Devilman Crybaby – di cui abbiamo parlato qui – ha diviso gli spettatori. Questa profonda spaccatura, generata dal singolare approccio grafico a una materia narrativa ormai divenuta mito, ha un nome e un cognome: Masaaki Yuasa, regista poliedrico e fondamentale nel panorama animato contemporaneo.
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C’è chi lo adora e c’è lo detesta, per un motivo ben semplice: il corpus centrale dell’opera di Yuasa fa riferimento all’intrinseca necessità di fare animazione in modo non convenzionale, con ovvi riferimenti culturali e visivi ma sempre con l’intenzione di allontanarsi dai canoni e da certi stereotipi dell’animazione giapponese.
Per sua stessa essenza Masaaki Yuasa è un autore che si colloca controcorrente e, di conseguenza, difficilmente il suo lavoro può risultare conciliante. Me ne sono accorto al Milano Film Festival, quando fui invitato a presentare alcune serate nell’Animation Slot. Una di queste fu dedicata a Mind Game, l’opera d’esordio di Yuasa. È stato divertente assistere alle reazioni del pubblico: durante e dopo la proiezione la gente si divideva letteralmente fra coloro che gridavano al genio e gli indignati.
Approfittiamo dell’uscita di Devilman Crybaby per delineare, attraverso i suoi lavori più importanti, una figura che, a suo modo, è divenuta fondamentale per l’animazione contemporanea.
Mind Game (2004)
L’opera d’esordio di Masaaki Yuasa è un lungometraggio della durata di 103 minuti di pura follia. Ma anche di vita, morte, amore, emozioni, voglia di rivalsa. Mind Game, che visivamente contiene già tutto il cinema di Yuasa, è un loop che mette in scena la vita. Ma lo fa sfruttando le iperboli che il cinema e l’animazione in particolare mettono a disposizione.
Inutile riportare la trama: Mind Game è un accumulatore di stili e di storie che lavora consciamente sull’accumulo e l’esagerazione. E lo stordimento finale è qualcosa che, nel 2004 (anno di uscita del film) era qualcosa di davvero inedito.
Kemonozume (2006)
Dopo che Mind Game ha fatto incetta di premi, Masaaki Yuasa si butta nella serialità televisiva. Questa serie composta da tredici episodi e prodotta da MadHouse è la conferma di un autore che non ha intenzione di compiacere il pubblico.
La storia è quella di una coppia che si innamora: lui è un cacciatore di mostri, lei divora gli uomini. L’elemento fantastico è sicuramente predominante e permette al regista di spingere l’acceleratore su un campionario di mostruosità degne del miglior Cronenberg, ma a contare davvero – come sempre in Yuasa – sono il cuore, l’amore, i personaggi.
Happy Machine (2008)
Cortometraggio contenuto all’interno dell’omnibus Genius Party, Happy Machine (che potete visionare qui) contiene tutto quel campionario di bestie e creature inquietanti tipiche di Yuasa.
In una sorta di rappresentazione personale del ciclo della vita, il regista si diverte a creare un universo di nonsense immaginifico, dove l’orrore e la morte sono sempre dietro l’angolo, ma nel quale, ancora una volta, la forza primordiale della vita è nonostante tutto l’elemento predominante.
Kaiba (2008)
Forse il lavoro più interessante di Yuasa. Una serie in dodici episodi che mescola fantascienza e psichedelia e nella quale la componente moebiusiana emerge con forza.
È la storia di Kaiba che, risvegliatosi privo di memoria e con un buco nel petto, parte per un viaggio alla scoperta della verità su se stesso. Delicato, emozionante, folle.
The Tatami Galaxy (2010)
In questa serie di undici episodi Yuasa racconta la vita di un ragazzo all’interno di un campus, dei suoi desideri e delle possibilità che la vita offre in forme sempre diverse. Un nastro di Moebius, un cerchio infinito che muta sempre, la fotografia delle strade che è possibile intraprendere.
Ma The Tatami Galaxy è anche un virtuoso esempio di stile in cui Yuasa si cimenta in approcci grafici e tecnici differenti e dove persino la struttura narrativa può diventare una sfida.
Ping Pong The Animation (2014)
Serie di undici episodi tratta dal manga di Taiyo Matsumoto, ha per protagonisti Yutaka e Makoto, due ragazzi accomunati dalla passione per il ping pong. Il budget ridotto non ha spaventato Yuasa, che ha sviluppato questa serie su due fronti: uno riguardante i personaggi, il cuore pulsante di ogni sua storia, in cui il regista, forte dell’origine cartacea, ha immesso una complessità di sentimenti che li ha resi reali e tangibili; l’altro è l’aspetto grafico, quello che ancora non convince buona parte dei suoi detrattori.
Lavorando sullo specifico segno di Matsumoto, già particolare a suo modo, Yuasa ha optato per un approccio grafico ancor più grottesco e “deformato”, sfruttando le note prospettive grandangolari del mangaka.
Adventure Time – “Catena Alimentare” (2014)
Yuasa Masaaki e il suo iperbolico desiderio di un’animazione sperimentale e a volte grottesca hanno avuto modo di confrontarsi anche con produzioni non giapponesi. L’occasione perfetta è stata fornita dalla possibilità di lavorare a una puntata di Adventure Time, dove il ciclo della vita attraverso la catena alimentare è spiegato in modo un po’… inusuale.
Si tratta di un episodio divertente e imperdibile. L’ennesima dimostrazione di come l’arte di Yuasa possa adattarsi alle situazioni produttive e narrative più diverse.
The Night is Short, Walk on Girl (2017)
The Night is Short, Walk on Girl è la storia di una ragazza intraprende un viaggio in una sorta di paese delle meraviglie oscuro e sorprendente.
In questo film Yuasa ha ripreso alcune tematiche affrontate in The Tatami Galaxy sfruttando lo stesso cast: il risultato è un eccezionale, virtuoso e liquido percorso nelle straordinarie visioni del regista.
Lu Over the Wall (2017)
Uscito lo stesso anno di The Night is Short, Walk on Girl, Lu Over the Wall, Lu Over the Wall è la storia del giovane Kai e del suo incontro con una sirena (la Lu del titolo). Questo lavoro rappresenta il lato più addolcito e forse commerciale di Yuasa.
Pur discostandosi tematicamente dal suo corpus autoriale, il lungometraggio – che ha vinto il premio Crystal ad Annecy – è visivamente un compendio dei suoi metodi rappresentativi (con un ovvio freno a mano tirato) nonché l’omaggio al grande Hayao Miyazaki, dato che la storia raccontata si avvicina (e non di poco) a Ponyo sulla scogliera.