Alex Ross è un fumettista riluttante. I fumettisti riluttanti sono disegnatori che si sono fatti conoscere con il fumetto, che con il fumetto hanno raggiunto i traguardi lavorativi più importanti, ma che a un certo punto si sono disaffezionati al mezzo e gli hanno preferito altre attività – magari più lucrative – come il designer, il concept artist per film, tv e videogiochi o il copertinista. Altri esempi famosi sono: Travis Charest, Kevin Maguire, Joe Madureira.
Ross in realtà di fumetti campa ancora: è stato direttore creativo di Dynamite Entertainment, curando alcune serie (Phantom, Project Superpowers), realizzando soggetti e design dei costumi dei personaggi e delle copertine. Nel 2015 ha riallacciato i rapporti con Marvel Comics diventando il copertinista stabile di varie testate (Amazing Spider-Man e Avengers in testa). Oggi per la casa editrice realizza variant a profusione e sta per portare a termine il suo primo lavoro da disegnatore di interni dopo anni di inattività. Ma le sue opere complete si contano sulle dita di una mano.
Eppure, con una manciata di fumetti ha saputo traghettare i supereroi in luoghi inesplorati. I contribuiti per cui passerà alla storia sono il dittico Marvels e Kingdom Come, realizzati rispettivamente per Marvel Comics (con Kurt Busiek ai testi) e DC Comics (su sceneggiatura di Mark Waid). Le opere raccontano il passato e il futuro dei due universi. Marvels riguarda ai momenti topici del Novecento marvelliano, Kingdom Come proiettava gli eroi DC nel loro crepuscolo.
Ross è noto per lo stile compassato, magniloquente e teatrale dei suoi dipinti. Molte volte l’inquadratura è storta, con la linea dell’orizzonte inclinata in un dutch angle, che secondo l’autore conferisce maggior dinamicità alla scena e cala lo spettatore «nel momento». Le copertine degli ultimi anni sono per la gran parte realizzate con questa impostazione. Una delle composizioni utilizzata spesso è anche quella della spianata di personaggi le cui dimensioni non cambiano, siano essi in primo piano o sullo sfondo, che proviene da The Right to Know di Norman Rockwell (anche se il nome a cui Ross deve l’impronta realistica è quello del pittore Andrew Loomis).
Non è quindi un caso che la definizione più spesso associata allo stile di Ross sia quella di «George Pérez incontra Norman Rockwell». Ross fonde lo stile anni Settanta del fumettista newyorkese e la resa senza tempo dell’illustratore del Saturday Evening Post. Se applicate questa formula a visioni del passato (Marvels, Uncle Sam) o del futuro (Kingdom Come, la trilogia X), ottenete un colpo d’occhio abbastanza preciso sulla sua produzione.
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Per conoscere la poetica di Alex Ross, la lettura obbligatoria è Mythology (Pantheon Books, 2006), un art book biografico scritto e progettato graficamente da Chip Kidd e con fotografie di Geoff Spear. Il libro, pubblicato all’inizio degli anni Duemila, scandagliava la sua produzione targata DC Comics e la sua vita fino ad allora, mostrava il processo creativo e svelava le influenze del fumettista.
In Mythology si scoprivano i valori fondativi del disegno second Ross. Nato nel 1970, il Nostro raccontava di come il suo senso estetico fose germogliato in quella decade di serie tv dedicate a Wonder Woman e Spider-Man e immagini molto poco high-tech. La sua ricerca estetica ritorna sempre a quei tessuti, a quei tagli, a quelle forme che lo avevano intrattenuto negli anni giovanili. A tredici anni di distanza arriva invece Marvelocity, un companion piece che recupera i discorsi interrotti da Mythology integrando l’altra grande metà della produzione di Ross, quella per Marvel Comics.
Marvelocity non è il solito libro illustrato/biografico e nemmeno il coffee table book da regalare a quell’amico o parente i cui gusti restano sconosciuti salvo per il ricordo che «gli piacciono i fumetti». Perché è scritto e progettato graficamente da Chip Kidd, esuberante designer di copertine (Jurassic Park, 1Q84, Black Hole, All Star Superman) nonché autore di libri dedicati al fumetto (Batman: Death by Design, Bat-Manga!, Jack Cole and Plastic Man).
Come nel precedente volume, Kidd imposta la lettura come se fossimo in un film ad alto budget. In Mythology un breve prologo carico d’enfasi anticipava il titolo del libro, stampato su un’immensa illustrazione dal taglio teatrale. Mancava solo la colonna sonora in crescendo. Qui si fa la stessa cosa, giustapponendo i disegni infantili di Spider-Man alle massicce rappresentazioni del personaggio realizzate da adulto, per poi mettere il titolo del libro a tutta pagina.
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Se i modi sono gli stessi (in copertina Capitan America, in posa frontale come lo era Superman), i risultati differiscono. È un libro diverso, perché c’è più materiale eterogeneo − concept di film, bozzetti, studi −, ma rispetto a Mythology manca di ardore. Per due motivi. Innanzitutto, Mythology faceva il punto su una carriera che aveva dato tantissimo a un disegnatore appena trentenne e che sembrava ancor più promettente di quanto già lo fosse stata. Marvelocity però scopre che Ross in questo ultimo lasso di tempo non è che abbia mantenuto granché quelle promosse, cambiando interessi professionali.
L’altra, vera, pecca è che Marvelocity non racconta Ross bene come l’altro libro, forse perché traspare dalle pagine che l’affetto del disegnatore verso questi personaggi è molto meno sentito di quello che provava per gli eroi DC. E anche perché molto del materiale prodotto negli ultimi anni di lavoro per la Marvel è manieristico e non altrettanto carico di pathos. In Marvel ha realizzato prodotti strutturati sulla scia di Kingdom ma non altrettanto memorabili, come la trilogia X (Terra X, Paradiso X e Universo X).
Ciononostante, Marvelocity è il tassello mancante nel racconto di una carriera, imprescindibile per ogni appassionato dell’autore, in attesa di vederla completata con la raccolta in un terzo volume degli altri lavori sparsi (Metodology? Modernity? You read it here first).
Marvelocity: The Marvel Comics Art of Alex Ross
di Alex Ross e Chip Kidd
Pantheon Books, ottobre 2018
cartonato, 312 pp, colore
50,00 $