Tra i nuovi prodotti editoriali di questa primavera un certo interesse va rivolto alla nuova collana Umami pubblicata da Star Comics, da sempre attenta alle novità e ai classici che provengono dal paese del Sol Levante. La collana è pensata espressamente per la libreria e presenta le opere di alcuni dei più importanti interpreti della narrativa giapponese a fumetti in un formato che ammicca ai classici tascabili, ma che ricorda tanto i volumi Strade Blu della Mondadori quanto gli Einaudi Stile Libero.
Il debutto di Umami è stato affidato a Uzumaki di Junji Ito, da poco ritornato sul mercato italiano grazie all’edizione integrale di Tomie (J-Pop, 2017), opera con cui aveva esordito nel lontano 1987, destando l’interesse dei lettori e guadagnando un posto di rilievo tra i grandi del manga dell’orrore.
Unanimemente riconosciuto come l’erede spirituale di Kazuo Umezo – di cui abbiamo recensito il fondamentale Aula alla Deriva –, Ito condivide il gusto per il body horror e le mutazioni della carne di mangaka come Suehiro Mauro o Shintaro Kago, ma possiede un’attitudine che oserei definire grand guignolesca per la maniera in cui pone in scena le sue fantasie.
I suoi personaggi, mai sopra le righe e quasi vessati da un destino incommensurabile, recitano con remissività la propria parte in un dramma già scritto, ma non per questo prevedibile. Anzi, spesso al centro dell’azione vi sono sentimenti elementari e situazioni ordinarie che svelano all’improvviso risvolti macabri. Immergersi nei racconti di Ito lascia addosso una sensazione claustrofobica e fastidiosa, un senso di impotenza e di costrizione, come se fossimo sprofondati in un incubo da cui districarsi con estrema difficoltà. Ito innerva nel quotidiano un non so che di perturbante, una sensazione di straniamento che tocca nervi scoperti.
Uzumaki è un manga che non si discosta dallo schema narrativo già affrontato in Tomie, dove il format del racconto breve viene inserito in una cornice più ampia, ma qui Ito preferisce una narrazione minimale e in questo caso circolare, che per certi versi asseconda concettualmente il tema cardine della vicenda che viene affrontata: quello della spirale.
Nel piccolo paesino di Kurouzu, stretto tra il mare e le ripide colline circostanti, incominciano a verificarsi eventi inspiegabili. Nel primo capitolo facciamo la conoscenza di Kyrie Goshima, una studentessa liceale, e del suo fidanzato Suishi Saito: testimoni inconsapevoli dell’isteria che sta colpendo la cittadina. Tra le prime vittime vi è proprio il padre del ragazzo, ossessionato da tutto ciò che presenta motivi a spirale. Ito sembra quasi presentarci un semplice caso di isteria, ma all’improvviso questa leggera follia si trasforma in puro delirio. Di là in poi pagina dopo pagina, tutto viene pervaso dalla spirale: dalla vegetazione che si ripiega su se stessa sino ai corpi degli abitanti di Kurouzu.
Ito procede per accumulo, disegnando un enorme affresco, cesellando con un tratto realista e minuzioso il vorticoso inabissamento di un’intera comunità nel maelström della pazzia: ogni racconto è quasi un mondo a sé stante, tutto ritorna al punto di partenza, tutto quello che succede sembra quasi svanire nella memoria collettiva. La stessa Kyrie, testimone e voce narrante, è afflitta da un’amnesia parziale e volutamente dimentica tutto sino a quando la situazione non precipita, ma conservando quasi un’apatica speranza. Diversamente, Suishi è consapevole sin da subito del tracollo a cui tutti sono destinati permanendo in quelle lande maledette.
Al di là della narrazione, che può risultare ridondate e debole nel finale, quasi forzato nel suo crescendo apocalittico, quello che rende Uzumaki un’opera di fondamentale importanza nella carriera dell’autore è da un lato la carica simbolica degli eventi narrati, dall’altro la capacità di fondere fonti disparate che vanno da H.P.Lovercraft a Stephen King passando per Dante Alighieri.
Uzumaki ci parla della vita quotidiana, della prigionia delle abitudini, delle ossessioni collettive che fanno diventare realtà le paure. Sembra quasi di assistere allo sprofondare della ragione durante gli anni Quaranta dello scorso secolo, al concretizzarsi della disumanità nei campi di concentramento, alla violenza quasi animalesca che rende un popolo massa, un indistinto groviglio di vili sentimenti, al perdurare sotto altre vesti della stessa identica pazzia.
Ito tratta l’argomento trasversalmente, ricorrendo al racconto di genere, fondendo le suggestioni per l’arcano e l’oscuro delle mitografie lovecraftiane con la poetica del King di IT: Kurouzu è la Innsmouth, la città immaginaria di Lovecraft (sebbene vi siano rimandi anche al racconto I ratti nei muri apparso su Weird Tales nel 1924), ma anche e soprattutto Derry, la città che fa da sfondo a molte storie di King, con la stessa idea di male primordiale e di ciclicità, nonché con l’amnesia collettiva, simbolo di una più reale volontà all’insabbiamento e al rimosso tipico della civiltà moderna.
Ma Uzumaki è anche e soprattutto una riflessione sulla colpa, sulla necessaria palingenesi ciclica del cosmo, sulla latenza della memoria: è una discesa nei gironi danteschi, dove i peccati e la vanagloria umana si riverberano nelle ossessioni della carne in un ciclo infinito e senza sosta. La spirale, sequenza aurea e armonica, in cui si specchia l’ordine e l’equilibrio del cosmo, diventa in Junji Ito perversione e decadenza, diventa un simbolo della marcescenza e del caos, conquistando così un inedito posto nell’immaginario e nella letteratura dell’orrore.
Uzumaki voll. 1 e 2
di Junji Ito
traduzione di Ernesto Celie e Chieko Toba
Star Comics, 2018
brossura, 322 e 340 pp., bianco e nero
16,00 € a volume