Ogni settimana su Sunday Page un autore o un critico ci spiega una tavola a cui è particolarmente legato o che lo ha colpito per motivi tecnici, artistici o emotivi. Le conversazioni possono divagare nelle acque aperte del fumetto, ma parte tutto dalla stessa domanda: «Se ora ti chiedessi di indicare una pagina che ami di un fumetto, quale sceglieresti e perché?».
Questa domenica ospitiamo il genovese Giacomo Gambineri che, dopo una laurea in Design della comunicazione al Politecnico di Milano (qui parlavamo della sua tesi di laurea), ha cominciato a collaborare con New York Times Magazine, IL, Monocle e Wired e lavora come illustratore e grafico.
Sembra che Brian Wilson dei Beach Boys, dopo aver ascoltato per la prima volta Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, sia affogato in esaurimento nervoso, droga e bizzarrie. «Beatles got there first». Ecco: Pax Americana è stata il mio Sgt. Pepper.
Recuperato lo spillato originale non appena uscito, ho continuato a leggerlo ossessivamente. Non ho raggiunto gli abissi di Brian, ma posso assicurarvi che in quei giorni avreste potuto incontrarmi su una panchina al parco, con Pax in una mano e un taccuino di appunti nell’altra: ero convinto di dover compilare un’analisi definitiva in cui (di)spiegare tutte le geometrie dell’albo. Per fortuna oggi sono fuori dal tunnel o, meglio, dal nastro di Möbius. Ed è stato l’albo stesso a dissuadermi: dopo averlo interrogato per mesi, un giorno mi ha risposto così. Perché i grandi fumetti hanno personalità, i capolavori consapevolezza.
Trovo ininfluente il fatto che Pax Americana faccia parte di Multiversity, l’albo può essere tranquillamente considerato un’entità a se stante. L’unico aspetto da sottolineare è che alla base di Multiversity c’è l’idea di un fumetto meta-referenziale. Visto che Pax Americana si svolge nell’universo popolato dai personaggi da cui Alan Moore ha tratto ispirazione per Watchmen, non ci si stupisca di come l’ego mansueto di Morrison abbia scelto di porsi a proposito.
In pratica Morrison vuole proporre un Watchmen 2.0, un fumetto che replichi «l’alta densità di sovraccarico semiotico» di quell’opera (lo scrive lui stesso).
Ecco: tentare di decifrare l’alta densità di cui parla Morrison è la cattiva strada a cui ho accennato prima, quella che porta prima alla panchina e poi a far compagnia a Brian Wilson in una piscina piena di caramelle (o in una stanza imbottita). Però vorrei evitare i simbolismi e le giustapposizioni semantiche, meglio stare sul piano generale della mise-en-scène.
E quindi di questa pagina che hai scelto che ci racconti?
Sono un amante della fissità della griglia, caratteristica eminente di tutto un certo tipo di fumetto dall’impostazione radicalmente grafica; uno degli aspetti cardinali di Watchmen e, di conseguenza, un fondamento modulato ad arte in tutto Pax Americana.
La nostra tavola utilizza la gabbia a otto moduli dell’albo nel modo più esplicito possibile: otto vignette identiche per pagina, che nella doppia si traducono in quattro strisce da otto vignette. E se per caso vi fosse sfuggito quanto sia sostanziale la gabbia di impaginazione, nella prima vignetta ecco una bella gabbia per colombe.
La tavola si rifà al sopralluogo di Rorschach all’inizio del primo capitolo di Watchmen, ma qui viene raccontato al contempo l’omicidio, l’antefatto dello stesso e il successivo sopralluogo ad opera di Question. I tre eventi non vengono solo presentati simultaneamente ma frammentati in modo che la lettura li sincronizzi: l’omicidio avviene nel momento in cui Question realizza come è accaduto.
La sanguinosa aggressione in sé non viene rappresentata, perché avviene nello spazio bianco che in impaginazione viene chiamato gutter, ovvero il margine interno delle due pagine accostate, ma anche un termine inglese per dire canale di scolo. Come per ogni aspetto di questo albo, dubito che non ci sia una volontà precisa dietro. Le vignette centrali dell’ultima striscia, dove l’effetto-sangue arriva a precedere la causa-colpo (sempre che di sequenzialità si possa parlare) sono il compimento di un percorso meticolosamente ritorto su se stesso.
E qui entra in gioco il nastro di Möbius, elemento citato in altri luoghi del fumetto.
Sono convinto che alla base del proprio castello di espedienti semiotici Morrison si sia imposto di interrare un simbolo che permeasse tutta la superficie della storia e che al contempo ne rappresentasse la forma profonda, perché a parer suo Watchmen è costruito proprio così. In Supergods, Morrison descrive Watchmen come un cerchio, sostenendo che la fine e l’inizio coincidano; la lettura del diario di Rorschach recuperato nell’ultima tavola altri non è che l’esperienza che abbiamo appena compiuto leggendo la storia. Il celebre simbolo della spilla con lo smile macchiato di sangue (così come l’atomo di idrogeno del Dottor Manhattan) rappresenterebbe la circolarità dell’intera opera.
Quale modo migliore per raccogliere la sfida di Watchmen che trasformare un semplice loop circolare in un convoluto nastro di Möbius? In Pax Americana il nastro di Möbius è ubiquo: non solo grazie alla costante rappresentazione testuale in superficie, ma anche per via dell’utilizzo sistematico come forma-matrice per ogni aspetto strutturale della narrazione e della rappresentazione. Per esempio Nora, la vittima sacrificale sull’ara pacis della nostra tavola, viene uccisa per aver compreso il mistero dell’algoritmo 8. Più avanti (o indietro?) nella storia ci verrà fatto presente che 8 non è un numero. Pensavate davvero che la gabbia di impaginazione fosse a otto moduli? È a 8 moduli, e 8 non è un numero.
Però non ho ancora capito cosa ti piace così tanto di questa pagina.
Provo grande ammirazione per questa tavola anche perché ho letto che l’idea originaria di Morrison fosse di ambientare la sequenza in una stanza molto più complessa, con differenti piani in prospettiva a ricreare (presumo) il conturbante effetto “pagina come spazio tridimensionale” così efficace in WE3.
Solamente grazie alla complicità di Quitely la tavola ha raggiunto il suo stato di grazia, dimostrando ancora una volta quanto less sia more e “complicato” e “complesso” non siano sinonimi. È palese che Morrison e Quitely operino in simbiosi, Pax è un pezzo per quattro mani. O forse 8? A proposito, che forma credete disegni il movimento nella stanza della vittima e dell’assassino? Possiamo osservare la coreografia dei personaggi solamente perché nella tavola esiste una coesione spaziale: tutti e tre i piani temporali hanno luogo nella medesima stanza, rappresentata in un’unica veduta frammentata; tra le singole vignette, nonostante raccontino momenti differenti, esiste una continuità di sfondo.
Ebbene, dopo la passione per le gabbie rigide, devo confessare quella per le tavole con continuità di sfondo; penso che la rappresentazione di una singola porzione di spazio in momenti differenti espliciti Il cuore segreto del Fumetto. Se non credete a me date retta a Richard McGuire, per cui la simultaneità è «la vera forza del medium fumetto».
Immagino che, genericamente, si debba considerare la simultaneità in quanto compresenza delle tre dimensioni di lettura: quella lineare (di vignetta in vignetta) quella planare (della tavola) e quella tridimensionale (del volume). Ecco perché la coesione spaziale della tavola è così affascinante, dimostra che siamo noi a ordinare e comprendere. La prospettiva scelta da Quitely lo rimarca: abbiamo il privilegio di osservare un’altra realtà dalla nostra camera oscura.
Nella testa di Morrison, infatti, esperire un fumetto significa osservare una realtà effettiva (immaginaria sì, ma non per questo meno vera) dal punto di vista di un essere superiore, in grado di navigarla a piacere, in ogni direzione spazio-temporale. Volevate dei superpoteri? Basta sfogliare un numero di Topolino per trasformarsi in scrutatori pentadimensionali. A ben vedere Morrison sostiene, in maniera piuttosto colorita, la stessa tesi di McGuire: il fumetto è simultaneità.
Quando ho detto che i capolavori hanno consapevolezza, non stavo (solamente) suggerendo che Pax Americana sia posseduto, ma che si tratta di un albo perfettamente conscio di sé, ovvero di tutte le proprie dimensioni di lettura, struttura tridimensionale compresa.
Torniamo alla tavola, quali altri aspetti ti hanno colpito?
La morte di Nora è il fattore scatenante dell’intera rappresentazione, il perno. Ho suggerito che l’omicidio avvenga nel gutter per motivi igienici, ora mi permetto di osare ulteriormente: avviene al centro della pagina perché quello è il cardine dei tredici fogli spillati che compongono l’opera.
Quando Pax Americana bisbiglia che «la porta ha un solo lato ma si apre da ambo le parti» sta ricordando al nostro alter ego scrutatore pentadimensionale che possiamo leggere l’albo in due direzioni, girando le pagine da ambo le parti. Altrimenti perché l’arma del delitto sarebbe un busto di Giano Bifronte?
Più ne scrivo, più mi rendo conto di quanto quel cosplayer Ermete Trismegisto avesse ragione: la singola tavola riflette l’intera opera. Certo, forse un’analisi molecolare non riuscirà a far apparire giustificato il mio delirio, e in fondo preferisco così. Pax Americana (così come questa tavola) è una perla, perché i suoi eccessi ricordano costantemente quanto la natura più intima del nostro medium preferito sia ergodica: leggere fumetti è un atto creativo.
Io credo che la cosa più rimarchevole dell’albo sia che Pax Americana sia uscito per un grande editore mainstream.
Esatto, il fatto che queste alte considerazioni avvengano sfogliando un prodotto alla base della piramide editoriale, un blando spillato supereroistico con la pubblicità in quarta di copertina, rende la vertigine ancora più sublime.
Ma alla fine, cosa succede in Pax Americana?
Internet tracima di annotations di ogni sorta, in molti hanno tratto conclusioni sull’algoritmo 8 e i suoi esiti. Purtroppo però nessuno sembra condividere l’argomentazione finale dei miei famigerati diari della panchina. Più ci rifletto, più me ne convinco: il piano del presidente Harley è compiuto.