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Il caso ComicsGate, tra sessismo e alt-right

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La scorsa settimana DC Comics ha inviato una lettera ai propri collaboratori in cui venivano indicati consigli e norme comportamentali da seguire nell’utilizzo dei social network. La lettera è arrivata in seguito a diversi episodi verificatisi negli ultimi mesi, come alcuni scivoloni interni all’azienda e la condotta sui social nerwork di Ethan Van Sciver, disegnatore attivo in DC su personaggi come Batman, Lanterna Verde e Flash.

Van Sciver, sostenitore di Donald Trump e vicino al pensiero alt-right, non è nuovo a uscite controverse, ma ultimamente la gestione della sua immagine online è andata fuori controllo, come ha riassunto in un lunghissimo post il giornalista videoludico Nick Monroe.

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Tra le conseguenze che hanno portato DC Comics alla comunicazione di linee guida da seguire sui social parrebbero rientrare anche gli avvenimenti del cosiddetto ComicsGate, nome dato a una serie di episodi di molestie riguardanti l’industria del fumetto statunitense prendendo ispirazione dal GamerGate. Negli ultimi tempi, infatti, l’uscita quasi in contemporanea di un approfondimento di Inverse, del comportamento di Van Sciver riassunto da Nick Monroe e della notizia della lettera aziendale di DC Comics hanno riacceso un caso che sembrava essersi sopito lo scorso autunno.

L’inizio del ComicsGate

Il ComicsGate ha origine nell’estate del 2017, all’epoca della scomparsa di Florence “Flo” Steinberg, figura chiave di Marvel Comics negli anni Sessanta. Steinberg era stata una delle prime dipendenti di Marvel Comics, la prima assieme a Stan Lee a essere assunta con un contratto a tempo pieno. Tra i suoi compiti più importanti c’era stato quello di curare il rapporto con i fan, gestendo la comunicazione della Marvel Merry Marching Society. Era stata tra i primi membri del Marvel Bullpen, lo staff che si occupava di redigere i redazionali delle testate. «Quando realizzi qualcosa di eccezionale, premiati con qualcosa di dolce» era uno dei suoi motti.

Gli insider Marvel rivelarono che Steinberg era vista come una figura materna da molte delle giovani redattrici dell’azienda. Così, dopo la notizia della sua morte, un gruppo di editor e assistenti editor capeggiate da Heather Antos volle ricordarla postando su Twitter un selfie con in mano un milkshake e l’hashtag #FabulousFlo.

Un’ondata di odio, meme pornografici e commenti che andavano dal sessista al misogino travolse la Antos, che dall’altro lato si fece forza del supporto offertole dalla comunità fumettistica. L’hashtag in sua difesa #MakeMineMilkshake, promosso da Marvel e DC Comics, rimase tra i trending topic per diversi giorni.

Chi c’è dietro il ComicsGate

La fonte dei dissidi è da ricondurre a fenomeni come quelli del White Supremacy o dell’alt-right, nonché a un sottaciuto sentimento misogino che aveva già portato a galla il GamerGate. Queste sacche d’odio viaggiavano in parallelo ai rivenditori, che lamentavano una scarsa vendita dei fumetti in cui erano rappresentate le diversità e non erano nuovi alle controversie: avevano già manifestato il loro scontento verso l’apertura del fumetto supereroistico al femminile o a una rappresentazione diversificata per il nuovo Thor, il nuovo Iron Man o l’Uomo Ghiaccio omosessuale.

Qualche mese dopo, al Comic Con di New York, Marvel tenne un incontro con alcuni proprietari di fumetterie per raccogliere le loro opinioni sull’andamento del mercato. Le lamentele – provenienti da un gruppo di rivenditori – erano le stesse espresse la primavera precedente: ci sono troppi personaggi neri, omosessuali e femminili, e i fumetti non si vendono.

I rappresentanti delle fumetterie giustificavano le loro opinioni più o meno così: non stiamo combattendo la diversità, ma la mediocrità delle storie e il retaggio dei personaggi. Ci piacevano di più prima, quando non c’erano musulmani, donne o omosessuali, ma non ce l’abbiamo con loro. Il problema, però, è che secondo questi rivenditori gli unici fumetti colpevoli di essere mediocri erano proprio quelli con musulmani, donne o omosessuali.

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Il Thor donna, tra i personaggi che hanno suscitato le polemiche dei rivenditori

Attraverso gruppi segreti di Facebook e una serrata coordinazione online, i promotori del ComicsGate riuscirono a molestare la Antos e altre redattrici dello staff Marvel, definite «quota diversità» e «sciacquette incompetenti», per poi allargare le maglie d’odio verso gli autori Tess Fowler, Kwanza Osajyefo, Gail Simone e Mark Waid.

Le liste nere del ComicsGate

Agli insulti fece seguito una lista nera di nomi che i seguaci del movimento avrebbero dovuto boicottare. Denominata «giornalisti Pravda» e «vipere SJW» (dove “SJW” sta per il dispregiativo “Social Justice Warrior”, usato dagli alt-right per deridere questi fantomatici paladini della giustizia sociale), la lista comprendeva i nomi di Larry Hama, Mark Waid, Alex de Campi, Kelly Sue DeConnick, Matt Fraction, Ta-Nehisi Coates e tanti altri. «Se volete danneggiare questi individui, fatelo con il Vostro portafoglio», si legge in una dichiarazione riportata da Inverse (e nel frattempo cancellata). «Non comprate i loro prodotti, non date clic ai falsi giornalisti».

Due i nomi che emergono come simboli di questo ComicsGate: il già citato Van Sciver e Richard C. Meyer, che con il suo canale YouTube Diversity & Comics ha raccolto attorno a sé un gruppo di sostenitori (quasi trecento dei quali lo foraggiano mensilmente su Patreon) a colpi di rant sulla pessima qualità dei nuovi fumetti, rei di contenere troppa «diversità». Meyer e i suoi sono attivi su Twitter e intavolano spesso discussioni con la comunità fumettistica statunitense.

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Kamala Khan, la giovane Ms Marvel musulmana

Bleeding Cool ha inserito Meyer nella lista delle cento persone più influenti del fumetto, definendolo «il centro dei discorsi d’odio sul fumetto dell’alt-right» e ammettendo la sua abilità nel «coinvolgere i fumettisti – che dovrebbero essere più furbi – a parlare con lui», dandogli così visibilità e un minimo di notorietà.

Inverse si è pronunciata sull’insensatezza del fenomeno, scrivendo che «a differenza di GamerGate, che è iniziato con un ragazzo arrabbiato con la sua ex ma che almeno credeva di aspirare a qualcosa di più grande in nome “dell’etica nel giornalismo videoludico”, ComicsGate vuole solo meno rappresentazioni diversificate e un mezzo più familiare».

Il sito conclude affermando che il ComicsGate non costituisce niente di nuovo, anzi sarebbe «poco più di un ultimo rabbioso respiro di egemonia bianca nella cultura geek».

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