Ci sono poche icone che gli americani hanno a cuore. La bandiera, la Coca-Cola, Topolino e Superman. E più di tante storie, a veicolare la fama del supereroe creato nel 1938 da Jerry Siegel e Joe Shuster è stata l’immagine. La storia del personaggio, e della sua percezione, è stata profondamente influenzata dai disegnatori che lo hanno rappresentato. Tra le centinaia di firme che si sono succedute in 80 anni, abbiamo selezionato otto autori che, a nostro modo di vedere, hanno davvero lasciato il “segno” nell’immaginario del supereroe per antonomasia.
Va detto però che, forse ironicamente, l’iconografia del mito-Superman è stata costruita più attraverso i prodotti collaterali – film, serie tv, cartoni animati – che con il fumetto: questione di numeri e di consumatori, prima ancora che di qualità grafica. Nella nostra selezione dedicata ai fumettisti, perciò, non troverete alcuni nomi importanti come Bruce Timm e i Fleischer Studios, questi ultimi creatori di una seminale versione animata del personaggio (nei loro cartoni fu infatti definita l’iconografia supermaniana degli anni Quaranta, nonché introdotto il potere del volo).
I disegnatori che abbiamo selezionato possono non aver firmato storie memorabili e, di contro, molti autori di storie memorabili non sono qui presenti, perché la loro rappresentazione del personaggio non ha avuto seguito o è rimasta “isolata”. Ma è certamente grazie a questi nomi che il mito di Superman, figlio della lunga storia visiva del fumetto americano, è nato, cresciuto, cambiato, evoluto.
Joe Shuster (anni 1930)
Joe Shuster aveva nove anni quando conobbe il coetaneo Jerome “Jerry” Siegel. Joe si era appena trasferito a Cleveland, Ohio, dall’Ontario e i due fecero amicizia grazie alla passione comune per i fumetti e la fantascienza. Al liceo, Jerry e Joe fondarono la fanzine Science Fiction, al cui interno comparve The Reign of the Superman (1933), storia di un vagabondo che utilizza per scopi personali i poteri psichici acquisiti grazie a una droga sperimentale.
La seconda iterazione del personaggio di Superman fu completamente diversa: Siegel e Shuster svilupparono una proto-versione dell’Uomo d’Acciaio intitolata The Superman, ma i continui rifiuti degli editori spinsero Siegel a rimpiazzare Shuster con un disegnatore più navigato, Russel Keaton, che aveva lavorato sulle strisce di Buck Rogers. Seguendo le indicazioni di Siegel, Keaton realizzò nove strisce in cui un neonato proveniente dal futuro viene spedito indietro nel tempo al 1935. Anche questa versione non attirò i committenti e Siegel si riappacificò con Shuster. L’ennesimo tentativo che fecero i due pose le basi per il personaggio così come lo conosciamo: Superman diventa un alieno del pianeta Krypton, vengono introdotti il costume con l’iconica “S”, l’identità civile di Clark Kent e Lois Lane. Ancora nessun editore di strisce sembrava interessato al progetto e la coppia si rassegnò a vendere la storia per 130 dollari (circa 2.300 dollari di oggi) cedendo tutti i diritti di sfruttamento alla National Allied, editrice dell’antologia Detective Comics.
Shuster disegnò Superman modellando il volto su Johnny Weissmuller, il Tarzan cinematografico degli anni Trenta, e la sua presenza scenica a quella di Douglas Fairbanks, attore di cappa e spada famoso per i ruoli ne Il segno di Zorro e Robin Hood, e dagli esempi di culturismo di cui era a conoscenza grazie alla sua passione per l‘allenamento fisico. Il costume di Superman non è altro che una riproposizione delle tutine indossate da circensi e bodybuilder, con l’aggiunta di un mantello per aumentare la dinamicità delle pose.
Shuster impose il suo stile come il marchio di fabbrica del personaggio negli anni Quaranta. Con l’aumento della popolarità di Superman, la richiesta di materiale non poteva essere soddisfatta dal solo Shuster, che iniziò a impiegare un manipolo di disegnatori, noti con il nome collettivo di “Shuster Shop”. Forniva i layout grezzi e altri autori portavano a conclusione il lavoro, lasciando a Shuster l’onore di rifinire le teste di Superman e Lois Lane, un compito che il co-creatore del personaggio amava tenere per sé.
La composizione di Shuster è spesso male orchestrata e le transizioni goffe, ma le sue pagine trasudano un’energia grezza che nessuno dei suoi successori ha saputo uguagliare. Come scritto da Comics Alliance, «nessuno riusciva a superarlo quando si trattava di disegnare la forza bruta». L’uso delle linee cinetiche, il tratteggio e la potenza del gesto resero Superman una minaccia che i criminali facevano bene a temere e un eroe per cui i lettori potevano tifare.
Dopo Superman, Shuster disegnò poche cose (da segnalare il fumetto fetish underground Nights of Horror in cui a infliggere e subire atti sadomasochistici ci sono personaggi dalle fattezze molto simili a Clark Kent, Lois Lane e Jimmy Olsen) anche a causa della progressiva cecità che lo colse in età adulta. Fu soprattutto il sodale Siegel a portare avanti la battaglia legale per il riconoscimento dei loro diritti su Superman. Shuster si accontentò dell’offerta DC di un reddito a vita e del pagamento delle cure mediche, mentre Siegel e i suoi eredi dopo un lungo contenzioso rivendettero alla DC i loro diritti per un accordo che includeva l’obbligo di inserire la dicitura “Per accordo speciale con la famiglia di Jerry Siegel” in tutti i prodotti riguardanti Superman.
Wayne Boring (anni 1950)
Dopo l’abbandono di Shuster, Wayne Boring prese il suo posto come autore principale di Superman. Boring, che talvolta usava il nome d’arte di Jack Harmon, aveva studiato alla Minnesota School of Art e al Chicago Art Institute e iniziò a disegnare nello studio di Siegel e Shuster nel 1937, come ghost artist. Nel 1942 la DC (conosciuta all’epoca come National Comics) assunse Boring nello staff, ma fu solo quando Siegel e Shuster abbandonarono l’azienda nel 1948 che Mort Weisinger, editor di Superman, pensò di affidargli il personaggio.
Boring fu co-creatore di luoghi della mitografia supermaniana come la Fortezza della Solitudine, apparsa in Action Comics #241 (1958) su testi di Jerry Coleman, o il Mondo Bizarro in Action Comics #263 (1960), insieme a Otto Binder. Fu anche artefice, con Bill Finger, della prima ri-narrazione delle origini di Superman, apparsa su Superman #53 (1948).
Matita principale di Superman negli anni Cinquanta, traghettò Kal-El attraverso gli apici di vendita. Nell’interpretazione di Boring la compattezza, la fiera determinazione e il petto ampio e massiccio di Shuster cedettero il passo a una corporatura più alta, slanciata, realistica e in linea con l’avvenenza degli eroi fantascientifici. Certo, quando Boring non era in vena, il suo Superman aveva le movenze di un manico di scopa, ma questa rigidità era compensata da una gamma di espressioni facciali naturalistiche tenute salde dalla mascella di ferro del kryptoniano.
La decade in cui lavorò Boring fu travolta dalle accuse mosse dallo psichiatra Fredric Wertham, che con il suo saggio Seduction of the Innocents avrebbe portato l’America a credere che i fumetti potessero traviare i lettori più giovani e istigassero alla delinquenza. Per questo la DC cercò nuove direzioni più “leggere” da far intraprendere al personaggio. Direzioni che spesso, purtroppo, sfociavano nel comico involontario – se non nel ridicolo – nel loro scontrarsi con la resa realistica di Boring.
Al Plastino (anni 1960)
Diplomato alla High School of Art and Design di New York, Al Plastino si fece le ossa come illustratore e designer per il Pentagono di poster e manuali, per poi approdare ai fumetti nel 1948.
Timoniere di Action Comics, Adventure Comics e Superboy per tutti gli anni Cinquanta, Plastino creò, assieme a Otto Binder, la Legione dei Super-Eroi, Brainiac, Kandor e Supergirl, ma fu attivo anche nella produzione di concept e disegni per i materiali promozionali. Proprio con queste finalità Plastino disegnò quella che secondo lui è la sua storia più importante: Superman’s Mission for President Kennedy, contenuta in Superman #170 del giugno 1964. L’albo fu realizzato in collaborazione con l’amministrazione Kennedy per promuovere il programma di attività fisica del presidente. Nella storia, la prima avvallata da un presidente statunitense, Superman fa visita alla Casa Bianca e confida a Kennedy la sua identità segreta. Realizzato prima della morte di Kennedy, l’albo venne comunque pubblicato con il beneplacito del suo successore, Lyndon B. Johnson.
In quel periodo l’idea del culto del disegnatore nel fumetto supereroistico non si era ancora sviluppata e gli editori non sentivano la necessità di presentare interpretazioni dei personaggi che cambiassero da disegnatore a disegnatore. Il personaggio doveva rimanere coerente a prescindere da chi lo metteva su carta. Così Plastino si ritrovò a imitare Boring, un lavoro che, come ha raccontato nel libro Al Plastino: Last Superman Standing, «mi faceva quasi male, ho cercato di seguire il suo segno ma alla fine è cambiato».
Tumultuosi, come per molti altri disegnatori dopo di lui, furono i rapporti con l’editor Mort Weisinger: «Fece ridisegnare alcuni volti di Lois Lane e mi chiese indietro parte della paga. Gli dissi che poteva trovarsi qualcun altro. Non me ne importava un accidente. Dovevi avere quel genere di atteggiamento, tenergli testa».
Sui testi di Bill Finger, Plastino disegnò inoltre Superman #61, l’albo del 1949 che introdusse nei fumetti la kryptonite, il tallone d’Achille di Kal-El menzionato per la prima volta nel serial radiofonico The Adventures of Superman.
Curt Swan (anni 1970)
Boring lasciò la DC nel 1967, licenziato da Weisinger senza troppe cerimonie. A impugnare il testimone ci pensò Curt Swan, che sarebbe diventato il disegnatore di Superman della Silver e Bronze Age e, in generale, quello più associato al personaggio. La sua carriera cinquantennale sarebbe arrivata fino al 1996, anno in cui uscirono, postume, le sue ultime cinque tavole per lo special Superman: L’Album del matrimonio.
Swan iniziò a lavorare sulle strisce di Superman, sotto la supervisione di Weisinger. Boring lo avvisò della fama dittatoriale di Weisinger, dicendogli che per tenersi il lavoro avrebbe dovuto «resistere e non accettare le sue stronzate». Ma il rapporto con l’editor si rivelò più difficile del previsto. Swan era mite, un buon padre di famiglia, cercava di dedicare tempo ai figli, sacrificandosi a fare ore piccole per completare le tavole richieste, fumando pacchetti interi di sigarette e dannandosi di non essere capace abbastanza, lui che da autodidatta aveva imparato il mestiere sui manuali di disegno. I continui soprusi di Weisinger gli causarono cadute psicofisiche e decise di abbandonare i fumetti in favore della pubblicità. Ma i guadagni non erano sufficienti a mantenere la sua famiglia, così fu costretto a tornare. Sempre fedele alla DC, rifiutò le offerte della concorrenza.
Negli anni Settanta il nuovo editor Julius Schwartz iniettò nuova linfa vitale nella testata Superman. Mise Dennis O’Neil ai testi e affiancò a Swan l’inchiostratore Murphy Anderson, in quella che sarebbe diventata la prima storia di Superman della Bronze Age, The Sandman Saga, in cui il team creativo imbastì una trama che spazzava via tutta la kryptonite presente sulla Terra. L’intento di Schwartz era radicale: le bizzarrie di Weisinger andavano bene per gli anni Cinquanta, ora c’era bisogno di recuperare credibilità e cuore. Niente più storie bislacche, niente più Mr. Mxyzptlk, Bizarro o Krypto. Soprattutto, niente più kryptonite, un espediente di sceneggiatura abusatissimo, e poteri ridotti di un terzo, per colpa di un doppione di Superman fatto di sabbia che ne drenò la forza.
La trasformazione di Kal-El passò anche per la resa di Swan. I suoi disegni furono un ulteriore passo in avanti che resero Superman meno alieno e più umano, più incline a provare sentimenti, fisicamente imponente ma gentile, nobile e vagamente tragico. La mano sensibile di Swan mise su carta un Superman ben più naturalistico di quello di Boring. «Penso che si riconoscesse in Superman», avrebbe raccontato Alan Moore. «Disegnava nei personaggi quella forza morale che ricercava in sé stesso». Fu proprio Moore ad accompagnarlo nel suo addio ideale al fumetto con Che cosa è successo all’Uomo del Domani?. In quest’ultima opera il tratto di Swan contribuì a quello «straniamento indotto dall’inserimento di dinamiche esogene – leggi: la morte – all’interno di una diegesi che ‘odora’ ancora di ingenuo escapismo anni Sessanta», ha scritto su Fumettologica Daniele Croci.
John Byrne (anni 1980)
Negli anni Ottanta gli eroi DC stavano vivendo un periodo di confusione e instabilità narrativa. Eterna seconda nelle vendite, la casa editrice cercò di rubare idee e talenti alla rivale Marvel con progetti come New Teen Titans, un tentativo di capitalizzare il successo degli X-Men realizzato dagli ex-marvelliani Marv Wolfman e George Pérez. I problemi, però, la DC se li portava dietro dal passato: i cinquant’anni di storie iniziavano a pesare sulle spalle di Superman e compagni. Sempre più inconsistenze emergevano dalle pagine, versioni alternative dei personaggi erano state introdotte, il coordinamento editoriale era minimo e gli autori erano lasciati a briglie sciolte.
Len Wein e Marv Wolfman escogitarono una soluzione drastica, che oggi viene vissuta come la norma ma che all’epoca dovette sembrare particolarmente di rottura: un reboot. Si sarebbe ricominciato da capo, fatto piazza pulita del passato e ripresentato i personaggi sotto la luce della modernità. Tra il 1985 e il 1986, Crisi sulle terre infinite, una storia sulla fine del multiverso scritta da Wolfman e disegnata da Pérez, spaccò l’universo DC. Agli autori toccò prendere in mano i cocci e ricostruire i personaggi dal principio.
Superman fu affidato a John Byrne, all’epoca nome caldo del fumetto grazie alla gestione di Uncanny X-Men con Chris Claremont. Byrne aveva scoperto i fumetti da piccolo ma era con la Marvel che aveva fatto carriera. In DC portò il suo stile energetico, nitido e adatto ai tempi.
Byrne non dovette soltanto scrivere e disegnare le nuove storie di Superman, ma anche raccontarne le origini per il pubblico degli anni Ottanta. Con il suo L’uomo d’acciaio Byrne ricollocò il personaggio in un contesto senza fronzoli o stramberie, ispirandosi al film di Richard Donner. Niente Supergirl, niente Krypto, Lex Luthor fu trasformato in un capitalista rampante, Krypton era un luogo alieno, ipertecnologico e algido, i poteri dell’Azzurrone si manifestavano dopo l’adolescenza. Di conseguenza, nella riscrittura di Byrne, Superman era Clark Kent, la dimensione civile e umana prevaleva su quella eroica. Mentre fino ad allora Kent era stato la maschera, debole e stereotipata, con cui Kal-El si confondeva tra gli umani, ora era Superman la parte subordinata della relazione. Fu un approccio netto che avrebbe tenuto banco fino al successivo reboot del 2003 Diritto di nascita (di Mark Waid e Leinil Francis Yu) e sarebbe stato cannibalizzato da serie tv e film.
Seguendo gli stimoli dei suo maestri, Byrne prese le masse slanciate di Neal Adams, ne catturò il dinamismo e lo fuse con la presenza scenica di Jack Kirby. Nelle sue tavole, Byrne riusciva a trasmettere il dolore fisico come nessuno prima di lui. Il Superman di Byrne era solido, con le spalle ampie e il sorriso largo, il primo consapevole del proprio tempo e del fatto che l’immagine maschile e le tecniche di allenamento si fossero evolute al punto da aver reso obsolete le gracili versioni di Kal-El viste fino ad allora. La sua massa gli conferiva sicurezza, lo rendeva un individuo affidabile, la sua faccia pulita e il suo taglio per bene lo definivano come il bravo ragazzo che Clark Kent era.
Dopo due anni, passati a scrivere e disegnare fino a tre serie al mese, Byrne lasciò l’incarico, irritato dalla scarsa fiducia riposta nei suoi confronti da parte della dirigenza: «Mi assunsero e poi si spaventarono», ha raccontato a CBR. «Approvavano sempre tutto, ma non c’era mai un sostegno cosciente. Continuarono a promuovere il vecchio Superman nel materiale su licenza. Dopo due anni così il divertimento era svanito».
Dan Jurgens (anni 1990)
Dan Jurgens è indissolubilmente legato all’immagine di Superman degli anni Novanta. Per averne scritto e disegnato molti numeri, certo, ma soprattutto per aver orchestrato una delle storie più importanti del decennio: La morte di Superman.
Diplomato al Minneapolis College of Art and Design, Jurgens entrò in DC all’inizio degli anni Ottanta. Nel corso di quel decennio creò il personaggio di Booster Gold e scrisse e disegnò le storie di Superman sulla testata The Adventures of Superman. Fino ad allora, per Jurgens, esisteva un solo Superman, quello di Curt Swan: «Karen Berger aveva bisogno di un disegnatore e mi chiese se sapessi disegnare Superman. E io le dissi: “No, solo Curt Swan sa disegnare Superman”».
Nel 1991 divenne autore unico di Superman e poco dopo si unì al gruppo di creativi che avrebbe fatto cadere la mannaia sul personaggio. Durante le periodiche sessioni in cui il team di autori programmava la stagione di storie del personaggio, fu proposta l’idea di far convolare a nozze Lois e Clark, ma i produttori della serie tv Lois & Clark – Le nuove avventure di Superman, confezionata sul modello di John Byrne (Clark=personalità dominante) e traboccante di romanticismo, posero il veto, perché intendevano farli sposare nella serie. Il gruppo di DC Comics dovette ripartire da zero e trovare altri dodici mesi di storie. «Non ci veniva in mente niente», raccontò l’editor Mike Carlin, che coordinava le estate dell’Uomo d’Acciaio, «e Jerry Ordway propose di ucciderlo. Era un tormentone, lo diceva a ogni riunione quando arrivavamo a un punto morto. Quella volta però gli demmo retta».
Fu di Jurgens l’idea di strutturare gli ultimi quattro numeri della battaglia tra Superman e Doomsday con una griglia a scalare – un numero con pagine composte tutte da quattro vignette, poi tre, poi due, finendo con Superman #75, il numero della morte, mandato in stampa con ventidue splash page. Un espediente che nelle intenzioni dell’autore avrebbe dovuto comunicare il crescendo dell’azione e che, pensando in termini cinematografici, sembra il corrispettivo su carta di un approccio alla Michael Bay o Zack Snyder: ogni momento, anche il più insignificante, merita un grandangolo.
Dall’evento fumettistico emerse il Superman degli anni Novanta. Jurgens prese il Superman di Byrne e lo gonfiò: il suo Kal-El era sessualizzato, un culturista ispirato alle riviste di moda ma senza la patinatura, più campagnolo che cittadino (petto ampio e irsuto, mascolinità accentuata, capelli arruffati in un mullet).
«Non posso disegnare come nel 1981, bisogna crescere e adattarsi» disse il fumettista. «Non vuoi fare a meno degli elementi distintivi del tuo stile, ma li devi mischiare con tutto quello che è appetibile per la contemporaneità». Che tradotto in disegno significa: stile blando, che invecchia con il tempo e che non ha niente da raccontare. Oggi Jurgens è ancora al lavoro sul personaggio. Non lo disegna più come una volta, è vero, ma l’unica, palpabile, differenza è un taglio di capelli decente.
Alex Ross (anni 1990)
Alex Ross è uno di quei fumettisti riluttanti, disegnatori cioè che si sono fatti conoscere con il fumetto, che con il fumetto hanno raggiunto i traguardi lavorativi più importanti, ma che a un certo punto si sono disaffezionati al mezzo e gli hanno preferito altre attività – magari più lucrative – come il designer, il concept artist per film, tv e videogiochi o il copertinista. Ross in realtà di fumetti campa ancora: è attivo in casa Dynamite Entertainment, curando come direttore creativo alcune serie (Phantom, Project Superpowers) e dal 2015 ha riallacciato i rapporti con la Marvel diventando il copertinista stabile di Amazing Spider-Man e Avengers.Ma le sue opere si contano sulle dita di una mano.
Eppure, una manciata di fumetti sono bastati per far conoscere ai lettori lo stile compassato, magniloquente e teatrale dei suoi dipinti. Quando c’è bisogno di un Uomo d’Acciaio posato, imponente, aulico e concreto, è tra i suoi disegni che bisogna pescare.
Impostosi all’attenzione generale negli anni Novanta con Marvels, amarcord marveliano scritto da Kurt Busiek, Ross giunse in DC per proporre la stessa idea ma con un afflato ancora più epico e crepuscolare. Il risultato, con i testi di Mark Waid, fu Kingdom Come. Complice la resa pittorica, il Superman di Ross era dotato di una presenza scenica che si mangiava la pagina. Era attempato, non (solo) perché vecchio ma perché ispirato al passato. Abbandonata ogni giovinezza, il Kal-El di Ross tornava al mito di Shuster: il viso, la stazza, il costume erano gli stessi. Niente più tutine aderenti o muscoli iper-definiti.
Ross disegnò Superman come se fosse stato fisicamente presente nella nostra realtà degli anni Cinquanta, con la calzamaglia un po’ larga e il fisico morbido. La sua idea era distante dagli ammassi di carne e armature che andavano per la maggiore. Tra tutti, quello di Ross è il Superman più arcaico, adulto e maturo.
«Volevo creare un nuovo modello con il quale Superman sarebbe poi stato disegnato, riportandolo alle sue origini», ha detto nel libro Mythology. «Ovviamente questo non è successo, ma di sicuro è valsa la pena provarci. Superman non dovrebbe mai riflettere una moda passeggera o emozioni di uno specifico periodo, per esempio nel taglio di capelli, nel modo di parlare… Lui va oltre tutto questo. È senza tempo».
Il collo taurino, i tratti Golden Age e la riverenza verso l’interpretazione di George Reeves facevano distinguere il suo Superman in ogni iterazione prodotta, da Kingdom Come ai graphic novel di grande formato realizzati con Paul Dini (Pace in terra, JLA: Libertà e Giustizia), le cui tavole sono diventate le immagini più usate nella comunicazione DC, fino ad arrivare alle innumerevoli copertine, una delle quali è diventata la base per il poster del film Justice League. La composizione vista nel poster è una di quelle più utilizzate da Ross: la spianata di personaggi le cui dimensioni non cambiano, siano essi in primo piano o sullo sfondo, che proviene da The Right to Know di Norman Rockwell.
Jim Lee (anni 2010)
Nonostante l’apparente mitezza, Jim Lee ha avuto una vita larger than life che sembra un riflesso dei suoi disegni. La sua famiglia si trasferì in America quando Jim era ancora piccolo. Passò l’adolescenza a Saint Louis (Missouri), poi studiò medicina, lavorò in un ospedale di Amburgo e alla fine capì di voler soltanto disegnare gli X-Men. I suoi episodi della testata mutante, in coppia con Chris Claremont, sono a oggi i fumetti più venduti nella storia dei comic books. Negli anni Novanta fece parte del gruppo di disegnatori superstar fuoriusciti dalla Marvel per fondare Image Comics, al cui interno Lee battezzò la propria etichetta WildStorm, poi venduta nel 1998 a DC Comics, dove fu nominato co-editore nel 2010. Il suo lavoro, insieme a quello di Marc Silvestri, è quello che ha prodotto più emuli e si è imposto come lo “stile di casa DC”, in opposizione alla varietà proposta dalla Marvel.
Tra i disegnatori Image, Lee è quello che viene considerato il meno trasgressivo nella rottura delle norme fumettistiche, quello sui cui sono piovute meno critiche, anche se il suo senso della narrazione tutto votato alla spettacolarizzazione di ogni gesto non lo ha esentato dai commenti negativi. Barry Windsor-Smith disse in un’intervista su The Comics Journal che «non c’è alcun investimento emotivo nei suoi lavori. Certo, sa disegnare, è tecnicamente capace, ma non penso che gli sia mai passato per la testa che i fumetti siano un mezzo per esprimersi in modo intimo».
Maggiormente apprezzabile se spogliato da colori e chine, il suo segno è colmo di tratti, un’eredità delle esagerazioni degli anni Novanta che Lee ha saputo adattare al gusto moderno. Le figure sono scolpite con la matita e il reticolato che inserisce nelle tavole dona un’energia cinetica, quasi nevrotica, anche al più immobile dei mezzibusti.
Nei primi anni Duemila il suo progetto di lavorare a un dittico sulle icone DC Batman e Superman trovò soddisfazione prima con la realizzazione di Batman: Hush, in coppia con Jeph Loeb, e poi con Per il domani, una storia di Superman scritta da un Brian Azzarello fuori dalla sua zona di sicurezza. Ha ridisegnato l’Azzurrone anche nelle serie Superman Unchained e Justice League nella sua versione New 52, l’evento del 2011 che dava una svecchiata all’universo DC facendo tabula rasa di (quasi) tutte le storie narrate fino ad allora. Con un nuovo costume, più armatura che tutina, e un aspetto giovanile, coi capelli sgarrupati e senza l’iconico tirabaci.
Dagli inizi del nuovo millennio a oggi Lee ha pensato e ripensato Superman in copertine, design per videogiochi, film e accessori. Ha disegnato per lui gli ultimi costumi in ordine di tempo (quello dei New 52 e quello di Action Comics #1000) e il suo Superman è quello più presente, oggi, nella mente dei lettori.