Un cuore ingrugnato campeggia sulla locandina della nuova mostra del museo MAXXI di Roma, presieduto dall’ex ministro Giovanna Melandri e tempio dell’arte contemporanea (del XXI secolo, per l’appunto). È il cuore di Zerocalcare, proprio il suo, motore e fulcro dello strabiliante allestimento che fino al prossimo 10 marzo sarà possibile visitare, al prezzo di dieci euro (inferiore a quello cui ormai sono giunte le altre mostre: dodici, quattordici, anche diciotto euro).
Strabiliante, sì. Perché è strabiliante che tanto spazio e tanta cura siano dedicati a un “fumettaro”, perché è strabiliante il successo che questi ha avuto e che a ogni nuovo libro fa parlare di lui come del “portavoce di una generazione”.
Ma quale generazione? La sua è quella dei centri sociali, del G8 di Genova, dei cortei in piazza e della militanza, siamo sicuri che sia la generazione di tutti? Michele Rech l’ho conosciuto leggendo i suoi fumetti attaccati ai muri del Forte Prenestino. Nove anni dopo ritrovo quegli stessi fumetti sui muri del MAXXI. Se non è strabiliante questo.
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Il cuore è al centro della mostra, il cuore che Zerocalcare mette in tutto quello che fa e che non tradisce mai, nonostante gli accolli, nonostante l’ingombrante successo non preventivato e malgestito. Dalle locandine per i concerti punk di quando era adolescente, ristampate e attacchinate per l’occasione, agli striscioni per i NoTav, per l’Unione Sindacale di Base e per le manifestazioni #MaiConSalvini degli ultimi tempi.
Zerocalcare è uno straight edge, quella declinazione del punk (ormai lo sanno tutti) che rifiuta qualsiasi sostanza che possa alterare la coscienza: alcol, caffè, sigarette, droga. La cosa rara è che la sua coscienza non è stata alterata nemmeno dal successo, non si è smossa di un millimetro da quando disegnava locandine a oggi. È tenuta su da un rigore assoluto ed evidente, molto spesso dichiarato nei balloon, che ha radici profondissime mai scalfite, di appartenenza a una comunità con valori specifici mai messi in discussione.
Se il personale è politico, come si diceva negli anni Settanta, Zerocalcare è la prova vivente che non era solo uno slogan, non erano parole vuote. Nei tempi bui che stiamo vivendo, in cui i fossati e i coccodrilli non sono solo rappresentazione di una condizione emotiva ma soprattutto metafora della paura del diverso, perversamente cavalcata dalla propaganda demagogica, hai voglia a parlare del “ruolo dell’intellettuale”.
Intellettuale o no poco importa, il suo ruolo Zerocalcare lo ha chiaro da sempre ed è fare quello che sa fare, senza tradire la sua coscienza e la sua coerenza, valore che molti dimenticano in fretta. Hai voglia a rosicare, a dire che non sa disegnare, a sminuire il suo valore. Che un artista sbatta in faccia al pubblico la sua coerenza in questo modo è una specie di miracolo, non accorgersene è miope e sciocco.
Ma dicevamo della mostra. Oltre al cuore c’è un’altra cosa abbastanza evidente, che percorre il lavoro di Zerocalcare in lungo e in largo, sfacciatamente o sotterraneamente: la memoria.
La memoria che è un “ingranaggio collettivo”, come scritto in uno dei suoi manifesti per l’anniversario di Genova, e che serve a non dimenticare le proprie radici e i propri santi, l’impegno civile ma anche il rancore. Perché Zerocalcare ha un carattere schivo, si scava fossati intorno al cuore e non dimentica. Mai. Niente. Nel bene e nel male.
La memoria è alla base di molti suoi lavori (Dimentica il mio nome per primo) ed è, come il cuore e la coerenza, un elemento fondante del suo essere. Quella stessa memoria che ripesca le icone dell’infanzia e le promuove a maestre di vita. La sala forse più commovente della mostra è quella dedicata al “pop”, in cui risuona in loop la sigla dei Cavalieri dello Zodiaco, da un tablet su cui scorre una gif del piccolo Michele davanti al suo cartone animato preferito. Cosa sarebbe Zerocalcare senza la memoria? Niente.
E poi, alla fine, non scordiamo la cosa più importante. Che Zerocalcare fa ridere! Fa sbellicare dalle risate come pochi altri autori! La mostra è disseminata di tavole dei suoi libri e qua e là ci sono commenti inediti, appositamente disegnati sul muro dall’autore, forse ancora più divertenti delle tavole stesse.
La suddivisione in quattro settori specifici (pop, tribù, lotte e resistenze, non-reportage) è molto azzeccata e corredata dai testi di Oscar Glioti, stampati su fogli in distribuzione gratuita. Sempre Glioti si è occupato della cronologia biografica, di cui è tappezzato il muro lungo le scale dell’ingresso. Tutta la vita di Michele, intelligentemente intrecciata ai fatti di cronaca che hanno segnato la sua militanza.
E poi ci sono i tablet su cui sfogliare i taccuini, i video con contributi esterni di vario tipo, tutti i suoi lavori a disposizione per la lettura, perfino un tavolo a forma di gigantesca testa di armadillo. È una mostra ricca, allestita benissimo e strabordante di contenuti. Vale tutti i soldi del biglietto.