Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica è ospite Josh Tierney, creatore del fumetto fantasy Spera e autore in forze a BOOM! Studios.
Una tavola un po’ sui generis di Sandman. Come mai questa scelta?
La gran parte dei fumetti che mi ha influenzato l’ho scoperta durante l’infanzia. Quando ero un ragazzino compravo i fumetti basandomi sui disegni o sui personaggi. Compravo ogni numero degli X-Men di Jim Lee che vedevo in edicola e leggevo con avidità Bone. Ma non seguivo nessuno scrittore e capivo a malapena a cosa servissero: i fumetti sono un mezzo visivo e per me chi raccontava davvero la storia era il disegnatore.
I veri traumi infantili erano quando cambiava il disegnatore della testata. Quand’è che sono cambiate le cose?
Leggevo Wizard, la rivista, e continuavano a inanellare lodi per Sandman e Neil Gaiman. Descrivevano le sue storie come uniche e le loro attenzioni erano riservate quasi esclusivamente sulla scrittura. Il fatto che fosse parte della linea Vertigo, una cosa che sembrava proibita ai giovani, lo rese ancora più intrigante. Non lessi molto altro di Gaiman da giovane, ma il suo Sandman infiammò la mia immaginazione e mi fece capire che il fumetto era anche il regno degli scrittori.
La scelta di questo numero in particolare a cosa è dovuta?
Il mio miglior amico collezionava fumetti e un giorno, dopo scuola, andai a casa sua per vedere i nuovi acquisti. Uno di questi era Sandman #64. Era la prima volta che tenevo in mano un fumetto di Gaiman. Il mio cuore saltò un battito. Non ebbi tempo di leggerlo tutto, ma lo sfogliai con attenzione e quando arrivai all’ultima pagina la mia mente esplose.
La prima cosa che spicca è l’uso delle vignette statiche e mute. Ormai è una tecnica abusata, ma all’epoca era la prima volta che mi scontravo con questo tipo di sperimentazione formale nel fumetto generalista. Non sapevo quale fosse il problema del personaggio, ma entrai subito in empatia, capivo che quello che stava provando era diverso da quello che provavano supereroi o animali parlanti. E la seconda è la parola ‘Cazzo’. Era una parola che non sapevo fosse possibile dire nei fumetti. L’imprecazione solitaria, che agisce come punteggiatura al silenzio precedente, trasforma la sequenza in poesia. Mi scosse.
Fu quello il momento in cui capii che non volevo solo disegnare fumetti, li volevo scrivere. La sequenza fece diventare seri i fumetti ai miei occhi, e io stesso assunsi un atteggiamento serio verso di loro.
E il resto?
Il resto nemmeno me lo ricordavo! Ma il modo in cui un’immagine così fantastica segue un momento umano e intimo è brillante.
Di Teddy Kristiansen, il disegnatore, che pensi?
Mi piace – così come mi piace Marc Hempel, che è l’autore principale dell’arco Le eumenidi. Ma lo stile angolare, chiaroscurale e con le facce semplificate mi ha sempre attratto, come in Mignola. È il tipo di stile che cercavo di ricreare da disegnatore prima di dedicarmi completamente alla scrittura. È difficile valutarlo considerando quanto diversi siano gli artisti di Sandman, che ha iniziato di botto con Sam Kieth. È un altro degli aspetti della serie che mi piace molto.
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