20 anni fa, per la precisione nel settembre del 1998, arrivò nelle edicole e nelle fumetterie statunitensi il primo numero della nuova serie di Daredevil, un albo che – con il senno di poi – segnò l’inizio di una grande rivoluzione per Marvel Comics. Quell’albo fu il primo a uscire con in copertina il marchio “Marvel Knights” (in Italia tradotto letteralmente come “Cavalieri Marvel”), la neonata etichetta editoriale curata da Joe Quesada e Jimmy Palmiotti che avrebbe cambiato il modo di fare fumetti in Marvel.
Leggi anche: 20 fumetti da ricordare usciti nel 1998
Le origini
All’epoca, Quesada e Palmiotti erano due trentasettenni autori di fumetti (disegnatore il primo, inchiostratore il secondo, ma entrambi all’occorrenza anche sceneggiatori) con un passato tra Marvel, DC e Valiant Comics, su testate come Batman: La spada Azrael, X-Factor e Ninjak. Nel 1994 avevano fondato una propria piccola etichetta editoriale, la Event Comics, con la quale pubblicavano fumetti di supereroi come Ash (con protagonista un super-pompiere) e Painkiller Jane (sulle vicende di un’agente di polizia diventata vigilante dopo aver acquisito poteri rigeneranti).
Fu a loro che un dirigente della Marvel dell’epoca, Joe Calamari, si rivolse per rivitalizzare alcuni personaggi di secondo piano della casa editrice, similmente a quanto avevano fatto un paio di anni prima Jim Lee e Rob Liefeld per l’evento “La rinascita degli eroi” – occupandosi per un anno, tra il 1996 e il 1997, di Fantastici Quattro, Iron Man, Capitan America e i Vendicatori – ma senza uscire in questo caso dai binari della continuity e soprattutto senza poter contare su personaggi di serie A.
«[La rinascita degli eroi] era essenzialmente una dimensione parallela. Noi non stiamo riprogettando tutti questi personaggi, perché a volte i cambiamenti sono una cosa orribile. Cambiare il costume di un personaggio è una cosa da poco, e non cambia davvero il personaggio. Vogliamo puntare in alto e dire “Non dovreste acquistare questi fumetti per il costume ma per il contenuto”» dichiararono Quesada e Palmiotti nel 1998, all’alba della loro avventura.
Come raccontato da Sean Howe su Marvel comics. Una storia di eroi e supereroi, c’erano due cose in loro che più di tutte attrassero Calamari: «Una era che bevevano e facevano festa anche a Hollywood, e avevano venduto alcune loro creazioni alla DreamWorks; e Calamari pensava che i loro contatti nell’ambiente cinematografico sarebbero tornati utili. La seconda era che erano diventati famosi lavorando con budget ridotti». In quegli anni, la Marvel versava infatti in condizioni finanziarie piuttosto critiche, era sull’orlo della bancarotta, e anche la situazione societaria era piuttosto turbolenta.
Ai due neo editor fu assegnato un ufficio nell’attico del palazzo dove allora risiedeva la Marvel e un pacchetto di quattro testate da rivitalizzare: Daredevil, Punisher, The Inhumans e Black Panther. «Volevamo far vedere alla Marvel che eravamo in grado di realizzare i loro personaggi meglio di loro» avrebbe poi dichiarato Palmiotti. L’idea dei due era quella di rendere Marvel Knights una sorta di equivalente della linea Vertigo di DC Comics, con storie dalle tematiche più adulte e realizzate da alcuni dei migliori autori disponibili (e, in molti casi, con un approccio post-moderno che avrebbe anticipato la moda del decennio successivo). «Stiamo lavorando con autori con i quali volevamo lavorare o abbiamo lavorato in passato e stiamo cercando di realizzare i migliori fumetti possibili» commentò invece Quesada.
I primi titoli
Daredevil – considerata la testata ammiraglia della neonata etichetta – fu affidata per i primi numeri al regista e appassionato di fumetti Kevin Smith (Clerks, In cerca di Amy), che, accompagnato ai disegni dagli stessi Quesada e Palmiotti, spinse sull’aspetto religioso del personaggio di Matt Murdock, mettendogli davanti un presunto nuovo messia (incarnatosi in una neonata). Sulle dinamiche lavorative, Smith dichiarò di aver lavorato sul personaggio più di quanto fosse stato fatto negli anni precedenti: «Ho avuto zero pressioni dalla Marvel o da Quesada e Palmiotti, e ho potuto cambiare alcune cose e farne quadrare altre». Dopo molti anni, Daredevil tornò nella top ten dei fumetti più venduti.
Gli Inumani, parallelamente, si ritrovarono a dover fronteggiare guerre interne alla loro comunità, in un thriller con toni da fantapolitica in 12 parti scritto da Paul Jenkins (proveniente dalla Vertigo) e disegnato da Jae Lee. Il tentativo principale degli autori fu quello di rendere gli Inumani distintivi da tutto ciò che offriva l’Universo Marvel, in particolare da mutanti, esseri con super-poteri e umani.
Pantera Nera fu rilanciato dall’esperto sceneggiatore afroamericano Christopher Priest (anche noto come Jim Owsley) e dal disegnatore Mark Texeira. La serie dedicata a quest’ultimo fu definita la più “non convenzionale” di tutte da Quesada al momento del lancio: «Sarà un po’ stravagante. Allo stesso tempo, il nostro Pantera Nera, il nostro T’Challa, sarà quello che pensavamo dovesse essere Batman. Avrà un’incredibile affinità con lui, ma senza le psicosi che ha Bruce Wayne».
L’unico flop – in termini soprattutto di critica – fu la miniserie dedicata al Punitore, affidata agli scrittori Christopher Gold e Tom Sniegoski, che fecero morire il vigilante per poi farlo tornare in scena come angelo vendicativo, in storie dalle forti – e decisamente atipiche – venature sovrannaturali disegnate da Bernie Wrightson. Il tentativo di ricreare il Punitore in versione horror però ebbe vita breve e fu accantonato in modo – giustamente – piuttosto frettoloso.
Gli autori prima di tutto
Al di là di questa singola eccezione, a quel punto Quesada e Palmiotti si ritrovarono tra le mani una macchina produttiva di successo, e convincere così gli autori più caldi di quegli anni a lavorare per conto loro divenne una formalità. Il primo a essere contattato fu lo sceneggiatore scozzese Grant Morrison, una delle colonne della Vertigo di quegli anni grazie a titoli come Animal Man, Doom Patrol e The Invisibles. Il suo primo lavoro, in coppia con il disegnatore J.G. Jones, fu la miniserie Marvel Boy (2000), con protagonista un alieno della razza dei Kree, la cui nave spaziale viene distrutta da un malvagio imprenditore terrestre e che per vendetta quasi rade al suolo New York. «Volevo che il mio eroe fosse un emerginato» avrebbe poi raccontato lo stesso Morrison. «Un ribelle irritabile con una certa propensione per una sacrosanta distruzione di massa.»
Negli stessi mesi, approdarono in Marvel altri due autori provenienti dalla Vertigo, e in particolare dalla serie Preacher, lo sceneggiatore Garth Ennis e il disegnatore Steve Dillon, che ripresero il Punitore fingendo che la versione angelica del personaggio di un paio di anni prima non fosse mai esistita. I due diedero alle storie del personaggio un taglio crudo e allo stesso dissacrante. In pratica, un incrocio fra i film western di Sergio Leone e i cartoni animati di Chuck Jones.
Da Hollywood, oltre a Kevin Smith, arrivò anche Bob Gale, sceneggiatore e produttore della trilogia di Ritorno al futuro, che scrisse uno speciale natalizio di Ant-Man e un ciclo di storie di Daredevil, entrambi disegnati da Phil Winslade, ma con risultati trascurabili.
Parallelamente, Quesada e Palmiotti intrapresero anche una campagna di scouting, per cercare talenti fino ad allora lontani dal giro del fumetto mainstream. Il nome su cui puntarono maggiormente fu quello di Brian Michaels Bendis, autore di fumetti autoprodotti come Jinx, Goldfish e Torso, che fu nominato nuovo sceneggiatore di Daredevil (in coppia con il disegnatore di origine bulgara Alex Maleev). Lo stile cinematografico dei dialoghi di Bendis si adattò molto bene alle atmosfere noir richieste dagli editor per la serie, e lo sceneggiatore presto fu “promosso” su Ultimate Spider-Man, testata di punta della nuova linea Ultimate della Marvel. Da lì, il passo per diventare il principale sceneggiatore della casa editrice per i successivi 17 anni sarebbe stato molto breve.
Per garantire maggiore libertà a tutti questi autori, nel 2001 la Marvel fece una mossa importante, liberandosi delle limitazioni imposte dalla Comics Code Authority, l’organo di censura dei fumetti nato nel 1954 e al quale erano sottoposte tutte le principali case editrici. In pratica, per poter essere distribuito ed esposto normalmente negli scaffali di edicole, supermercati e fumetterie, un albo a fumetti doveva prima essere sottoposto al vaglio della CCA, che valutava eventuali contenuti violenti o sessualmente espliciti o ancora blasfemi. La Marvel si creò un proprio codice interno, il “Marvel rating system”, che indicava il target di ogni singolo albo. Quelli della linea Marvel Knights furono perlopiù pubblicati con l’indicazione “Parental Advisory” (ovvero fumetti adatti a lettori di 15 anni o più).
Quesada e Palmiotti puntarono inoltre fin da subito a migliorare la qualità degli albi sotto tutti i punti di vista, come dichiarato qualche anno dopo da Quesada a MTV: «Volevamo far diventare la scrittura più sofisticata, ma anche la parte artistica: tecniche di colorazione migliori, lettering migliore. Volevamo digitalizzare e computerizzare tutto quello che potevamo». Per la colorazione di tutti gli albi fu inizialmente scelto lo studio di Brian Haberlin, che dal 1995 gestiva uno dei primi studi dediti alla colorazione digitale del mondo del fumetto americano.
L’eredità
I cambiamenti apportati da Quesada e Palmiotti però furono notevoli sul modo di influenzare il mercato: dopo un decennio in cui il nome del disegnatore era sempre stato messo davanti a quello dello sceneggiatore in copertina e nelle pubblicità, la situazione stava cambiando. Le vere star del fumetto stavano diventando gli scrittori, e il loro spostamento da una testata all’altra poteva far oscillare le vendite più di ogni altra cosa, persino più dei nomi dei personaggi.
Da supereroi di serie B, Daredevil e Punitore si trovarono a richiamare le attenzioni delle più importanti case di produzione cinematografiche, in un periodo in cui i cinecomics stavano iniziando a prendere piede sul grande schermo. Nel 2003 uscì Daredevil, diretto da Mark Steven Johnson e interpretato da Ben Affleck (uno dei migliori amici di Kevin Smith, tra le altre cose), mentre l’anno successivo fu la volta di The Punisher, diretto da Jonathan Hensleigh, con Thomas Jane nel ruolo del protagonista. Negli anni successivi, il nome “Marvel Knights” fu scelto anche dai Marvel Studios per la produzione di film in linea con i fumetti dell’etichetta, come Punisher: War Zone (2008) e Ghost Rider – Spirito di vendetta (2012).
Grazie al successo dell’etichetta, già nel 2000 Joe Quesada fu nominato editor-in-chief di Marvel Comics come successore di Bob Harras, e i principi applicati ai “Cavalieri Marvel” si estesero al resto della casa editrice, con risultati spesso esaltanti. Grant Morrison fu incaricato di rilanciare gli X-Men, Brian Bendis rifondò i Vendicatori, e gli sceneggiatori emergenti dell’epoca – tra cui i britannici Mark Millar e Warren Ellis – furono ingaggiati per scrivere personaggi di primo piano come Spider-Man o Wolverine. Oltre agli sceneggiatori, in quegli anni furono assunti anche alcuni editor noti per i loro lavori in Vertigo, come Axel Alonso (assegnato alle testate di Spider-Man prima di diventare, nel 2011, editor-in-chief) e Stuart Moore.
Nata come un’operazione dal sapore effimero – così come era stato per “La rinascita degli eroi” – l’etichetta Marvel Knights ha poi resistito fino al 2013, subendo nel corso degli anni anche qualche necessario cambiamento di rotta. Ma il modello da essa imposto nei primi anni di vita è diventato sempre di più il punto di riferimento principale di una casa editrice che, all’alba del nuovo millennio, stava per entrare in un momento decisivo della propria storia, con il sempre più massiccio tentativo di invasione dell’industria cinematografica. E pensare che, senza quell’albo di Daredevil del settembre 1998, forse tutto questo non sarebbe mai successo.