduto dell’eroe, aveva avuto due gemelli con Norman Osborn. I lettori contestarono la rivelazione, che oltraggiava il ricordo di una persona importantissima per Spider-Man. Nelle intenzioni dello scrittore, Peter sarebbe dovuto essere il padre, ma l’idea fu cassata in corso d’opera perché «avrebbe invecchiato troppo il personaggio». Per lo stesso motivo l’allora caporedattore Marvel, Joe Quesada, lo forzò ad elaborare Soltanto un altro giorno, in cui si cancellava il matrimonio di Peter e Mary Jane, portando lo status quo di Spider-Man alla situazione vista in Un nuovo giorno.

Attraverso questi elementi (la relazioni che non ingranano, si fermano e ripartono, il tentativo di Peter di fare del bene anche quando non veste la calzamaglia rosso-blu, il retaggio dei poteri) Straczynski rispondeva a modo suo alla domanda contro cui tutti gli autori hanno sbattuto la testa. Cosa rende Spider-Man inequivocabilmente Spider-Man? Cosa posso togliere senza farlo diventare un altro personaggio? Qual è il minimo necessario che serve per caratterizzarlo in maniera distinguibile dal resto del panorama supereroistico?

Nei primi 25 numeri di Amazing Spider-Man realizzati da Stan Lee e Steve Ditko, l’Uomo Ragno era un giovane all’ultimo anno di liceo. Viveva gli orrori e le promesse dell’adolescenza, l’ansia, la rabbia. Le avventure rimanevano ancorate il più possibile alla quotidianità. Lee vedeva Spider-Man come un eroe d’azione che snocciolava battute smargiasse. Quando si metteva la maschera, Peter spernacchiava i propri avversari, bullizzandoli come lui era stato bullizzato dai compagni di scuola. Peter era tutt’altro che simpatico e amorevole come la vulgate ci porterebbe a pensare.

Per Ditko, seguace dell’Oggettivismo randiano, l’obiettivo era quello di rendere Peter un uomo emancipato che esprimeva il proprio dissenso verso la società dell’epoca, più reazionario che liberale. Nel segmento di storie in cui Lee lasciò carta bianca al partner creativo, Peter andava al college, conosceva Gwen Stacy, era tutt’altro che una pasta d’uomo, si arrabbiava, era egoista. Le tensioni tra i due autori produssero una serie che divenne matura e, verso gli ultimi numeri disegnati da Ditko, adulta.

Con l’arrivo di John Romita alle matite, la testate abbracciò in toto l’elemento romance che scorreva sotterraneo alle storie del personaggio. Peter era un giovane calato nel proprio tempo, appoggiava le lotte per i diritti di civili e si opponeva alla guerra in Vietnam. Terminata l’era d’oro della serie, una serie di autori offrì il proprio contributo, attenendosi per lo più alle linee guida di Lee e Romita.

Tom DeFalco, per esempio, disse che il fulcro del personaggio stava nella responsabilità. E quale responsabilità più grande di essere un adulto o dover provvedere a una famiglia? La risposta che si diedero Joe Quesada e gli autori nel 2007 fu invece opposta: ciò che caratterizza Peter è la giovinezza. Spider-Man è Spider-Man non quando ha una station wagon e le rate del mutuo ma quando cerca di barcamenarsi tra lavori precari, vita privata e supercattivi.

Ora la domanda «Chi è l’Uomo Ragno?» non ha più senso di esistere come ne aveva dieci anni fa. Spider-Man ha smesso di essere un personaggio monolitico. È un prisma, e le storie che ci passano attraverso si frantumano in tanti riflessi diversi. C’è lo Spider-Man adolescenziale, incarnato da Miles Morales. Spider-Gwen, Silk e Spider-Woman rappresentano l’alternativa femminile in varie fasce d’età, Spider-Man 2099 la declinazione sci-fi, Ragno Rosso quella nostalgica, Venom quella tormentata a malvagia. Cercare di definire Peter Parker come personaggio, però, è una missione ancora inevasa.

La visione di Slott

In questi ultimi anni Slott ha raccontato versioni diverse dell’eroe: scapestrato, alla ricerca di stabilità, adulto, in carriera. Ha cercato, non sempre riuscendoci, di mantenere fede a uno dei pochi principi rispettati da tutti gli autori: anche quando vince, l’Uomo Ragno perde. Sconfigge il criminale di turno, ma per farlo deve dare buca alla sua ragazza o trascurare sua zia. Nel caso di Slott: ha fondato un’azienda all’avanguardia con ricavi multimilionari, ma poi per il bene comune l’ha dovuta far fallire mandando sul lastrico piccoli risparmiatori, dipendenti e investitori.

Proprio la lunga permanenza ha privato Slott di una visione unitaria. Non c’è un’idea forte in tutto il suo ciclo che getti nuova luce sul personaggio o ne restituisca uno sguardo personale. Il suo Uomo Ragno è un po’ quello classico, un po’ quello ereditato da Straczynski, un po’ un Iron Man senza i problemi di ego.

«Spider-Man può fare tutto», ha raccontato a Vulture. «La gente crede che sia solo un personaggio urbano, ma non è così. Può portare la sua sensibilità da personaggio urbano e il suo umorismo in tutto quello che gli fai fare.»

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«Si può fare qualsiasi cosa, purché alla fine rimetti i giocattoli al loro posto.» Slott afferma con altre parole ciò che ricordava Peter David in una puntata della rubrica But I Digress…: l’importante è mantenere quella «illusione del cambiamento» che Stan Lee predicava come regola aurea.

Con Slott, Amazing Spider-Man è diventato spesso e volentieri un techno thriller e Peter, oltre a implementare il costume con aggiornamenti avanguardistici, si è trasformato in un «Tony Stark dei poveri.»

Le saghe e le tematiche

Slott è uno scrittore affascinato dalla morte. Si perde il conto di quanti archi narrativi parlino di mortalità: Nuovi modi per morire, Nessuno morirà più, Desiderio di morte, Il complotto del clone (in originale Dead No More). Attorno a un lutto particolare gioca quello che resterà uno dei momenti fondamentale della gestione: la morte dell’Uomo Ragno. In Amazing Spider-Man #700 Peter muore e il Dottor Octopus ne rivendica il corpo, in una versione supereroistica del genere body swap. La svolta narrativa non giungeva inaspettata: Slott aveva disseminato indizi nel corso degli anni, prima introducendo e poi ponendo l’accento svariate volte sulle connessioni mentali che Peter e il Dottore avevano stretto in avventure recenti.

Amazing cambiò nome in Superior Spider-Man, il costume e i modi del Tessiragnatele si fecero aggressivi. Nei panni di Peter, Octavius comprendeva suo malgrado la lezione “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” e decise di riparare a modo suo tutte le storture della sua nuova vita da eroe. Slott scavò nella psiche di Otto e mostrò i turbamenti di un uomo che, da giovane, non era stato tanto diverso da Peter. Scelte sbagliate e comportamenti meno accorti di quelli di Peter lo avevano però trasformato nel supercriminale che i lettori avevano conosciuto negli anni. Non c’era stato nessuno zio Ben a rimetterlo sulla buona strada. Ora, però, in questa seconda giovinezza, Octavius trovava l’amore e mostrava un briciolo di compassione (solo verso i bambini).

La storia vendette bene ma costò a Slott le minacce di morte di qualche fan un po’ ingenuo che aveva già derubricato Peter Parker dalla lista dei viventi. «Tutti vogliono che Charlie Brown colpisca la palla» disse, individuando la nevrosi che affligge buona parte del fandom online. «Ma quella non è una bella storia. Lucy che gliela toglie da sotto i piedi per l’ennesima volta è una grande storia. Non si tratta di dare al pubblico ciò che vuole ma di giocare con ciò che vorrebbe, di giocare con quelle aspettative.»

L’altro passaggio topico è Ragnoverso, saga che ha sdoganato l’utilizzo informale degli Spider-Man provenienti da altre dimensioni. Per la storia, Slott ha colto gli spunti lasciati dalla gestione di J. M. Straczynski e dal videogioco Spider-Man: Shattered Dimensions (dove i protagonisti erano gli Uomini Ragno di varie realtà) e ha imbastito una saga che ruota attorno allo scontro tra i vari Spider-Man e la casata degli Eredi, vampiri psichici che si nutrono dei ragno-totem.

Un tempo limitate a incursioni da what if (Spider-Man 2099) o parodistiche (Spider-Ham), le declinazioni del personaggio hanno fatto sistema, prestandosi a una storia dal respiro epico. Da Ragnoverso è poi scaturito un sottogenere di prodotti mash-up come Spider-Gwen, una delle creazioni di maggior successo degli ultimi anni, ulteriori saghe (Spider-Geddon) e perfino un acclamato film d’animazione con protagonista Miles Morales, Spider-Man – Un nuovo universo.

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È del 2014 l’altra storia simbolo della gestione, Diventare un arrampicamuri. Disegnata da un Ramón K. Pérez che porta nel XXI secolo lo stile di Steve Ditko, la miniserie raccontava le pieghe nascoste dell’adolescenza di Peter.

Diventare un arrampicamuri rifondava il mito di Spider-Man esplicitando un sottotesto diventato palese negli anni: quando è l’Uomo Ragno, Peter Parker è un bullo che inferisce sugli avversari tanto quanto i compagni di scuola infierivano su di lui. Incapace di lasciarsi alle spalle i soprusi subiti li perpetua sugli altri.

Nella storia, Peter è appena diventato Spider-Man e le sue gesta ispirano un altro nerd, Clayton Cole, che si inventa l’identità di Crash e chiede l’aiuto del Tessiragnatele per diventare a sua volta idolo delle folle. Lo schema è simile a quello de Gli Incredibili, in un cui un fan passionario aspira a diventare l’eroe che venera ma viene frenato in partenza perché non abbastanza preparato, non abbastanza eroico. Come per il film di Brad Bird, la differenza tra eroe e fan è la natura divina dei loro poteri: le capacità di Spider-Man e Mr. Incredibile sono un dono dall’alto (di nascita o comunque per un volere esterno), quelle di Sindrome e Crash sono tutto frutto dell’ingegno personale.

Sia ne Gli Incredibili che in Diventare un arrampicamuri l’eroe si macchia del peccato di non aver avuto tatto nell’affrontare la situazione, ma nel caso di Peter questo sbaglio è ripetuto nel tempo e non c’è un solo momento in cui cerchi di far ragionare il coetaneo o di parlargli senza prima umiliarlo.

Slott ha implementato lo schema del ragazzino studioso che trova realizzazione nella vita supereroica un’infinità di volte nel corso della sua tenuta. Per i casi già citati del Dottor Octopus e Clayton Cole, ma anche per un altro, sfortunato, esempio, Alpha, uno dei suoi scivoloni più plateali. Alpha raccontava la storia di Andrew Maguire, un giovane che, proprio come Peter, passava da emarginato a supereroe, sognando di diventare la spalla dell’Uomo Ragno. Era l’ennesima reiterazione dello schema visto in Diventare un arrampicamuri, nonché una storia “a tesi” secondo cui non esistono ragazzi coscienziosi e chiunque si farebbe traviare dai superpoteri. Tutti, tranne Peter. In filigrana, allora, è la stoicità d’animo a brillare come tratto distintivo del personaggio.

Finire col botto

Le ultime due saghe scritte per Amazing, La caduta delle Parker Industries e L’ultimo volteggio, sono un buon esempio del lavoro di Slott. In esse, l’autore ha inserito tutti gli elementi della sua gestione e, soprattutto, ha tenuto fede alla promessa di «rimettere i giocattoli al loro posto». In Amazing Spider-Man #800 Slott ha riportato Peter alle dinamiche di Un nuovo giorno, cambiate quel tanto che basta per fornire «l’illusione del cambiamento»: un lavoro al Daily Bugle (nell’inedito ruolo di caporedattore del settore scientifico), scapolo, ancorato al tessuto cittadino.

Ne La caduta delle Parker Industries vengono fatti svariati riferimenti al primo episodio scritto da Slott. Da Un nuovo giorno cita (non si sa quanto consciamente) anche un montaggio in cui Peter veniva scartato a vari colloqui di lavoro. Un’inquadratura laterale mostrava da parte i datori di lavoro e dall’altra un Peter sempre più abbacchiato nel vedersi negare le posizioni. Ora la scena è rappresentata in modo identico, ma è Peter a essere dall’altra parte della scrivania, impegnato a liquidare dipendenti e azionisti. E, come agli inizi, a ogni stacco è sempre più affranto. A ricordarci che, perfino in una condizione più agiata, Peter è deferente. Anche quando vince, perde.

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Compaiono inoltre Griffin, un supercattivo caro a Slott (fu l’antagonista della prima storia di Spider-Man letta da bambino), e trova le pagine per far fare una comparsata a Johnny Storm, il cui team-up con l’Uomo Ragno era stata la prima storia ragnesca scritta dal Nostro; poi Crash, il ragazzino che aveva introdotto in Diventare un arrampicamuri, Silk, il nuovo Doc Ock.

Infine, al capolinea delle sue storie, Slott ha voluto mettere il più classico degli scontri, quello tra Spider-Man e Goblin. Peccato che L’ultimo volteggio tratti Norman Osborn con una leggerezza impensabile per un conoscitore della Storia Marvel come Slott.

Nel 2002, la saga Una morte in famiglia aveva spinto a esiti estremi il rapporto simbiotico tra Spider-Man e Goblin. Estremo era il ragionamento che aveva portato Paul Jenkins a domandarsi perché quei due non facessero altro che combattersi da una vita. Una morte in famiglia metteva in scena tutti gli elementi che contraddistinguevano la loro relazione, ma spinti all’eccesso: l’efferatezza (Norman trasmette in televisione la ripresa della morte di Gwen Stacy, poi manda in coma Flash Thompson), il sadismo, il bisogno reciproco che sfocia nell’imbarazzo di vedere Goblin e Spider-Man chiacchierare e ridere come fossero amici.

Per Jenkins la pazzia di Norman presentava aspetti giocosi ma era sempre ricondotta a un piano intimo. Le caratteristiche di uno scontro tra i due sono sempre state di natura personale. Ne L’ultimo volteggio l’elemento personale è del tutto assente. Norman vede Peter come un ostacolo, non un fine. Lo ammette pure: gli basta che stia fuori dai giochi, perché il suo scopo è un altro (il nipote Normie, visto come erede da proteggere, peccato che poi se ne dimentichi e passi a voler sconfiggere Spider-Man senza una reale motivazione). Il lettore percepisce la posta in gioco soltanto per il power-up di stampo videoludico che vede Goblin unirsi a Carnage, una soluzione che ai giocatori dello Spider-Man del 2000 suonerà familiare.

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È una chiusa coerente con gli ultimi centottanta albi della serie. L’atmosfera è da terzo atto di un blockbuster, disimpegnata, alla ricerca costante dell’effetto, del momento concitato. La sua concezione di gravitas è spostata sul piano fisico più che su quello emotivo (c’è una morte ma è gestita con un pathos minimo).

Per soddisfare quest’ultima esigenza, Slott sceglie come commiato il numero successivo, Amazing Spider-Man #801, contenente Lì per te, una coda disegnata da Marcos Martin. Ambientata tra il presente e i primi anni di carriera dell’Uomo Ragno, mostra la prima volta il momento in cui il personaggio usò l’espressione «il vostro amichevole Uomo Ragno di quartiere» e si ricollega al primo arco narrativo di Un nuovo giorno. Fanno infatti una comparsata i Demoni Interiori, gli scagnozzi di Mister Negative, i primi avversari che Slott aveva scelto come antagonisti per il suo Uomo Ragno. E, adesso, anche gli ultimi.

La storia svela le ripercussioni di un singolo gesto eroico nell’arco di una vita delle tante persone salvate dal supereroe. Ecco che allora, alla fine, si intravede una minima lettura di Slott per il personaggio: essere l’Uomo Ragno significa compiere quotidianamente piccoli atti di responsabilità e eroismo disinteressato, senza preoccuparsi delle ricompense, sapendo che, ogni tanto, il rapporto tra salvato e salvatore può essere vicendevole.

Si chiude a cerchio, quindi, il percorso tracciato da Slott per Spider-Man. Lo fa con qualche sentimentalismo di troppo, ma tenendo conto che è il suo arrivederci al personaggio, e gli si può perdonare l’eccesso di stucchevolezze.

Tirare le somme

La gestione Slott passerà alla Storia per la sua gittata record, per i primati di vendita (con due albi, il n. 1 del 2014 e il n. 800 del 2018, da mezzo milione di copie) e per il serbatoio di personaggi e situazioni, ma difficilmente verrà ricordata tra anni come una delle migliori del personaggio o tra le più iconiche della Marvel.

Perché Slott è aderente alla logica delle storie, anche quelle più arzigogolate, e meno all’emotività dei personaggi. Quando cerca l’empatia con il lettore manca per il bersaglio per eccesso, scrive dialoghi espositivi e poco naturalistici proprio per questa sua ansia di dover giustificare ogni azione in maniera rigorosa.

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Esempio di dialogo espositivo molto poco delicato. I personaggi si dicono vicendevolmente cose che sanno già, solo per poterle dire al lettore.

Sapeva bene che la regola d’oro show, don’t tell gli avrebbe preso tempo. Scalpicciare sulla tastiera dialoghi pedanti deve essere stata la sua idea di sopravvivenza di fronte alle scadenze incombenti; ci hanno però rimesso la naturalità e la scorrevolezza del parlato. Ogni conversazione era un ponte tra la scena A e la scena B. In questa splash non c’è nulla di naturale, l’obiettivo è gasare il lettore. Tutto sembra forzato, financo imbarazzante.

Pur senza prospettive inedite, Dan Slott ha donato un vivaio di personaggi e dinamiche da sfruttare per chiunque si prenderà la briga di recuperarli. Magari uno di quei rari bambini che ancora legge le storie dell’Uomo Ragno, un giorno, le scriverà anche. Le scriverà tenendo a mente le avventure immaginate da Slott. Ricorderà non le parole che hanno scritto gli altri di lui ma le avventure e le lezioni che ha imparato leggendo i suoi albi.

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