Yoshiharu Tsuge è stato tra i maggiori esponenti del gekiga, corrente nata nella scena fumettistica giapponese alla fine degli anni Cinquanta con il proposito di creare un fumetto maturo e drammatico. La pubblicazione del suo L’uomo senza talento è da poco valsa a Canicola Edizioni il premio Stefano Beani per l’iniziativa editoriale, durante l’edizione 2017 di Lucca Comics & Games.
Assieme ad autori come Yoshihiro Tatsumi, Masahiko Matsumoto, Shigeru Mizuki, Seiichi Hayashi, Tadao Tsuge, su riviste come Garo, Comic Baku o Com il movimento gekiga rinnovò il fumetto nipponico introducendo tematiche prima di genere, poi introspettive, con un modo di raccontare asciutto e privo di soluzioni comiche.
Dopo l’arrivo in Italia negli ultimi due anni circa di una buona quantità di pubblicazioni manga di stampo gekiga, grazie soprattutto all’operato di Coconino Press con la sua collana dedicata ma anche con i volumi di Kazuo Kamimura di J-Pop, è da pochi mesi disponibile in Italia una delle opere che hanno segnato il fumetto d’autore giapponese, L’uomo senza talento di Yoshiharu Tsuge (QUI un po’ di pagine da leggere in anteprima).
La figura di Yoshiharu Tsuge sarà protagonista di un incontro durante il festival BilBOlBul sabato 25 novembre alle 11.00, durante il quale Paul Gravett, Vincenzo Filosa e Berliac discuteranno dell’autore (presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna).
Leggi la recensione di L’uomo senza talento
L’uomo senza talento è un racconto maturo, che indaga questioni individuali, esistenziali (fa parte infatti del cosiddetto watakushi manga, il “il manga dell’io”). Realizzato negli anni Ottanta, quando Tsuge ha già vissuto momenti di forte depressione dopo i primi anni da fumettista underground. A quei tempi, tra i quaranta e i cinquant’anni Tsuge è un autore che può permettersi uno sguardo a ritroso sulla propria carriera e sulla propria esistenza con critica e una certa rassegnazione. Già autore improntato a una narrazione surreale nella prima parte della sua carriera, Tsuge ha segnato il fumetto giapponese con gli intenti di chi affronta la materia come una forma d’arte, sia in termini di approccio grafico che narrativo.
Per rintracciare il suo esempio nel mondo del fumetto occidentale e indagare come la sua arte sia percepita oggi, abbiamo deciso di parlare di Yoshiharu Tsuge con quattro autori ed esperti, in una sorta di tavola rotonda: i fumettisti David B. (Il grande male, Il mio migliore nemico, La rivolta di Hopfrog), Paolo Bacilieri (Zeno Porno e la magnifica desolazione, Fun), il traduttore americano Zack Davisson (che ha lavorato sulle edizioni americane delle opere di Shigeru Mizuki e cura il blog Hyakumonogatari Kaidankai) e James Stacey, britannico editore di Black Hook Press, e curatore di mostre a Tokyo, dove risiede.
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Come avete scoperto il lavoro di Yoshiharu Tsuge?
David B.: L’ho letto per la prima volta quando è uscito in Francia, anni fa. Arrivò da noi grazie a Frédéric Boilet, che aveva vissuto in Giappone per un certo periodo. Mentre in Francia avevamo condiviso lo studio, quindi era stato lui a consigliarmelo.
Paolo Bacilieri: Per gradi, solo negli ultimi anni, e ancora non ho finito. Anni fa vidi qualcosa di suo in qualche antologia, credo fosse la storia di quel ragazzino con un rubinetto in un braccio. La scoperta vera è stata la lettura de L’homme sans talent, l’edizione francese EgoComX dei primi anni 2000, mi pare. A Toronto, nella bella libreria The beguiling ne ho recentemente trovato una bellissima edizione giapponese che ho portato a casa.
Ora sto recuperando il resto, facilitato, sia per quanto riguarda Yoshiharu che gli altri autori gekiga (a cominciare dal fratello, Tadao Tsuge) dalla presenza, nel mio studio, di Vincenzo Filosa.
Zack Davisson: Ne ho sentito parlare la prima volta leggendo l’opera autobiografica di Shigeru Mizuki Showa: A History of Japan. Yoshiharu Tsuge appare in quanto è uno degli assistenti di Mizuki. Da lì mi sono interessato a leggere alcuni suoi fumetti.
James Stacey: Quando nel 1996 comprai una copia di Comics Underground Japan curato da Kevin Quigley mi piacque molto il tono delle storie. Lì dentro non c’erano lavori di Yoshiharu Tsuge, ma il libro mi fece interessare al movimento della rivista Garo e dell’underground giapponese legato anche a lui.
Trasferitomi in Giappone ho visto dei lavori di Tsuge nei primi numeri di Garo, quando qualche anno fa iniziai a visitare il Jimbochi Book Town [quartiere di Tokyo ricco di librerie dell’usato. Ndr].
Poi ho stretto amicizia con Mitsuhiro Asakawa e Sean Michael Wilson, che mi hanno introdotto in maniera più personale alla vita e al lavoro di Tsuge. Loro due avevano curato il volume AX (Vol 1) A Collection of Alternative Manga. Credo che questa raccolta sia stata molto importante a far conoscere altri autori gekiga della rivista AX a un pubblico più ampio (occidentale e americano).
Qual è l’esempio o l’insegnamento principale che hai tratto dalle opere di Tsuge?
David B.: Lui racconta storie non avventurose, racconta semplicemente le piccole cose. Lo trovo vicino al regista Yasujiro Ozu. Dell’immaginario giapponese prima conoscevo storie di samurai o di fantasmi, e in Tsuge ho trovato un altro Giappone, più intimo, quasi zen se vogliamo, che riesce a raccontare la vita per come è davvero, e riflettere sul presente.
Paolo Bacilieri: Parlando de L’uomo senza talento, un libro bellissimo, nella sua composta mestizia, Tsuge lo ha pubblicato negli anni Ottanta del secolo scorso, quando la maggior parte dei fumetti mondiali era ancora in fase post adolescienziale, con poche eccezioni. Mentre il resto del mondo ancora è a Il giro del mondo in 80 giorni qui siamo già al Viaggio al termine della notte Celiniano. Un’opera di una maturità impressionante, uno di quei fumetti che “spostano i confini di ciò che si può fare con il media”.
Zack Davisson: Tsuge ha una delle caratteristiche che più preferisco in un autore di fumetti: è unico. In alcuni dei suoi primi lavori si vedono elementi di Mizuki nel disegno, ma poi ha sviluppato un suo stile che è di Tsuge e basta. Non è sempre sempre piacevole: le storie non sono sempre divertenti e spesso mettono a disagio il lettore. E questa è una aggiunta importantissima in un fumetto.
James Stacey: Credo che leggere le opere Tsuge e ascoltare le spiegazioni di Asakawa-san mi hanno portato a ritenere che Tsuge fosse una voce estremamente autorevole dal punto di vista narrativo.
Cosa pensi che possa averlo reso più rilevante di altri autori gekiga?
David B.: Ho letto altro, ma su questo non ho mai riflettuto.
Paolo Bacilieri: Senz’altro, banalmente, il suo grande talento, ma non solo, anche il coraggio, punta senza compromessi su storie, situazioni e personaggi autentici, reali, poco appariscenti, “minori”, e la sensibilità, l’empatia con la quale accosta casi di piccola o grande sofferenza. Bello e significativo il breve ritratto di Tsuge che ne fa il compagno di gekiga Tatsumi, all’interno di Una vita tra i margini, una fantasma gentile, un giovane uomo silenzioso, ironico…
Zack Davisson: Non so se lo definirei più rilevante di altri. Credo che molti autori gekiga siano incredibilmente potenti. Tsuge è più rilevante di Tatsumi? È più potente di Mizuki, che solo vagamente si può inserire nel gekiga? No. Ma Tsuge sta fianco a fianco a questi giganti. È uno dei più importanti del genere.
James Stacey: Non direi che il suo lavoro lo abbia reso più rilevante di altri autori del gekiga, ma posso dire che alcuni suoi contributi all’interno di Garo sono dei capolavori del medium fumetto.
Esistono artisti oggi nel fumetto occidentale – oggi nel passato – che consideri affini a Tsuge, nel fumetto o in altri medium?
David B.: Non credo di aver mai visto nessuno avvicinarsi al suo lavoro.
Paolo Bacilieri: Premesso che Yoshiharu Tsuge non ha certo bisogno di parallelismi nobilitanti, (stiamo parlando di uno dei 2, 3 autori più grandi del fumettomondo, dopotutto) il suo leggendario isolamento autoimposto non può non ricordare JD Salinger, e a me certe scene, tematiche, il tono serio, distaccato, compassionevole ricorda a volte Michelangelo Antonioni.
Più intimamente/misteriosamente, non uno scrittore ma un personaggio (di Herman Melville), mi ricorda Tsuge: quel Bartleby di professione scrivano che replica al suo datore di lavoro “I prefer not to”. Preferirei di no.
Zack Davisson: Spesso lo sento paragonare a Robert Crumb, ma io direi di più Daniel Clowes. Ha quello stesso senso di malinconia, di tetra umanità. Ma citerei anche un artista contemporaneo come Brandon Graham, anche se in questo caso il legame è assai più vago.
Sicuramente poi ce ne saranno molti altri di cui non sono al corrente. È così che funziona con quelli come Tsuge: lavorano sottotraccia da qualche parte, nascosti, pronti a sconvolgere il medium.
James Stacey: Mmh… Yoshiharu Tsuge è unico nel modo di scrivere, quindi per quanto mi riguarda lo vedo bene al fianco di scrittori come Franz Kafka, Charles Bukowski, Richard Yates, Kurt Vonnegut.
Non credo che nel manga contemporaneo si noti la stessa considerazione per Tsuge che oggi si ha nel mondo del fumetto occidentale. Per quale motivo?
David B.: Sicuramente perché il suo lavoro è importante e doveva succedere che venisse scoperto. In Occidente sono arrivati prima i fumetti d’avventura per ragazzi; ricordo quando lessi per la prima volta Dragon Ball, che trovai del tutto sciocco. Me lo fece conoscere Lewis Trondheim, che lo portava in studio, ma non capisco cosa ci trovasse. I fumetti più maturi ce li ha fatti conoscere Boilet. Vivendo per alcuni periodi in Giappone, lui aveva modo di entrare in contatto diretto con prodotti molto particolari, poiché come è noto in Giappone si producono fumetti su davvero ogni argomento. C’è da considerare che nemmeno in Giappone i fumetti come quelli di Tsuge sono molto conosciuti, anzi sono seguiti giusto da un pubblico di intenditori e appassionati, un po’ come succede ora in Europa. Quindi direi che sia normale se sia in Francia che in Italia siano arrivati proprio quando del manga commerciale si era visto davvero un po’ di tutto.
Paolo Bacilieri: Non saprei.
Zack Davisson: Gran parte del manga moderno segue un percorso diverso, verso una estetica ispirata all’animazione. Ma in parte vale anche per i fumetti occidentali. Non troverai le influenze di Tsuge nel fumetto mainstream, bensì negli angoli più oscuri del fumetto. Sono certo che esistano devoti di Tsuge che in questo momento stanno producendo fumetti di cui non scoprirò l’esistenza fino molto molto tempo dopo. Ed è normale che succeda così.
James Stacey: Ottima domanda. Se si guarda alla piccola editoria giapponese, ci sono sicuramente fumettisti che lavorano in un ambito simile a quello di Tsuge, ma a meno che uno non cerchi attivamente trovandosi in Giappone, per un lettore occidentale è assai difficile scoprire certi lavori, visto che ci sono davvero pochi editori esteri che si prendono il rischio di pubblicare certi lavori.