Tutte le cose belle a un certo punto finiscono. Cominciamo allora dalla fine del principio. Torniamo al 2008, dieci anni fa, quando nelle sale venne proiettato il primo, grande film dedicato a Iron Man, protagonista Robert Downey Jr. con Gwyneth Paltrow e Jeff Bridges: un cast inedito di attori di serie A per un film di supereroi (in questo caso prodotto dai Marvel Studios), che tra alti e bassi comunque stavano portando avanti parecchie storie Marvel tra cui quelle molto note degli X-Men, dopo la ripartenza cinematografica con il Blade interpretato da Wesley Snipes nel 1998.
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Torniamo a Iron Man, film a lungo atteso, emozionante e convincente, grazie anche all’ottima regia di Jon Favreau ma soprattutto all’interpretazione e al soggetto a più mani, tra le quali anche quelle del produttore e architetto dell’operazione, Kevin Feige. Torniamo in quella sala dove abbiamo visto Iron Man sino alla fine, abbiamo aspettato che iniziassero i titoli di coda, li abbiamo fatti scorrere sin quasi alla fine e siamo arrivati al termine dell’ultimo rullo di pellicola. Lì abbiamo trovato la prima scena “post-credits” dei Marvel Studios.
Non fu assolutamente la prima volta che un film ricorreva a questo tipo di “trucco”: già in La grande rapina al treno del 1903 c’era stata una sorpresa alla fine dei titoli di coda, e in tempi più recenti la storia del cinema aveva registrato la prima scena post-credits al termine di Ecco il film dei Muppet del 1979. Ma quella di Iron Man (scritta peraltro da Brian Michael Bendis, autore molto popolare di fumetti Marvel) era destinata a cambiare la storia, perché, cogliendo di sorpresa i ritardatari che si apprestavano a uscire dal cinema, lì comparve all’improvviso Nick Fury, interpretato da Samuel L. Jackson, che accoglieva Tony Stark al ritorno nella sua villa e lo assicurava che c’erano altri supereroi in giro oltre a Iron Man, e poi gli parlava della Iniziativa Vendicatori: «Lei è entrato a far parte di un universo più grande, solo che ancora non lo sa. Sono qui per parlarle della Iniziativa Vendicatori».
Fu l’inizio di una tradizione che vuole un momento in più nei cinema durante la proiezione di un film del Marvel Cinematic Universe (MCU), ma fu anche la nascita dell’universo stesso. Ad esempio, in Iron Man 2, nella scena finale, attesa dai fan con la serietà di chi sperava che il miracolo si ripetesse, comparve Phil Coulson (interpretato da Clark Gregg, fantastico “man in black”) che in New Mexico guidava fino a un cratere dove scopriva un grosso martello che si era schiantato al suolo e lo segnalava ai suoi superiori.
Così ebbe inizio quella che viene chiamata la “fase uno” del MCU, la prima delle tre viste finora: una traiettoria che ha attraversato dieci anni di storia del cinema. Siamo arrivati infatti a 19 titoli, incluso Avengers: Infinity War, e prima di terminare la terza fase dobbiamo ancora vedere Ant-Man and the Wasp (2018), Captain Marvel (2019) e il misterioso Avengers 4 (2019).
Poi? Ci sarà anche una fase quattro, nonostante Kevin Feige abbia spiegato che l’MCU dopo Avengers 4 sarà una cosa nuova, non esattamente una fase quattro. Questo nonostante si sappia che ci sono già contratti (e riprese cominciate) per almeno due film: Spider-Man: Homecoming 2 (2019) e Guardiani della Galassia Vol. 3 (2020). Nella gestione di questa nuova fase giocheranno un ruolo importante anche i contratti degli attori, la gestione delle property e tutto il resto.
10 years. Over 18 movies. A special thank you to all of the fans. pic.twitter.com/rW6wcNzmih
— Marvel Studios (@MarvelStudios) 10 aprile 2018
Cosa succede però a una serie di film centrata su un gruppo di supereroi incarnati da attori di calibro quando questi attori, cioè Robert Downey Jr., Chris Evans e Chris Hemsworth, se ne vanno? Su questo è interessante speculare perché consente di fare un po’ di ragionamenti sul quadro generale, cioè sulla cosa più interessante che sia successa grazie ai Marvel Studios, ovvero la nascita di un universo come Hollywood non ne aveva mai visto e le conseguenze sul modo di raccontare storie sul grande schermo (e non solo) che questo comporta.
Un universo in espansione
Cominciamo con un po’ di statistiche: i 19 film finora hanno in tutto raccolto 13-15 miliardi solo al box office. Cinque altri film sono in arrivo nel giro di due anni. Un ciclo decennale che ha resuscitato la carriera di Robert Downey Jr., creato nuove star (come Tom Hiddleston), cominciato ad attrarre gli A-talent di Hollywood, da Benedict Cumberbatch a Tilda Swinton, messo in movimento delle icone (da Anthony Hopkins a Michael Douglas a Robert Redford) e raccolto persino tre Chris: Hemsworth, Evans e Pratt. Chi ha messo in moto tutto questo? Non è stato Nick Fury o Captain America a mettere in fila tutti questi personaggi, tra buoni e cattivi. È merito invece di Kevin Feige, che ha trasformato il modo con cui si fanno i film sui supereroi, mescolato le carte e cambiato tutto, incluso la cultura popolare.
È l’universo cinematico Marvel, bellezza. E lo insegnano addirittura all’università di Baltimora, dal 2014 (il corso di Media Genres: Media Marvels tenuto da Arnold T. Blumberg), come chiave di lettura della cultura pop contemporanea. Parte dal classicissimo viaggio dell’eroe di Joseph Campbell nella vulgata hollywoodiana di Christopher Vogler e affronta di petto l’interconnessione continua e costante di film e telefilm di Marvel, che a loro volta sono in relazione con i fumetti da un lato e con la cultura moderna dall’altra. Insomma, l’MCU è diventato centrale, generativo di mitologie e, perché no, molto più serio di quanto non si possa immaginare.
Se a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento erano i romanzi di evasione, la letteratura da stazione (poi da aeroporto, da noi da edicola) a interpretare il sentimento popolare, ammaliarlo e distrarlo, nel Novecento sono stati i comics, sino ad arrivare ai cartoni animati (in massa, anche giapponesi) e poi i telefilm, nuovo “romanzo popolare” della nostra epoca. Ma adesso è il cinema a riguadagnare un ruolo paradossalmente inedito per il grande schermo: trasformarsi nell’arena che amplifica le gesta degli eroi e permette di fabbricare interi universi.
L’idea innovativa di Feige, se vogliamo parlare del versante della produzione, è stata quella di creare un approccio da albo a fumetti alla produzione di blockbuster cinematografici: gli eroi, i supereroi e i supercattivi che percolano da un film all’altro, hanno cambiato anche il modo con il quale costruiamo la cultura pop. Per gli appassionati, vedere i propri beniamini appartenenti ad archi narrativi diversi che si incontrano, come Doctor Strange che chiacchiera con l’Uomo Ragno o con Black Panther, è fenomenale. E comincia a dare una stranissima sensazione “spaziale”: l’idea che l’universo esista, che ci sia un continuum spazio-temporale nel senso che tutti quanti vivano e agiscano magari in posti diversi ma dello stesso universo. Le conseguenze sono spettacolari.
Se l’inizio formale del MCU è stato insomma l’incontro inaspettato fra Nick Fury e Tony Stark nella megavilla con vista oceanica di quest’ultimo, l’inizio reale è stata la serie di film successivi che hanno davvero messo in campo la promessa di una “Iniziativa Vendicatori”. Che ha rivoluzionato il mondo di Hollywood, costruendo un franchise gigantesco, rimettendo in moto cinquant’anni di storie e di proprietà intellettuali e prendendosi dieci anni di tempo per preparare un climax come non se ne erano mai visti.
Intendiamoci, l’MCU non è una idea completamente nuova: anzi, è più o meno una trasposizione cinematografica delle storie a fumetti dei supereroi (e non solo). Anzi, se Umberto Eco non avesse investito tempo e lavoro per sdoganare i fumetti passando per l’opera di supereroi solitari per antonomasia o personaggi insulati in un microcosmo irraggiungibile (su Apocalittici e integrati), avremmo scoperto la coralità e la trasversalità del racconto attraverso tutta una casa editrice, il superamento del singolo momento di difficile closure (come si fa ad avere una closure efficace in un albo, se poi la storia deve tornare anche il mese dopo?), la nascita delle narrazioni ondeggianti, circolari, trasversali, parallele, diagonali: dal crossover ai gaiden, dai reboot ai prequel, flashback, flashforward e flashsideways con tutto quel che c’è in mezzo.
Cosa succede adesso, però? Ricapitoliamo un attimo la lunga teoria di film che compongono l’UCM divisi per fasi (come nei fumetti: cicli e dentro i cicli le fasi):
• Fase 1:
Iron Man (2008), L’incredibile Hulk (2008), Iron Man 2 (2010), Thor (2011), Captain America: Il primo Vendicatore (2011), Avengers (2012).
• Fase 2:
Iron Man 3 (2013), Thor: The Dark World (2013), Captain America: The Winter Soldier (2014), Guardiani della Galassia (2014), Avengers: Age of Ultron (2015), Ant-Man (2015).
• Fase 3:
Captain America: Civil War (2016), Doctor Strange (2016), Guardiani della Galassia Vol. 2 (2017), Spider-Man: Homecoming (2017), Thor: Ragnarok (2017), Black Panther (2018), Avengers: Infinity War (2018), Ant-Man and the Wasp (2018), Captain Marvel (2019), Avengers 4 (2019).
• Fase 4:
Spider-Man: Homecoming 2 (2019), Guardiani della Galassia Vol. 3 (2020).
Intanto, mettiamo un altro punto fisso: è stato lo stesso Feige a spiegare che nella sua attività di world-building è stato fortunato:
«I contratti degli attori in scadenza non sono stati un fattore troppo determinante. Abbiamo avuto persone sotto contratto per fare alcuni film e poi abbiamo avuto nuove idee e nuove direzioni per sviluppare il tutto, come Civil War, e siamo stati abbastanza fortunati da riuscire a firmare nuovi contratti con gli attori».
L’elefante al centro della stanza è ovviamente Infinity War, l’inizio della fine, la storia che segna il punto di svolta, anzi l’inizio del climax costruito con i film precedenti. In buona sostanza, scatena la rivoluzione che è necessaria una volta che si è lavorato per costruire un universo più o meno coerente e popolato di personaggi e di storie. Il climax – la definizione è dello stesso Feige – si concluderà con Avengers 4 e porterà a qualcosa di nuovo.
Perché una cosa è certa: dopo Infinity War e Avengers 4 l’MCU diventerà molto, molto differente. Gli attori che ancora ci stanno lavorando sono nascosti nei vari set, ad esempio ad Atlanta (vero hub per le ultime produzioni dei Marvel Studios) e parlano poco, oppure lasciano capire ma fino a un certo punto: forse con una certa dose di ingenuità è stata Evangeline Lilly, già protagonista di Lost e prossima Wasp, a suggerire lo strumento narrativo con il quale Avengers 4 transiterà tutto l’universo cinematico Marvel dalle prime tre fasi alla quarta:
«Ant-Man e Wasp sono personaggi esperti del regno dei quanti, della meccanica quantistica. E nel film [Ant-Man and the Wasp] provano tutto ciò che è in loro potere per entrare nel regno dei quanti e tornare indietro, perché hanno avuto prova nel primo film che Scott Lang è stato capace di farlo. Se lui ha potuto farlo, perché noi no? Se riusciamo a rifarlo, allora questo apre un intero nuovo multiverso in cui entrare e con il quale giocare. Non sono io l’autrice della storia, per questo non posso dirvi cosa potrà succedere con tutto questo. Ma ci vedo definitivamente del grande potenziale». (Alla faccia dello spoiler!).
Thank You pic.twitter.com/IP3tLSwQmS
— Kevin Feige (@Kevfeige) 30 aprile 2018
Tutto è connesso
Veniamo ora alla genesi e allo sviluppo dell’MCU: la prima nozione da apprendere è di metodo. I Marvel Studios hanno costruito un sistema meta-narrativo per cui le storie non sono in sequenza: sono in “continuity“. Quello che succede in una stanza cambia il modo in cui lo spettatore pensa a quello che contemporaneamente succede in una strada di un’altra città. E soprattuto quel che potrebbe succedere dopo.
La narrazione all’interno dell’MCU quindi è costruita attorno all’idea di una meta-narrazione che attraversa, tocca e cambia tutto. Se ad esempio Thor combatte a Greenwich e l’osservatorio astronomico viene semidistrutto durante l’allineamento dei pianeti detto “Convergenza”, questo cambia come percepiamo la storia di Doctor Strange e di Spider-Man a New York.
L’idea di costruire una meta-narrazione di questo tipo, come abbiamo visto, non è nuova. E dà un grande senso di profondità. Avere un “mondo” con cui giocare non è una cosa nuova: per decenni siamo andati avanti a suon di trilogie, sequel, prequel. L’idea di avere una continuity è solo l’ultima grande frontiera da attraversare.
Ma c’è qualcosa di più in questo caso. Perché Marvel ha da un lato i piedi saldamente piantati nei fumetti, che continuano ad essere un opificio di storie (anche se ci sono “aggiustamenti” per tentare di capire se il mondo delle nuvole sia allineabile a quello del grande schermo), ma dall’altro si espande in televisione: Netflix con Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage, Iron Fist, Defenders e infine The Punisher: tutti a New York, in un ambiente che un po’ resiste e un po’ flirta (ma senza troppa convinzione) con gli scenari apocalittici dei film. Dov’è la continuity della New York che viene rasa al suolo una, due, tre volte?
E poi ci sono Agents of S.H.I.E.L.D. e le altre serie (anche gli Inumani, purtroppo, che dalla Luna vogliono tornare e invadere la Terra, cominciando dalle Hawaii) ad arrabattarsi per andare avanti in un universo profondamente diverso dal loro. E come potrebbe essere diversamente: da un lato Tony Stark litiga con Steve Rogers, Loki cerca di fregare il fratello Thor, Nick Fury gestisce l’Iniziativa Vendicatori, tutto di fronte a nemici alieni, superumani, subumani, incarnazioni della morte stessa o di altre energie primordiali, a diretto contatto con le Gemme dell’Infinito che svolgono un ruolo centrale nella mitologia Marvel. Come coniugare il “procedural drama” supereroistico di Agents of S.H.I.E.L.D. con il martello di Thor e l’armatura di Iron Man?
Il problema è di logica, che è il carburante della continutiy. Le regole sono arbitrarie ma vengono stabilite per essere rispettate, dare l’idea di essere “vere” e poi venir superate con sforzi eccezionali. Altrimenti non torna. Altri mondi in cui questa idea era stata sviluppata prima dell’MCU: Star Wars, Star Trek, Harry Potter, Alien e Predator. La differenza è che erano serie che si sono trasformate in franchising infiniti, un po’ come le storie dei topi e dei paperi della Disney: non c’è un’arco perché devono andare avanti per sempre. Invece, non solo Marvel Studios ha costruito un arco che culminerà con Avengers 4, ma ha creato anche personaggi che cambiano.
Perché Thor, Tony Stark, Steve Rogers, Bruce Banner, Loki, Nick Fury, ma anche lo stesso Clint Barton/Occhio di Falco, hanno seguito una strada che li ha portati ad essere persone diverse da quelle che abbiamo conosciuto all’inizio. Uno sforzo narrativo costante, una “radiazione narrativa di fondo” che attraversa l’MCU e che apparentemente non si percepisce, ma che in realtà alla lunga fa emergere un cambiamento profondo, che rende l’esperienza estremamente appagante per l’appassionato che abbia seguito il decennio di film dei Marvel Studios.
Una delle ragioni ovviamente è che l’MCU è una eccezione, nel senso che è stato creato dai Marvel Studios, cioè dal proprietario stesso dei personaggi e delle storie. Non c’è stato un fenomeno di licensing selvaggio, un franchising che cerca solo di allungare e far durare di più la property originale. Questa strada ha avuto un impatto profondo su come Hollywood sta cercando di gestire le altre serie in ponte.
Se Marvel è Coppi, DC Comics è Bartali, e il suo universo composto da Batman, Superman, Suicide Squad, Wonder Woman e Justice League è la grande scommessa che sta venendo male. Ma ci sono ovviamente anche gli altri. Parecchi altri, perché l’idea di un “universo” che sia anche engaging adesso è diventata la buzzword del momento a Hollywood.
James Cameron, così, ha trasformato Avatar in un universo, e altrettanto sta succedendo a Ghostbusters, dopo il tragico reboot di pochi anni fa. Star Trek si sta duplicando e dividendo in due universi paralleli per riuscire a superare i problemi nati negli anni Ottanta-Novanta. Terminator deve essere rifondato come universo e la casa cinematografica Universal, proprietaria della Mummia, sta per espandere il tutto mettendoci dentro anche Frankenstein, Dracula e Fantasma dell’Opera. Intanto Paramount, con Hasbro, lavora per espandere l’universo dei giocattoli aggiungendo ai Transformer anche G.I. Joe. Perché no.
A nessuno in questa fase sembra importare se ci sia una storia da raccontare in più episodi e dove questa storia possa poi andare. E pensare che la mossa chiave di Marvel, cioè quella scena finale dopo i crediti del primo Iron Man del 2008, fu più frutto del caso che non di una pianificazione dettagliata a tavolino. Sempre Kevin Feige in una intervista dopo i primi due film dell’MCU ricordava:
«È nato tutto con un po’ di pianificazione, un pizzico molto grosso di fortuna e con uno studio che è riuscito a rimettere assieme i diritti per Iron Man, Captain America, Thor, Hulk, Ant-Man, Wasp. A differenza degli altri studios, abbiamo un accordo completamente diverso, noi partecipiamo sia con i soldi che con idee molto più degli altri allo sviluppo delle storie, e quindi abbiamo un premio anche economico molto più grande se le cose vanno bene».
È vero: dopo anni che Spider-Man, X-Men, Ghost Rider e i Fantastici Quattro sono stati dati in licenza a Sony, Fox e Columbia, alla fine Marvel ha capito che era meglio se le cose le faceva in casa e ha cominciato a riconquistare i diritti dei suoi personaggi per il grande schermo.
Creare un universo
Prima abbiamo parlato della fine dei film, adesso parliamo dell’inizio, della sequenza iconica che introduce ogni pellicola dei Marvel Studios: nel tempo è cambiata radicalmente e questo mutamento è il miglior termometro di un senso più ampio. Adesso, dopo una sequenza dei suoi personaggi in rapido montaggio, anzi “sfogliaggio” dai fumetti, i volti diventano quelli dei personaggi in carne e ossa dei film: l’universo cinematografico insomma si incarna e si libera anche delle sue radici di carta. Acquistando nel processo persino coscienza che, anziché fare un terzo film di Iron Man o un secondo film di Hulk, era meglio fare un film degli Avengers che portasse avanti una storia collettiva. Insomma, dare più energia al franchising che di solito dopo due o tre film perde un po’ di spinta (avete presente la seconda trilogia di Star Wars, vero?).
E poi? L’intuizione: perché quando si riprendono i film dei singoli supereroi non “riempirli” anche loro di eroi di seconda fila, oppure di camei degli altri, insomma, abbandonare sostanzialmente l’idea di una narrazione solitaria anche nei singoli film e farli diventare in buona sostanza più un assolo di questo o quel supereroe ma sempre davanti al coro di tutti i loro colleghi, più o meno noti? La conseguenza immediata è che ogni film ha bisogno di sempre più personaggi forti, di alzare il livello della narrazione con incroci, conflitti, momenti di commedia, momenti di dramma che devono tenere lo spettatore incatenato alla poltrona del cinema e fargli vedere un intero universo che ruota e si muove in perfetta sincronia davanti ai suoi occhi. Con un problema, però.
Queste scelte hanno portato la Marvel a creare un universo che funziona come una fabbrica e che permette di far ruotare i personaggi sul mercato, senza appesantire o annoiare il pubblico. Insomma, mentre un franchising spera che lo spettatore torni, un universo cerca di fare in modo che non se ne possa mai andare. Però, in un universo complesso, ambiente per definizione corale, è difficile far percepire il singolo film degli Avengers come un media-event, un capitolo spettacolare, definitivo. Serve sempre qualcosa di più, bisogna alzare la posta, gli attori devono essere in grado di dare di più, così come anche i registi, gli effetti speciali, la scrittura, la produzione. Serve, insomma, una mano forte da parte di chi guida la baracca.
E qui entra in campo un altro argomento, fondamentale per chi si occupa di cinema: l’autorialità. Sono stati i critici dei Cahiers du cinéma a coniare il termine nouvelle vague e a creare il mito del regista come Autore con la A maiuscola. Ma chi è l’autore di un film? Il problema si pone fortemente quando il film in realtà fa parte di un universo, cioè di un insieme coerente che parla con una sola voce.
Quello che rimane del film su Ant-Man mai realizzato dal regista Edgar Wright, che abbandonò il progetto nel 2014 a causa di divergenze creative con i Marvel Studios. «Volevo fare un film Marvel, ma non penso che loro volessero davvero fare un film di Edgar Wrigth», ha dichiarato il regista nel 2017 in un’intervista a Variety. «All’inizio ero il regista e lo sceneggiatore. Poi hanno cominciato a lavorare a un nuovo script senza di me. Avendo scritto tutti i miei film, è facile immaginare quanto abbia avuto difficoltà ad accettare una cosa del genere. Così, di colpo, diventi un regista pagato solo per svolgere un compitino qualunque, quindi sei emotivamente meno coinvolto e a un certo punto inizi a chiederti che cosa stai facendo realmente».
Differenze possibili: affidare al talento dei registi l’interpretazione dei personaggi (in qualche modo vicino alla lezione soprattutto del disegno ma anche dello storytelling dei fumetti dei supereroi americani) oppure uniformare tutto al dettato composto della prima fase di esplorazione e ricognizione dei possibili toni? I Marvel Studios hanno scelto la seconda strada. E alcuni registi previsti sono finiti “fuori”, eslcusi magari anche dopo essere stati scritturati, perché troppo “autori”, perché dotati di una voce troppo forte, personale, unica, riconoscibile. Perché, insomma, non hanno saputo adattarsi alla voce che è stata trovata invece nei primi film e che è diventata il marchio di fabbrica dei film dell’MCU.
Sì, perché tra la seconda e la terza fase la voce dei film della Marvel, che ci fosse Iron Man o Ant-Man, che ci fosse Thor o Captain America o infine Doctor Strange, è sempre la stessa, con un mix di dramma, azione e ironia. Mescolati in quantità diverse, ma sempre della stessa qualità, sempre della stessa marca. È la forza ma anche il principale problema dei film dei Marvel Studios: i nerd che seguono la meta-narrazione sono perfettamente consapevoli del meta-discorso, anzi del meta-stile. Ma per gli altri, gli “spettatori qualunque”, quelli dell’MCU sono film un po’ tutti uguali: una festa per gli occhi che a posteriori è difficile da ricordare. E qui, come scrivevo poco sopra, nasce il bisogno di creare un climax, una traiettoria che non si limiti a ingigantire i problemi e le minacce a ogni capitolo della storia, ma che porti la narrazione a conclusioni drastiche, di quelle che colpiscono in faccia lo spettatore.
Così, rispetto ai fumetti le storie si appiattiscono e le generazioni di eroi, i loro problemi e le loro narrazioni, si semplificano di molto. Soprattutto però si polarizzano i personaggi: le ambiguità morali vengono ridotte al minimo, i personaggi sono “riscritti” per dargli una rotondità scontata e banale, niente più tradimenti o problemi “terreni”, niente più atti di insubordinazione verso il reale potere costituito, quello ad esempio del governo americano, cosa che invece nei comics è costantemente in gioco (un esempio: Crystal, la sorella minore di Medusa, moglie di Black Bolt, ha una storia sentimentale complessa e non da “brava ragazza”, fra tradimenti ripetuti e cambi di fronte piuttosto spiazzanti. Nel telefilm prodotto dalla ABC diventa una giovane americana virtuosa e di buona famiglia reale).
Tutte le cose insomma devono finire e, anche se vengono fortemente semplificate e riscritte in parte per renderle funzionali a una narrazione “basic” come quella cinematografica, alla fine i nodi arrivano al pettine e le storie devono trovare una sintesi. Soprattutto, se l’MCU vuole sopravvivere, devono trovare una sintesi che permetta di andare oltre l’attuale generazione di protagonisti, e riscrivere la storia resettandola.
James Gunn, regista di Guardiani della Galassia vol. 3, ha spiegato in una intervista:
«Mi hanno parlato di quel che succederà poi. Sono interessati a quel che potrei fare ma io non ho deciso quale potrà essere il mio ruolo dopo Guardiani 3. Infinity War e Avengers 4 sono la fine di un’era per la Marvel e la fine di una narrazione long-form che è stata portata avanti per dieci anni. Guardiani 3 avrà un ruolo importante nell’inizio della nuova epoca e contemporaneamente nella fine di questa iterazione dei Guardiani della Galassia. Mi hanno chiesto di dare una mano a decidere dove ci porterà tutto questo, e sto partecipando con piacere».
Ci sono ancora tantissime storie che possono essere raccontate e ci sono ancora miriadi di personaggi che sono cresciuti nel pentolone creativo della Marvel per 50 o 60 anni, con storie nuove ogni mese, e che ancora non sono emersi. Dal mondo dei comics Marvel c’è una spinta corale gigantesca, un mondo modellato lentamente e con passione da generazioni di autori. Da quel serbatoio i Marvel Studios possono prendere moltissime gemme e farle diventare feconde, trasformarle in una nuova narrazione da coltivare, in nuovi personaggi da reintepretare. In una teoria cosmologica dell’eterno ritorno, della sequenza dei Big Bang, l’MCU non cesserà di esistere ma sta per entrare in una nuova dimensione. Andando là dove Hollywood non era mai giunta prima.