Nel corso della sua carriera Warren Ellis è stato scrittore di blockbuster intellettuali, scrittore su commissione, scrittore per passione, scrittore indie, scrittore popolare, scrittore di fumetti che più che storie erano dichiarazioni d’intenti o piccoli trattatelli su argomenti a lui cari.
Per questo il personaggio di Warren Ellis è comunque difficile da inquadrare (Marco Andreoletti ne ha parlato meglio di chiunque altro). Ellis ha zizgagato per l’industria fumettistica come pochi altri autori. Di certo non gli piacciono le relazioni durature, tanto per cominciare. Né con gli editori né con le serie che scrive. Certo, nella sua carriera si è lasciato andare a lunghi momenti di fedeltà, ma la maggior parte dei suoi scritti si è sviluppata su periodi di tempo ben precisi e contratti altrettanto a scadenza.
L’altra cosa che si può dire è che, ciononostante, anche le sue opere più estemporanee hanno lasciato un segno, mostrando come Ellis fosse «il futurologo per eccellenza del fumetto inglese, uno dei pochissimi a darci l’impressione di leggere davvero del futuro e non di una versione tutta lucette e colori sgargianti del nostro presente». Extremis, la storia che copre gli unici sei numeri che abbia mai scritto per Iron Man, ha ripensato l’eroe contribuendo a portarlo nel nuovo millennio e fornendo la base su cui poi Kevin Feige e i suoi hanno saputo costruire l’impero dei Marvel Studio.
Non si può dire lo stesso della sua ultima fatica Shipwreck, una delle prime opere pubblicate dalla neonata AfterShock, editore fondato da ex-dipendenti Marvel e DC Comics. Shipwreck racconta del dottor Shipwright, uno scienziato che cerca di salvare la Terra costruendo una tecnologia che gli permette di viaggiare su altri pianeti. La sua intenzione è quella di individuarne uno che possa ospitare gli essere umani prima che sia troppo tardi.
Questa breve sinossi è in realtà il sunto di buona parte del volume, la cui storia comincia a ingranare quando ormai le pagine stanno per finire. Si presenta il problema già evidenziato per Trees, un’estenuante decompressione che porta il fumetto a sfilacciarsi in scene vuote, esoteriche e d’atmosfera ma narrativamente inutili.
C’è un’idea semplice dietro, un’idea (fanta)scientifica, un’idea filosofica, quella di andare avanti. Di fronte a un pianeta che non è più in grado di sostenerci, la razza umana decide di abbandonare la madre Terra e andare avanti.
C’è, però, anche un Ellis che non sembra intenzionato a sprecare energie per una giocata di cui conosce lo scarso valore. Immagino il gruppo di AfterShock scorrere tra la lista di contatti nel loro rolodex e pescare il bigliettino di Ellis, immagino Ellis acconsentire annoiato alla proposta e poi lo immagino rifilargli una vecchia sceneggiatura mezza scritta pescata dal penultimo hard disk.
Ellis e il disegnatore Phil Hester, che qui sfoggia un tratto particolarmente mignolesco nella rappresentazione dei corpi, riescono infatti a mettere su carta l’ostilità, l’arsura e la desolazione delle ambientazioni, grazie anche ai colori di Mark Englert. C’è un forte senso di minaccia tutto attorno al protagonista, e il suo naufragio in un mondo che non conosce è comunicato con efficacia.
Invece che raccontare una trama convenzionale, il team creativo è più interessato a sostenere la lettura con un tema, quello dei cerchi concentrici, e costruisce quasi tutte le scene in modo da portare avanti l’idea di una discesa da girone infernale, attraverso suggestioni, personaggi indefiniti, dialoghi stranianti («Mi piaci sei un uomo che cammina. Camminare è rispettoso se lo fai per lunghe distanze. Dimostra che sei consapevole della tua storia. Non fai nulla per scontato») situazioni nebulose che vengono chiarite solo in parte, motivi visivi (i pattern dei corvi che girano in cerchio), i dialoghi sulla manovra “auger” (il movimento dell’aereo che si avvita), l’insistenza sulla forma circolare di loghi, cicatrici, occhi, il sole, le spirali del mare o quelle di polvere.
Purtroppo resta tutto in superficie, e sfugge il vero cuore di questo viaggio nelle viscere di un mondo alieno che Ellis voleva raccontare. Niente lavoro sui caratteri, niente intrecci serrati. Il protagonista passa un po’ di tempo con un personaggio, solitamente enigmatico, conturbante e bizzarro, ci scambia qualche dialogo e poi si sposta al personaggio successivo, finché il flebile filo del discorso si conclude senza troppe cerimonie.
Pur riservando qualche lampo discreto – soprattutto a livello di immagini: un astronauta in mezzo ai cammelli, una campana nel deserto – Shipwreck compie lo stesso percorso dei fatti che racconta: gira a vuoto su se stessa.
Shipwreck
di Warren Ellis e Phil Hester
traduzione di Andrea Toscani
brossurato, 148 pp., colori
19,90 €