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“La rosa di Bagdad”: il primo film d’animazione italiano

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di Carlo Ugolotti*

In collaborazione con Urania Casa d’Aste pubblichiamo l’introduzione al catalogo dell’asta che si terrà il 19 maggio a Parma e durante la quale saranno battuti, oltre a illustrazioni e tavole originali di fumetti, molti disegni di produzione del film La rosa di Bagdad, primo lungometraggio italiano d’animazione.

La rosa di Bagdad

«In quel tempo lontano, sulla terra d’Oriente, in quella Bagdad fiorita che aveva mille minareti e mille giardini, viveva un popolo felice e laborioso. […] Era un’epoca di pace, di prosperità, di ordine.»

Mentre il secondo conflitto mondiale infuocava il mondo, il califfo di Bagdad decise di dare in sposa la sua bella figlia Zeila; il piccolo Amin cercava di salvare la sua amata quando, nel resto del globo, le forze alleate combattevano per fermare il progetto di un nuovo ordine nazifascista.

In quel teatro di orrore e violenza che fu l’Europa dal 1939 al 1945, quanto poteva essere anacronistica la dolce favola de La rosa di Bagdad, produzione IMA Film per la regia di Anton Gino Domeneghini? La storia del piccolo maestro di musica di un regno medio-orientale nasceva da un sogno del regista il quale, proprio grazie alla sua tenacia e alla sua ferma convinzione nel progetto, riuscì a resistere alle intemperie della guerra attraversando il caos che porterà l’Italia dalla dittatura fascista alla nascita della Repubblica e al clima della guerra fredda.

La rosa di Bagdad
Angelo Bioletto, disegno di produzione

Ma chi era Domeneghini? Nato nel 1897 a Darfo Boario Terme in provincia di Brescia, dopo l’esperienza come volontario durante la Grande Guerra e avere partecipato all’impresa di Fiume a fianco di D’Annunzio, diresse una società di pubblicità, la IMA (Immagine Metodo Arte), con sede a Milano. Convinto fascista proseguì la sua carriera di pubblicitario finché la Storia non si frappose per la prima volta tra lui e il suo lavoro: durante la guerra, il regime di Mussolini vietò la pubblicità a scopo commerciale.

Per mantenere coeso il suo gruppo creativo con l’incedere della guerra e attiva la sua società, nel 1942 Domeneghini decise di trasformare la IMA in IMA Film e cominciò a elaborare un progetto ambizioso: un lungometraggio animato ispirato a una raccolta di novelle dal titolo Il libro della primavera, pubblicata in gioventù ispirate alle Mille e una notte.

La rosa di Bagdad
Guido Gusmaroli, fondale con sagome applicate

I capitali per questo progetto vennero raccolti dal regista sia tra finanziatori privati sia grazie alle sue conoscenze all’interno del “fascistissimo” Ministero della Cultura Popolare. La produzione cominciò a Milano che allora era la sede privilegiata dell’animazione italiana sia cinematografica che pubblicitaria mentre Roma, soprattutto dopo il neonato interesse del regime per questo mezzo di comunicazione di massa, era la capitale incontrastata delle produzioni “dal vero.”

Un saggio di Walter Alberti del 1957 sul cinema d’animazione motivava questa divisione geografica dell’industria cinematografica utilizzando categorie antropologiche (sic!): «La causa va ricercata nel tipo di tecnica di realizzazione dei disegni che vogliono soprattutto pazienza e costanza, qualità più milanesi che romane.»  I talenti coinvolti dal regista erano di prim’ordine: Libico Maraja e Gildo Gusmaroli alle scenografie, Riccardo Pick Mangiagalli alle musiche originali e l’autore delle figurine Perugina Angelo Bioletto come character designer.

La rosa di Bagdad
Guido Gusmaroli, fondale e personaggi

Nell’ottobre del 1942 ancora una volta la Storia si mise in mezzo tra Domeneghini e i suoi sogni: a seguito dei bombardamenti anglo-americani nel capoluogo lombardo, la troupe si spostò in cerca di tranquillità e sicurezza in due ville (Villa dei conti Secco d’Aragona e Villa Fé) presso Bornato in Franciacorta. La guerra però continuò a funestare la produzione in quanto i nuovi locali erano nei pressi di una stazione ferroviaria, obbiettivo militare degli alleati che volevano ostacolare trasporti e comunicazioni dei nazifascisti: gli animatori erano costretti a interrompere il loro lavoro per cercare riparo dagli attacchi aerei.

Mentre il mondo fantastico de La rosa di Bagdad prendeva forma, a Villa Fé transitavano personaggi appartenenti ad ambedue le fazioni in guerra: da esponenti della Repubblica Sociale a figure come Lucio De Caro, ricercato dai tedeschi e assunto da Domeneghini come montatore. Lo stesso regista a guerra finita venne preso in consegna dai partigiani in quanto convinto fascista ma in seguito liberato; a salvarlo forse fu proprio il suo impegno per La rosa di Bagdad che venne interpretato come un segno di “apoliticità”. 

La rosa di Bagdad
Guido Gusmaroli, rodovetro e fondale

Nell’immediato dopoguerra Domeneghini si recò a Londra presso gli Stratford Abbey Studios di Stroud per colorare il film che venne terminato nel 1949 dove venne presentato alla Mostra del Cinema di Venezia e infine distribuito l’anno seguente sul mercato nazionale.

La rosa di Bagdad ottenne un discreto successo di pubblico e permise di rientrare negli elevati costi di produzione; molto interessante fu l’innovativa campagna adottata per il marketing del film – si ricordi che non a caso Domeneghini era un pubblicitario – realizzata attraverso il lancio di una linea di cioccolatini, quaderni per la scuola a tema e una serie a fumetti (realizzata da Guido Zamperoni). Il trailer presentava – erroneamente – la produzione come il primo lungometraggio animato realizzato in Europa.

Cosa rimane oggi di quel folle progetto che fu La rosa di Bagdad? Come giudicare una produzione di questo tipo all’interno del suo contesto storico? Che ruolo ha avuto nella storia del cinema italiano? Innanzitutto da un punto di vista storiografico ci dice come la cinematografia fascista non abbia mai raggiunto quel grado di totalitarismo, proprio di altre cinematografie quali quella nazista o sovietica, che subordinavano il ruolo del cinema di intrattenimento a quello di mezzo di propaganda: nonostante il progetto mussoliniano di bonifica culturale degli italiani e di creazione di una nuova tipologia di “uomo fascista”, la produzione cinematografica di epoca fascista non fu caratterizzata da una marcata ideologia ma fu costituita soprattutto da prodotti di entertainment che in sottotraccia veicolavano i messaggi del regime.

Il sogno fantastico di Domeneghini infatti, nonostante venne concepito durante la dittatura, non ha nulla di propagandistico, eccezion fatta per qualche piccolo segnale dello spirito dei tempi (tra i tre savi del Califfo vi è un ministro della propaganda e i marchi razziali dei personaggi di colore, malvagi per natura) ma era molto più affine all’intrattenimento favolistico di matrice disneyana piuttosto che alle allusioni mussoliniane di Scipione l’Africano (1937, regia di Carmine Gallone, produzione ENIC).

La rosa di Bagdad
Guido Gusmaroli, rodovetro su fondale

Infatti, nonostante il fascismo usasse sporadicamente l’animazione per celebrare la cultura e la tradizione italiana al fine di sottolineare la continuità tra le glorie italiche e il regime, La rosa di Bagdad preferisce rifugiarsi nelle languide atmosfere sognanti delle Mille e una notte.

Per quanto riguarda la storia del cinema rimane un progetto ambizioso, seppur destinato a non avere alcun seguito, che segna almeno due traguardi nella produzione nostrana: il primo lungometraggio animato (insieme a I Fratelli Dinamite di Nino Pagot, presentato alla medesima Mostra del Cinema di Venezia insieme a La Rosa di Bagdad) e il primo film italiano a colori, anticipando sia  Mater dei (1950, regia di Emilio Cordero, produzione Incar e Parva Film) sia il più noto Totò a colori (1952, regia di Steno, produzione Dino De Laurentiis e Carlo Ponti).

La rosa di Bagdad
Guido Gusmaroli, rodovetro su fondale

Domeneghini sfruttò la chiusura del mercato nazionale rispetto alle produzioni estere operata durante la guerra dal fascismo per aprire la strada a una tradizione di cinema di animazione nazionale, fino ad ora assente per ragioni industriali e culturali, nonostante numerose incursioni di alcuni professionisti del settore nel cortometraggio. Per le difficoltà di produzione e il dilatarsi dei tempi di realizzazione, La rosa di Bagdad venne distribuito fuori tempo massimo quando la Disney stava per lanciare film tecnicamente all’avanguardia come Cenerentola e Alice nel paese delle meraviglie e l’animazione italiana aveva addirittura tentato la commistione con il neorealismo per emergere dalla concorrenza (L’ultimo sciuscià, 1948, regia di GIbba, produzione di Giannetto Beniscielli).

Domeneghini tentò di creare un’alternativa al monopolio americano con un cinema lontano dal gag derivato dalla slapstick e con numerosi riferimenti all’opera musicale di matrice italiana ma, come ha detto Marco Bellano, “I Fratelli Dinamite e La rosa di Bagdad vanno interpretati come esiti eroici di attività rimaste a livello pionieristico per oltre tre decenni.” Domenighini, dopo l’avventurosa storia della produzione della Rosa, tornò al mondo della pubblicità e con lui anche l’animazione italiana che raggiunse i suoi vertici televisivi con Carosello ma rimase confinata nel piccolo schermo mentre nelle sale di tutta Italia spadroneggiavano i film Disney; almeno fino all’arrivo di un grande del disegno animato che proprio dal folle e dolce sogno di Domeneghini era stato ispirato: Bruno Bozzetto.

La rosa di Bagdad
Studio Domeneghini, rodovetro

Carlo Ugolotti (Parma, 1987) laureato in filosofia e dottore di Ricerca in Storia presso l’Università di Torino, è collaboratore dell’Istituto della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Parma (ISREC). Si occupa del rapporto tra cinema e storia, tra storia e immaginario con un particolare focus sugli Stati Uniti. E’ inoltre autore del video-essay La giungla: modernità e tribalismo ne “Il profumo della donna in nero” di Francesco Barilli (presentato al Festival del Cinema di Locarno e al Milano Film Festival).

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