Roberto Ghiddi – scomparso lo scorso 2 aprile – è stato l’art director più originale degli ultimi 40 anni di storia dell’editoria italiana di fumetti. Non il più influente, visto che prima di lui Luigi Corteggi, negli anni Sessanta e Settanta, era riuscito a ideare una enorme quantità di logotipi e impianti grafici per Editoriale Corno e Sergio Bonelli Editore, settando nuovi standard che reggono ancora oggi (Kriminal, Satanik, Alan Ford, Ken Parker, Dylan Dog…).
Siamo venuti a conoscenza poco fa della triste notizia della scomparsa di Roberto Ghiddi.
Roberto, in foto con Luigi…Pubblicato da Associazione Culturale Luigi Bernardi su lunedì 2 aprile 2018
Ma se Corteggi era stato il campione di una tradizione antica nella progettazione grafica “limitata” dei prodotti a fumetti, Ghiddi riuscì nel suo lavoro per Granata Press a spingere quel mestiere verso una art direction “totale”: non solo loghi o frontespizi di testate, ma bandelle, fasce, pecette, coste e giochi di sovrapposizione tra disegno e tipografia che raramente, nella consuetudine del “rispetto per i disegni”, si erano visti nel fumetto italiano.
Come pochi editori nella storia del fumetto italiano, Granata Press è stata anche un marchio dotato di una propria evidente, forse persino esorbitante, immagine coordinata. Le scelte dell’editore Luigi Bernardi (di cui Ghiddi fu non solo collaboratore, ma socio e autentico partner professionale, spesso in prima linea nei rapporti con gli stessi autori) non sono state, infatti, la sola ragione per cui oggi potremmo parlare di una “estetica Granata Press”. L’altra ragione era nel lavoro di Ghiddi – “il nostro Etienne Robial”, si diceva scherzando tra colleghi – con quelle linee spigolose, le forme geometriche di bande e bandelle, i font semplici ma stentorei, l’insistenza sui capolettera.
In alcuni casi, come nel restyling per Zero, dalle forme grafiche emergeva uno stile quasi macchinico. Nella splendida testata della rivista Nova Express, il logo preponderante poteva ospitare – nel capolettera – trasparenze intriganti, giocando con la texture del segno. In generale, come spesso appariva dalle pagine interne di redazionali o articoli, la grafica non era mai minimale e, anzi, pretendeva spazio e attenzione, allo scopo di comunicare sempre l’idea di qualcosa che andava al di là del contenuto artistico o articolistico: la visione di un editore come progetto, mediazione tra opera-fonte e proposta consapevole, frutto non solo di packaging ma di riflessione sull’esperienza visiva.
Un’esperienza tutt’altro che silenziosa o servizievole: sebbene Ghiddi si sia spesso impegnato in fase di produzione con attitudine “rispettosa” verso la qualità di riproduzione degli originali, in fase di impaginazione propendeva per una grafica tutt’altro che trasparente, talvolta fragorosa, spesso semplicemente energica. Era l’energia di un pessimista volitivo, come ha ben raccontato Otto Gabos, liquidatorio ma propositivo.
Se esiste una figura professionale intorno alla quale l’editoria italiana di fumetto mostra ancora oggi una sorprendente debolezza, è l’art director. Corteggi prima e Ghiddi poi sono state delle eccezioni in un settore che, sotto l’alibi del “rispetto” per il ruolo – inevitabilmente primario – dell’immagine disegnata, ha investito poco nella professionalità e nel talento dei progettisti grafici, confinandoli a un ruolo minoritario.
Negli ultimi anni il peso dell’art direction nel fumetto italiano è per fortuna cresciuto, talvolta con buoni risultati. Ma nessun editore, vecchio o nuovo, ha ancora messo in primo piano quella originalità stilistica, e quella fiducia creativa, che Ghiddi ha saputo infondere con la sua linea grafica a molti prodotti editoriali. Libri e albi che ricordiamo, e continueremo a ricordare a lungo, anche per il lavoro inventivo di un uomo che con la sua progettazione visiva ha fatto la storia di un pezzo importante di fumetto italiano.